La questione così si sposta dalla necessità imprescindibile che tutto il servizio descritto abbia un costo che l’utilizzatore deve pagare, a un secondo livello: se tale servizio possa essere prestato da imprese private o direttamente dagli enti pubblici.
Abbiamo più volte sottolineato che organizzazione ed efficienza di una qualunque azienda non sono patrimonio esclusivo dell’Ente pubblico o dell’impresa privata, perché si tratta di un sistema che può essere utilizzato sia dall’uno che dall’altra. Si tratta di vedere se azienda pubblica o impresa privata debitamente controllata abbiano il giusto rapporto fra quanto incassano e quanto rendono. Giusto rapporto che è tecnicamente controllabile.
L’esperienza ci insegna che la Pubblica amministrazione è inquinata da elementi estranei di cui una grossa responsabilità è del ceto politico. Per cui, anche per una deficiente competenza della classe dirigente, i risultati ottenuti sono incongrui rispetto alle spese sostenute. Spese che sono a carico dei cittadini direttamente o attraverso la fiscalità generale.
Il decreto legislativo 150/09 ha stabilito la responsabilità del dirigente pubblico, chiamato opportunamente datore di lavoro pubblico, con l’attribuzione di premi o la decurtazione degli emolumenti in relazione ai risultati. La già citata normativa ha anche stabilito la collocazione dei dipendenti in tre fasce distinte.
Il dirigente ha l’obbligo di formulare tale graduatoria e ha la responsabilità di raggiungere i risultati in base al Piano industriale dell’ente cui appartiene. Se la Pa si mettesse in condizioni competitive con l’impresa potrebbe tranquillamente concorrere a ottenere l’appalto dei servizi pubblici locali, compreso quello della gestione dell’acqua.
La sua competitività dovrebbe essere acclarata attraverso bandi di gara di evidenza europea, mentre in atto le società regionali, provinciali e comunali, ricevono l’appalto in esclusiva dal proprio ente controllore per la gestione di servizi a prezzi nettamente superiori a quelli di mercato, con grave danno dei contribuenti.
Le continue lamentazioni di presidenti di Regioni e sindaci di Comuni meridionali sulla diminuzione di risorse finanziarie non ha alcuna ragionevolezza. Se essi potassero tutti gli sprechi, oltre che l’enorme esubero di inutili dipendenti (inutili al Piano industriale) si accorgerebbero, forse con sorpresa, che le risorse a loro disposizione sono notevoli e potrebbero indirizzarne una parte non indifferente per la costruzione di infrastrutture, manutenzione, ristrutturazione di beni pubblici e via enumerando.
Venendo alla Sicilia, comprendiamo come sia difficile, per il Governo regionale e per i 390 sindaci, ribaltare una vecchia mentalità di gestione della Cosa pubblica, anche perché comprendiamo le enormi pressioni di chi è abituato ad avere una qualunque indennità e non può di colpo rassegnarsi ad andare a lavorare nel mercato.
Però l’efficienza della Pa è indispensabile, perché bisogna utilizzare al massimo le risorse che diminuiscono ogni giorno. Per far quadrare il cerchio serve competenza. La pacchia è finita, andate in pace.