Il mondo suggestivo dell’alimentazione Kasher - QdS

Il mondo suggestivo dell’alimentazione Kasher

Il mondo suggestivo dell’alimentazione Kasher

venerdì 01 Ottobre 2021

Secondo la tradizione ebraica il nostro comportamento nella scelta dei cibi deve essere responsabile

Resistono, ma non si sa per quanto, sotto i colpi inflitti dal sistema della grande distribuzione, con i suoi surgelati pronti da portare in tavola dopo solo quattro minuti di forno a microonde, le pietanze tradizionali, che, ancor oggi, continuano a nascere da tanta abilità ai fornelli e delle ricette amorevolmente passate da generazione in generazione, spesso annotata in poche righe, che ciascuna famiglia custodisce come parte preziosa del proprio patrimonio.

Questa attenzione che accompagna la vera arte della cucina, almeno in parte deriva dalla consapevolezza che non tutto ciò che è commestibile, è adatto a noi, e quindi secondo la tradizione ebraica il nostro comportamento nella scelta dei cibi deve essere responsabile, in quanto anche il semplice atto di alimentarsi, per quanto naturale ed istintivo non deve sfuggire a quelle regole che il Creatore ci ha dato, affinchè tutti gli atti della nostra giornata abbiano una loro ragione e una intrinseca coerenza.

Oggi si fa un gran parlare della cucina tradizionale ebraica, non tanto perché rispettosa dei principi appena ricordati, ma per le sue capacità di sorprendere gradevolmente il palato. In realtà, è inesatto fare riferimento ad una unica cucina ebraica, in quanto le popolazioni ebraiche, a causa della diaspora hanno abitato terre lontane, presso le quali hanno appreso le tradizioni della cucina locale, che hanno fatto proprie, spesso modificandole ed adattandole al proprio gusto. Infatti, accanto alla più nota cucina giudaico-romanesca, coesistono quella ashkenazita, originaria dell’area dell’Europa centrale e dell’est, e quella sefardita proveniente dalla Spagna, dal mediterraneo e dal nord Africa. L’elemento che accomuna queste tradizioni gastronomiche diverse, per i luoghi di provenienza, è il rispetto delle complesse regole della kasheruth. Questa parola dalla quale deriva il termine kasher, significa semplicemente: adatto, appropriato, conforme alla regola.

I principi fondamentali della kasheruth sono contenuti nella Bibbia (Torah) nei libri del Levitico e del Deuteronomio, ma tutto il sistema normativo, che nel corso dei secoli è andato via, via, accrescendosi, è corposissimo, un vero oceano di regole in cui solo esperti rabbini riescono a navigare. Lo stesso Maimonide, uomo di spicco del pensiero ebraico medievale, nella sua opera più conosciuta la Guida dei perplessi, non tralasciò di occuparsi dei risvolti benefici sulla salute di questa alimentazione così disciplinata. La quantità delle disposizioni che governano la Kasheruth è ingente, e non potrebbe essere diversamente, giacchè le regole non riguardano soltanto la preparazione dei cibi, ma partono dalla individuazione degli animali da carne e dei pesci commestibili, passando dai corretti criteri di allevamento e macellazione.

Non sfuggono alla normativa: né il pane, che per essere kasher non deve contenere grassi o altri prodotti di derivazione animale, né il formaggio che viene consumato solo se non contiene caglio di origine animale. Al vino viene riservata una particolare attenzione che accompagna il frutto della vite sino a quando giunge in tavola. Non sarebbe immaginabile un tipo di attenzione diversa, giacché il vino è presente in tante tra le più importanti benedizioni rituali.

In questa complessa normativa un divieto sembra primeggiare su tutti. Previsto dalla Thorah e ripetuto per ben tre volte (Esodo 23:19 e 34:26; Deuteronomio 14:21) stabilisce: “non cucinerai il capretto nel latte di sua madre”. Il divieto è rigorosissimo e non è esente da una suo contenuto etico ed allo stesso tempo di un messaggio di amore per la vita. E’ agevole comprendere come la cottura vietata tende a fare delle due sostanze una cosa sola, interrompendo quel cammino di progressione che è fondamentale in ogni forma di vita. Vi è una norma di carattere morale universale, nonché comunemente accettata e condivisa, che sancisce la inviolabilità del ciclo vitale, che non deve essere sovvertita per nessuna ragione e tanto meno per motivi di carattere gastronomico. Non può accettarsi che il latte della madre, che è per ogni capretto, il cibo che riceve per crescere e svilupparsi, nel compimento del disegno naturale di andare incontro alla vita, possa diventare il suo letto di morte. Queste ragioni rendono il divieto rigorosissimo. Per questo motivo nelle pasticcerie kasher i dolci hanno sempre una apposita cartellinatura che indica se contengano latte o meno. Ciò in considerazione della circostanza che i dolci spesso vengono serviti a completamento di un pasto che potrebbe avere tra le sue portate piatti di carne.

Questa rigorosa distinzione comporta una conseguente separazione per tutti gli utensili di cucina, stoviglie, piatti e posate, dal che la necessità di avere un doppio di tutto da usare separatamente per la carne o per il latte e generi caseari. Addirittura sarebbero necessarie due diverse lavastoviglie. L’osservanza stretta della kasherut viene praticata solo dagli ebrei ultraortodossi, giacchè comporta dei limiti, nella vita di ogni giorno, che realisticamente non è sempre possibile osservare. Le correnti dell’ebraismo progressivo lasciano ai propri aderenti maggior libertà di azione, per cui molti si sentono rispettosi delle regole evitando piatti di maiale o crostacei e non consumando prodotti a base di latte nel contesto di un pranzo in cui si sono consumate portate di carne. Se in ipotesi venisse svolta una indagine su come ciascun ebreo presta osservanza alla miriade di norme della kasherut, certamente si resterebbe sorpresi dalla miriade di diverse soluzioni in concreto adottate.

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