Dalla sua introduzione potrebbe derivare un aumento della produttività e della competitività delle aziende. Il taglio del cuneo fiscale potrebbe evitare che il costo sociale gravi sugli imprenditori
ROMA – Nell’agenda europea, dalla fine del 2020, ha trovato posto un tema di particolare rilievo per la politica italiana: l’introduzione dei salari minimi per i lavoratori. La Commissione europea ha presentato una proposta per introdurre salari minimi adeguati in tutta l’Ue e, pur essendo ad oggi, ancora in fase di approvazione, il dibattito in Italia si è riacceso.
Innanzitutto, è necessario definirlo. Per salario minimo si intende la più bassa remunerazione di natura giornaliera o mensile che i datori di lavoro devono per legge corrispondere ai propri lavoratori dipendenti. Pur essendo le leggi sul salario minimo diffuse in molte nazioni, esistono differenti opinioni su vantaggi e svantaggi e sulla sua eventuale introduzione.
Ad oggi in Italia non esiste il salario minimo (con poche eccezioni, come per esempio quella degli operai agricoli). La retribuzione minima viene garantita solo ai lavoratori ai quali vengono applicati i contratti collettivi nazionali, cioè gli accordi sottoscritti tra sindacati e associazioni di imprenditori con cui vengono stabilite le retribuzioni minime dei lavoratori nei vari settori. Se è vero che l’Italia è uno dei Paesi dove è più diffusa la copertura dei contratti nazionali è altrettanto vero che sono molti i lavoratori nelle condizioni più difficili a cui, secondo gli scettici, la misura non arriverebbe.
Nel linguaggio economico si parla di “mercato” del lavoro al fine di valorizzare lo scambio tra domanda e offerta che spesso hanno difficoltà a incontrarsi, con la conseguenza di disoccupati che non trovano lavoro e di imprese che non trovano lavoratori. Un argomento complesso in cui l’oggetto “persone” scambiano servizi in cambio di retribuzione.
In linea generale, potremmo dire che la retribuzione riflette sia la produttività del lavoratore e il valore che ha sul mercato il suo “capitale umano” e il “capitale materiale” messo a disposizione dall’impresa per cui lavora. Elemento da non sottovalutare è poi il grado di esposizione dell’impresa alla concorrenza. Le imprese meno esposte pagano salari più alti e immettono sul mercato prodotti più “costosi”. I contratti però difficilmente vengono fatti ad hoc. Pertanto, le parti sociali, preferiscono mantenere nell’ambito della contrattazione collettiva la definizione del minimo salariale che proprio per questo non copre tutti i lavoratori.
Il presidente della Piccola Industria di Confindustria, Carlo Robiglio, è intervenuto nel dibattito sulla possibile introduzione del salario minimo in Italia, individuando nella contrattazione collettiva la strada da seguire per combattere il dumping salariale e assicurare retribuzioni che rispettino e tutelino la dignità dei lavoratori.
Il problema che però si fa sempre più pressante riguarda il numero dei “non rappresentati” cresciuto negli ultimi decenni a causa della maggiore precarietà del lavoro indotta dalla crisi che ha comportato minore sicurezza e salari più bassi. Ed è questa la fascia di lavoratori direttamente interessata al salario minimo. Le controindicazioni sono d’altra parte altrettanto presenti. Si può affermare che, con una discreta probabilità, un salario orario elevato comporta una riduzione della domanda e/o una tendenza alla delocalizzazione con conseguente difficoltà nell’assunzione di disoccupati. Pertanto, ciò che è buono per chi ha un lavoro non è necessariamente buono per chi il lavoro lo sta cercando ed è possibile che, almeno nel breve periodo, i costi sociali di un intervento a suo favore siano più visibili dei benefici. I costi iniziali possono trasformarsi nel tempo in elementi positivi, determinando un aumento della produttività dei lavoratori interessati e della competitività delle imprese
Gli scettici, nella fattispecie imprenditori e taluni gruppi sindacali, hanno mostrato numero resistenze affermano che, l’aumento delle spese sostenute dall’azienda per i lavoratori – cosiddetto costo del lavoro – metta le aziende fuori mercato nei confronti di quelle estere. Inoltre, un salario minimo fissato per legge rischia di scardinare la contrattazione nazionale laddove quest’ultima ha mostrato di funzionare.
Il tema può essere quindi ricondotto alla fissazione e, ancor prima alla definizione, di salario minimo. Il Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha affermato che “il salario minimo per i giovani è determinante, così come anche per le donne” e che la sua introduzione potrebbe portare a un aumento della produttività oltre a proporre di fissare una retribuzione minima a 9 euro lordi l’ora. Stima in circa 4 milioni i lavoratori la cui retribuzione aumenterebbe, con un sensibile aumento del costo del lavoro e contraccolpi negativi sull’occupazione. Lo stesso Inps ha però sottolineato la notevole variabilità del numero di lavoratori coperti dalla misura a seconda del livello del salario minimo e della definizione di retribuzione lorda. Il livello dovrebbe inoltre tener conto della diversità del potere d’acquisto tra le diverse regioni del Paese.
Il ministro delle Politiche agricole, alimentari e Forestali Stefano Patuanelli ha proposto che alla battaglia (sacrosanta) per il salario minimo si accompagni un taglio del cuneo fiscale: “Il ragionamento da fare – ha detto – è garantire un salario minimo che non può essere pagato dagli imprenditori ma con un taglio del cuneo”.
Per tirare le somme è però necessario sottolineare che il progresso complessivo di un paese e i suoi valori costituenti sono frutto di un mondo del lavoro equo. Fissare regole valide per tutta l’Unione europea serve a limitare abusi e distorsioni. Il minimo salariale, se ben strutturato, può rappresentare una di queste regole e deve essere volto alla creazione di un mercato civile e ugualitario.