“La formazione è un settore da rinnovare. Sono assolutamente d’accordo con chi sostiene che bisogna abolire la legge 24/76, considerata come ammortizzatore sociale. Questa legge è uno strumento di lucro per chi ha avuto la possibilità di gestire gli enti di formazione che, purtroppo, non sono affatto destinati a questo, ma sono sedi di gestione esclusivamente clientelare. Dei giovani che seguono i corsi, è un dato di fatto, l’80% non ha alcuna tipologia di professionalità. Bisogna avere il coraggio di operare un cambiamento”.
“Dobbiamo partire da lontano perché è una questione di moralità e di responsabilità, di etica comportamentale e l’etica proviene dalla cultura. Non sono filoclericale, ma basterebbe leggere l’enciclica di Papa Benedetto XVI che ci sollecita ad un ritorno alla responsabilità, ma soprattutto alla trasparenza e all’etica. Per far questo bisognerebbe far capire alla classe dirigente che è necessario spogliarsi di quel forte senso di omertà per tornare ad essere coraggiosi, per dire alla gente ciò che veramente occorre per il bene comune, per lo sviluppo e non per il politico stesso. Ma visto che nel Meridione il voto d’opinione è pressocché nullo, ci si basa su strumenti che possono essere di consenso per essere di volta in volta riproposti. Io non sono soltanto formalmente contrario a questo sistema, lo sono anche politicamente e lo sarò operativamente. Quest’anno era stato elaborato un bando che poi è stato bloccato e cancellato. Successivamente è stato riproposto in maniera semplicistica il bando del 2008, come se quello fosse il vademecum per il futuro della formazione e dell’innovazione in Sicilia. Credo che sia stato errato il primo, ma ancora più errata la seconda decisione perché il bando è stato modificato per garantire chi era rimasto precedentemente fuori. Come si può notare, non è cambiato nulla”.
“Nel bilancio abbiamo previsto 197 milioni, ma il bando del 2008 prevede una copertura complessiva di 256 milioni, oltre agli aggiornamenti salariali. Si arriverà così a 260 milioni. L’Ars prima della fine dell’anno dovrà provvedere alla copertura delle restanti somme. E la cosa più grave è che la politica tiene più in considerazione determinate categorie di persone che vengono a protestare sotto il Palazzo, piuttosto che altre che protestano, ma producono. Penso a Fiat, Siteco, St Microelectronics, per fare un esempio. A loro non andiamo incontro, agli enti di formazione sì”.
“Partiamo dagli enti locali: queste amministrazioni oggi riescono a chiudere i bilanci solo ed esclusivamente grazie ai residui attivi, cioè tasse dei cittadini non pagate che potenzialmente dovrebbero essere riscosse. Dico questo perché soltanto con queste risorse ipotetiche oggi si possono chiudere i bilanci e far fronte agli impegni assunti per pagare i fornitori esterni. E siccome di fatto queste risorse, tenuto conto anche di un alto tasso di evasione dei tributi locali che supera oltre il 30 per cento, vengono raramente incassate nella totalità, evidentemente vi è una lungaggine per pagare i fornitori. Questa però non è una situazione facilmente sanabile. Credo che bisognerebbe lavorare per una revisione contabile amministrativa degli enti locali che prevede una programmazione più oculata e più attenta sia degli acquisti, ma soprattutto delle risorse pubbliche. Bisognerebbe trovare una strategia, il problema è come operare sotto il profilo giuridico e a chi affidare il compito. Perché se la classe dirigente attuale è la stessa del passato e quindi radicalmente irresponsabile sulla programmazione della spesa, evidentemente faremmo un buco nell’acqua”.
“è piuttosto blando perché la materia era parte integrante della finanziaria e, come è noto, è stata stralciata per una serie di ragioni. Il disegno di legge è stato più indirizzato all’industria perché per il rilancio del settore spingeva l’allora assessore Gianni, ma poi si è deciso di spalmarlo su tutti gli altri”.
“Sì. Per esempio la co-gestione dei beni culturali con il privato può essere vista come una soluzione e non come un fallimento secondo quanto ha dichiarato il neo assessore ai Beni Culturali, Leanza. Mi è capitato durante alcuni viaggi, sono stato molto all’estero, di verificare un notevole interessamento nella co-gestione, in particolare negli Emirati, perché viene considerato un ritorno in termini di immagine e sotto il profilo culturale ed economico. Ma ho anche letto che le imprese straniere non investono in Sicilia, non tanto per la mafia che comporta il 2/3 per cento, ma per la mancanza di credibilità nelle Istituzioni che incide per il 25 per cento, cioè per la cosiddetta malaburocrazia. Se nel settore dei beni culturali avessimo la possibilità di attrarre grossi investimenti stranieri e di potere avvalerci della co-gestione con un monitoraggio attento e protetto sotto l’aspetto giuridico, certamente potremmo offrire un prodotto migliore ai nostri visitatori. Un turismo completamente opposto dal cosiddetto mordi e fuggi, piuttosto un soggiorno con servizi reali”.