Dati allarmanti sul rapporto fra ambiente e economia illegale all’incontro svoltosi a Messina. Nella graduatoria nazionale, l’Isola è terza dopo Campania e Calabria
MESSINA – Ecomafie e criminalità economica: questo il tema dell’incontro, promosso da Legambiente, svoltosi a Messina il 26 novembre nell’ambito del “No ecomafia Tour 2009”. L’iniziativa si rivela prezioso strumento per far conoscere, con dati e cifre, le conseguenze dell’attività criminale legata all’ambiente.
In Sicilia nel 2008, il 10,8% degli econreati nazionali, pari 2.788 casi. Nella graduatoria nazionale, l’Isola è terza, dopo Campania e Calabria.
Ad aprire i lavori, Tiziano Granata, presidente del settore “Ambiente e Legalità”, che ha illustrato i dati del dossier. Il quadro che ne è emerso è davvero impressionante, per numeri e tipologie di delitti ambientali.
Nessun settore sembra essere esente, e l’intreccio, spesso subdolo e invisibile, con il tessuto economico del Paese, lascia sgomento. “Le figure al servizio dell’ecomafia sono i cosiddetti colletti bianchi – ha spiegato Granata – professionisti quali imprenditori, avvocati, politici, chimici, grazie ai quali la criminalità organizzata gode sempre di ottima salute, tanto da rappresentare la prima industria, con un fatturato di oltre 20 miliardi di euro.
I numeri raccolti da Legambiente, purtroppo, rappresentano solo la punta dell’iceberg, perché il più delle volte manca la denuncia. Un grosso elemento di difficoltà è rappresentato dall’impossibilità di stabilire un nesso tra reato e vittima. E spesso la percezione del reato è bassa o nulla.
“La normativa è molto complicata e le forze dell’ordine non sono preparate in maniera specifica – ha aggiunto Luigi Patronaggio, Procuratore Capo della Procura di Mistretta – Il crimine presenta aspetti d’indubbia difficoltà investigativa. Spesso il crimine ambientale infatti non ha vittime accertate in tempi brevi. Si pensi allo smaltimento illegale dell’amianto: recenti studi accertano che l’inalazione causa tumori al polmone anche dopo 30 anni.
Per questo tipo di indagini – ha ribadito Patronaggio – sono necessari organismi specializzati. Spesso i reati cosiddetti ambientali non sono riconoscibili, e quindi, anche da parte delle forze dell’ordine, ci vuole una preparazione specifica.” Successivamente è intervenuto Nuccio Barillà, Consigliere del Comune di Reggio Calabria, che ha raccontato 15 anni di inchieste che hanno portato alla luce la vicenda delle navi dei veleni. “Tra il ‘95 e il 2000 – ha spiegato Barillà – sono state abbandonate in mare 637 navi sospette, delle quali 52 solo nel Mediterraneo”.
Ha chiuso i lavori Enrico Fontana, autore del Rapporto Ecomafia. “Questa contro le ecomafie è una battaglia di civiltà. Per vincerla occorre che il ruolo della politica cambi, e che cresca una nuova cultura giuridica”.