Con la conversione del decreto “milleproroghe”, concessi a petrolchimici e raffinerie altri 2 anni per mettersi in regola. Raggirato l’allegato del codice dell’Ambiente che prevede limiti più stringenti rispetto a quelli attuali
ROMA – Lo scorso 27 febbraio è stato definitivamente convertito il decreto milleproroghe (dl 194/09) con tutto il suo carico di posticipazioni che riguardano nel dettaglio anche “spinose” tematiche ambientali.
Infatti, “nel mare delle procrastinazioni italiche” non poteva non trovare posto l’ennesimo regalo agli inquinatori d’atmosfera per eccellenza, cioè i petrolchimici e le raffinerie. La legge ha infatti posticipato di due anni la deadline entro cui i gestori degli impianti dovranno adeguarsi alla disciplina in materia di emissioni atmosferiche previste dal Codice dell’Ambiente (Dlgs 152/2006).
Ma cosa ci stiamo perdendo? Il Codice dell’Ambiente è stato prodotto in seguito ad un’ampia delega conferita al Governo dalla legge n. 308 del 2004 per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale, poi successivamente coordinato dal decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 con le modifiche introdotte dal decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284 e dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4.
Il corpus normativo del codice prevede una semplificazione della normativa ambientale in 5 capitoli, Vas (Valutazione ambientale strategica), Via (Valutazione d’impatto ambientale), Ippc (autorizzazione ambientale integrata), e poi difesa del suolo, gestione dei rifiuti e bonifiche, tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera e danno ambientale. Bypassare le norme che invitano i gestori a diminuire le emissioni significa di fatto permettere il perpetrarsi dell’antica tradizione d’inquinamento che permea la nostra aria, infatti proprio l’allegato II della quinta parte del codice dell’Ambiente prevede dei valori limite più stringenti rispetto quelli attuali. La necessità di fare in fretta è del resto confermata dai dati.
Recenti inchieste del Qds hanno svelato come la Sicilia, secondo gli ultimi dati del Registri Ines disponibili (2006), emette ogni anno il 12,54% dell’anidride carbonica nazionale (CO2), terza regione d’Italia dopo Puglia (21,2%) e Lombardia (13,34%). Di grande livello anche la produzione di benzene, secondo posto nazionale (26,16%), superata solo dalla Puglia (46,13%) e decisamente davanti la Lombardia (9,87%). Il medesimo trio inquinante si riconferma anche nelle emissioni di ossido di azoto, dove a guidare, c’è ancora la regione pugliese (19,63%), seguita a pari merito da Lombardia (11,54%) e Sicilia (11,65%).
L’Isola si conferma al secondo posto nazionale anche in termini di ossido di zolfo (21,20%) e per il particolato che la vede sulla terza piazza d’Italia (7,84%). Inoltre il 90% dell’inquinamento scaricato in atmosfera, secondo dati relativi alle emissioni al 2005 e in fase di aggiornamento al 2007, inventario regionale delle emissioni in aria ambiente adottato con il D.A. n. 94/GAB del 24 luglio 2008, deriva dalla “Combustione nell’industria dell’energia e trasformazione fonti energetiche”. Un risultato scontato che raggiunge i suoi picchi proprio nei cosiddetti Sin (siti di importanza nazionale), e cioè nel triangolo della morte a Priolo, nel Comprensorio del Mela e a Gela, dove da oltre 10 anni sono stati predisposti dei programmi di bonifica, in realtà mai cominciati.