Coltivare l’intelligenza non le cose del giorno - QdS

Coltivare l’intelligenza non le cose del giorno

Coltivare l’intelligenza non le cose del giorno

mercoledì 22 Settembre 2021

Il contadino coltiva la terra, ara, zappa, semina, irriga, pota, raccoglie e tratta il frutto adeguatamente per renderlo in condizione di vendibilità o di utilizzazione.

Oggi, più che in altri tempi, i prodotti della terra debbono essere ripuliti, standardizzati e confezionati, perché i consumatori che li comprano nei negozi o nei supermercati vogliono vederli più o meno secondo gli standard.

Da quanto precede ne deriva che gli imprenditori agricoli devono prestare la loro attenzione al segmento successivo a quello della produzione e cioè la distribuzione. Con la conseguenza che devono adottare sistemi di imballaggio e meccanizzazione adeguati alle richieste della Gdo (Grande distribuzione organizzata).

Le persone umane coltivano non solo i prodotti della terra ma tante altre cose materiali. Anzi, sono attratte dalle cose materiali, con una sorta di bulimia irrefrenabile che li porta a comprare, comprare e comprare (quando possono farlo, o anche indebitandosi) perché la loro fame di cose nuove non finisce mai.

Quanto precede comporta la diffusione sempre maggiore dell’ignoranza e, per conseguenza, della supponenza. Comporta la diffusione dell’invidia nei confronti di chi va più avanti e della conseguente gelosia perché si vorrebbe “atterrare” chi è più in alto, anziché entrare in una sana competizione, che farebbe emergere chi è più bravo e più capace.

Frequentemente dai nostri scritti, evidenziamo l’ignoranza come il male peggiore che ha colpito l’umanità da quando è sorta ma che è ancora più grave oggi, quando sembra che vi sia una maggiore diffusione della conoscenza.
Si tratta di un errore mediatico, il quale sostiene che le informazioni, di numero quasi illimitato, che circolano sulla rete digitale siano senza confini, per cui chiunque cerchi qualcosa trova la risposta e con ciò colma la propria ignoranza.

Non sono le singole informazioni che fanno la conoscenza, ma il collegamento fra esse e fra le stesse e quelle acquisite precedentemente, e così via a ritroso, in una sorta di immaginario scenario nel quale come si usa dire “tout se tient”, tutto si tiene, ossia il cosiddetto fil rouge che lega fatti e conoscenze.

Occorre, quindi, coltivare la propria intelligenza, che nasce grezza, come grezzo è il nostro corpo, il quale crescendo fisicamente si completa e diventa adulto dopo una ventina di anni.

Purtroppo la mente (o l’intelligenza, o lo spirito) non cresce come il corpo perché non ha lo stesso automatismo. Occorre perciò che la persona umana ci metta intenzione per farla crescere, cioè deve coltivare, ogni giorno, per tutte le 24 ore, la propria intelligenza.

Purtroppo, la gente è più portata a coltivare le cose materiali che quelle immateriali, come dire che ascolta di più la pancia che la mente, segue l’istinto animalesco piuttosto che quello della persona cui il Creatore ha dato la capacità di pensare, ragionare, riflettere e guardare avanti. Capacità che ovviamente non hanno le bestie e nemmeno le piante, anche se, sembra, che esse “pensino”. “Il mondo è bello perché è avariato”, diceva il caro vecchio umorista Marcello Marchesi.

Non tutti comprendono la necessità di coltivare l’intelligenza. Perché? La risposta è nei fatti di tutti i giorni, il consumismo spinge a comprare. L’informazione annebbia le menti perché a sua volta è spinta dal consumismo.
Il consumismo è architettato dai gruppi economici, ormai a livello mondiale, i quali fanno muovere l’economia nella direzione a loro più favorevole. Sempre di più le masse sono condizionate senza rendersene conto. Sempre di più l’individuo è schiacciato in una sorta di mortaio che lo rende pasta omogenea con tutti gli altri individui, in modo che viene sempre meno in evidenza la distinzione tra uno e l’altro.
Quanto scriviamo non ha bisogno di una particolare elaborazione, perché è sotto gli occhi di tutti, sotto gli occhi di chi, evidentemente, usa la propria vista e pensa con la propria testa e non con quella degli altri.

Sì, perché c’è questa sorta di omogeneizzazione secondo la quale il pensiero collettivo prevarica quello individuale. Ma l’individuo resta individuo e se è tale deve agire di conseguenza.

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