Il nome importa poco, importa come intende far risalire la Sicilia dal fondo delle classifiche nazionali su benessere, ricchezza, sviluppo. E ancora, cosa intenda fare per far crescere il Pil
“Ai siciliani, per ora, non importa chi sarà il prossimo candidato alla Presidenza della Regione”. Non ha tutti i torti Nello Musumeci. Il nome, soprattutto in questo momento, non conta. Quello che ai siciliani importa è piuttosto che, chiunque sia il candidato alle prossime elezioni regionali del 2022, spieghi loro come intende far risalire la Sicilia dal fondo delle classifiche nazionali su benessere, ricchezza, sviluppo. Per farlo, certo, ci vogliono impegno, capacità di gestione e buone intenzioni. Qualità che dovrebbero prescindere dagli schieramenti politici destra-sinistra.
Del resto, negli ultimi venti anni, gli “affossatori” dell’Isola non hanno avuto un colore politico. Dal 1999 al 2019 si sono succeduti alla guida della Regione Siciliana governi di destra, sinistra, centro. Il risultato? Il Pil dell’Isola è precipitato sempre più giù. Niente hanno saputo o voluto fare gli amministratori regionali per innescare quei virtuosi processi di sviluppo che avrebbero potuto tirar fuori la Sicilia dal baratro. Negli ultimi venti anni (lasciando fuori il terribile 2020 in cui è esplosa l’emergenza sanitaria cui si è tentato di addossare qualsiasi colpa), dicevamo, il Pil dell’Isola è crollato: nel 2019 era a 85,8 miliardi. Venti anni prima, nel 1999 era a 91 miliardi (dati Istat, valori concatenati – anno di riferimento 2015). Una disfatta che i siciliani non possono e non devono più tollerare.
Cosa conta quindi? Che il prossimo candidato alla Presidenza della Regione, qualsiasi sia il suo nome e il suo schieramento politico, spieghi ai siciliani cosa intende fare per far crescere il prodotto interno lordo dell’Isola, rovinosamente sotto la media nazionale. Di che cifre parliamo? Gli ultimi dati messi a disposizione dall’Istat parlano di un Pil siciliano pro-capite in valore assoluto di circa 17mila euro.
Quanto è disastroso questo valore? Per capirlo basta confrontarlo con una regione del Nord: la Lombardia svetta in cima alla classifica con 38.400 euro. Stando così i numeri, raggiungere la Lombardia sembra un’impresa titanica. Forse però si potrebbe cominciare adeguandosi alla media nazionale: 28.600 euro di Pil procapite.
Di quanto parliamo in termini pro capite? Partendo dagli ultimi dati in termini assoluti e considerando che i siciliani sono circa 5 milioni, il Pil dell’Isola è attualmente fermo a 79 miliardi di euro (stima 2020 su dati Istat, valori concatenati anno di riferimento 2015). Per farlo viaggiare quanto meno sui valori medi nazionali bisognerebbe portarlo a 143 miliardi (risultato ottenuto moltiplicando il valore procapite medio nazionale per 5 milioni di siciliani).
Ma come fare per recuperare uno scarto di 57 miliardi di euro? È questo l’obiettivo che deve porsi chiunque occuperà i vertici della Regione durante la prossima legislatura, è questa la risposta che deve dare ai siciliani.
Noi, dal canto nostro, vogliamo provare a essere ottimisti e propositivi, fornendo qualche “assist” ai candidati, a prescindere da nomi e colori politici.
La riforma della Pubblica Amministrazione
La Pa isolana è allo sbando. A dirlo sono i numeri: secondo la Cgia di Mestre, la burocrazia costa alle imprese isolane circa tre miliardi l’anno. Una cifra esasperante che di certo non incentiva la voglia di “far impresa” in Sicilia. Una situazione resa ancor più grave dalla pandemia. Secondo un’indagine condotta da Promo Pa Fondazione, i dipendenti in smart working avrebbero subito una contrazione del 30% della produttività. Produttività che già in pre-pandemia lasciava molto a desiderare.
E c’è di più: nell’Isola i vertici della Pa ricevono stipendi esorbitanti, spesso più alti della media nazionale. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, infatti, il personale della Regione Siciliana guadagna in media 30.851 euro l’anno, contro i 22.035 del personale delle Regioni a Statuto ordinario.
Come porre un freno a lentezze e sprechi? Servirebbe riformare da capo a piedi la Pubblica amministrazione isolana orientandola verso digitalizzazione, efficienza e produttività. Le riforme messe sul tavolo dal governo Musumeci, al momento, sono rimaste sulla carta. Alla fine della legislatura manca poco più di un anno, la speranza è che il Governo uscente riesca a portare a casa almeno questo risultato.
La formazione professionale da rivedere
L’universo dei corsi di formazione in Sicilia presenta più di un “buco nero”. L’offerta presentata dalla Regione è totalmente “scollegata” alle richieste del mercato del lavoro. Guardando al catalogo provvisorio 2020-21 dei corsi Iefp, ad esempio, infatti, vien fuori che il 30% dell’offerta riguarda il settore del benessere (parrucchieri, estetisti, acconciatori).
Il mondo del lavoro, intanto, va da tutt’altra parte. Secondo l’ultimo report di Unioncamere – Unione Europea, infatti, le figure più ricercate sono web marketing, data scientist, ux-designer. Ambiti quasi del tutto ignorati dall’offerta formativa della Regione. Il risultato? Circa il 27% delle richieste di assunzione in Sicilia resta inevaso perché mancano le competenze.
A ciò si aggiungono due problematiche non da poco: manca una sinergia tra Istituti di formazione e Centri per l’impiego che non comunicano tra loro impendendo all’eventuale domanda di lavoro di incontrare l’eventuale offerta. Come a dire: la mano destra non sa cosa fa la sinistra. Il secondo nodo, non da poco, è che questi corsi (nei fatti di scarsa utilità) costano. Quanto? Tra quelli appena conclusi e quelli in partenza per il 2021 circa 267,5 milioni di euro. Non spiccioli.
Le infrastrutture che mancano e ci “isolano”
La Sicilia paga il prezzo di essere un’Isola. Lo fa, principalmente, perché le infrastrutture di cui è dotata e le politiche messe in atto per annientare le distanze con il resto del Continente, sono insufficienti. Secondo uno studio promosso dall’assessorato dell’Economia della Regione Siciliana “il costo annuo derivante dall’insularità è di oltre sei miliardi di euro e corrisponde quindi a una sorta di tassa occulta pari a circa 1.200 euro per ogni siciliano”.
Costi, continua il report “che equivalgono a quelli della realizzazione del Ponte sullo Stretto”. Il Ponte è “già pagato”, insomma. Eppure dopo decenni e decenni di annunci siamo ancora lontani dalla realizzazione dell’infrastruttura “regina” del tanto agognato avvicinamento al resto della Penisola.
L’Unione europea, dal canto suo, ha detto a più riprese e ad alta voce che il Ponte va fatto, in quanto ritenuto opera di fondamentale rilevanza per tutta l’Europa. Ciononostante, i Governi regionale e centrale continuano a fare “orecchie da mercante”, riducendo la questione a mero slogan da campagna elettorale, senza raggiungere risultati concreti. Che sia la prossima Legislatura a mettere la parola fine (o inizio) alla questione Ponte?
Il nodo mai sciolto della gestione rifiuti
I cittadini siciliani pagano le tasse sui rifiuti tra le più care d’Italia. Perché? Principalmente perché la maggior parte dei rifiuti nell’Isola continua a essere smaltita nelle discariche. Discariche che costano, e non poco. I soldi della “salata” Tari, sono ben riposti? Non si direbbe considerando che intere provincie sono sommerse dai rifiuti e buona parte dei siciliani deve fare i conti con cattivi odori e miasmi delle discariche, sempre sull’orlo del collasso.
Cosa servirebbe? I tanto agognati termovalorizzatori, per cominciare: uno da solo sarebbe in grado di accogliere circa 515 mila tonnellate di scarti ogni anno. Dopo anni di lotte e annunci, nelle scorse settimane il Governo Musumeci ha annunciato il bando per la realizzazione di due termovalorizzatori nell’Isola.
È fatta dunque? No, è presto per cantare vittoria. A mettere a rischio l’effettiva realizzazione, diversi schieramenti politici. La scorsa settimana, infatti, l’Assemblea Regionale Siciliana ha approvato, come raccomandazione, un ordine del giorno che impegna il Governo regionale a ritirare l’avviso per i due impianti. Per capire chi vincerà questo braccio di ferro portato avanti sulle spalle dei siciliani, bisognerà aspettare. Ancora.
Il potenziale turistico mal sfruttato
Un’arma per far crescere il Pil potrebbe arrivare da un patrimonio “a costo zero”: tutte le bellezze dell’Isola che da secoli incantano i turisti del mondo intero. Bellezze che da sole non possono bastare: per incentivare l’arrivo dei viaggiatori servono servizi efficienti, ricche offerte culturali, agevolazioni e sconti per chi arriva e chi ospita, una campagna pubblicitaria regionale che miri a far conoscere la Sicilia in Italia e nel mondo, al di là dei luoghi comuni. Serve una visione più ampia, che vada oltre quanto fatto finora: bisogna puntare in maniera più incisiva su congressistica, fiere, premi culturali, viaggi scolastici.
Quanto è importante il turismo in termini economici? Parecchio. Secondo l’ultimo rapporto Enit (Agenzia nazionale italiana del turismo) su dati 2019, il settore vale circa il 13% del Prodotto interno lordo. E ancora: l’ultimo report Srm (Studi e ricerche per il Mezzogiorno) ha calcolato nel 2019 un giro d’affari per la spesa turistica in Sicilia pari a 10,5 miliardi di euro.
Entrate che non possiamo rischiare di bruciare cullandoci solo sulla presenza delle “bellezze” isolane, senza preoccuparsi di sfruttarne a pieno il potenziale.
La fatica ad arrivare alla fine del mese
I siciliani sono tra i più poveri d’Italia. La pandemia non ha fatto altro che accentuare uno dei “cancri” atavici dell’Isola. Per avere un quadro chiaro, scevro dall’impatto devastante del Covid, bisogna guardare ancora una volta all’anno 2019. In quell’anno, ci dice l’Istat, il 25% dei siciliani viveva in condizioni di povertà relativa: una persona su quattro, più del doppio della media italiana (11%).
Sul fronte dei reddito medio pro capite, la situazione non sembra migliore. Secondo l’Istat, infatti, in Sicilia il reddito medio dichiarato nel 2019 era di 13.800 mila euro. Per capire quanto sia basso, basta guardare alla Lombardia e ai suoi 23 mila euro.
L’altra faccia della medaglia è che per “tirare a campare” spesso buona parte dei siciliani in difficoltà non ha altra scelta che ricorrere alle misure assistenziali. Non è un caso che la Sicilia sia la seconda regione d’Italia per numero di percettori di Reddito di cittadinanza: 162.342 nuclei familiari nel 2019 (dati Inps). Cosa intendono fare i candidati alla presidenza per questi loro concittadini? A loro, quell’enorme bacino elettorale lasciato volutamente in povertà per decenni, prima di tutti, devono risposte concrete.