Rifiuti, Tari alle stelle e discariche... in strada. Il prezzo della mala gestio - QdS

Rifiuti, Tari alle stelle e discariche… in strada. Il prezzo della mala gestio

Rifiuti, Tari alle stelle e discariche… in strada. Il prezzo della mala gestio

mercoledì 01 Dicembre 2021

A Catania media di 504 €, la tassa più alta d’Italia per avere un servizio insufficiente. E con l’export si rischia di pagare il triplo

PALERMO – Manca solo un mese alla scadenza dell’avviso esplorativo per la manifestazione di interesse da parte dei big del mondo dell’impresa in merito alla costruzione e successiva gestione di due termoutilizzatori da realizzare in Sicilia. Il bando, che era andato una prima volta deserto, è stato ulteriormente prorogato fino a fine anno. Si tratta solo del primo capitolo di un lungo iter che potrebbe finalmente portare una boccata d’ossigeno nell’Isola, da decenni nel limbo “del ciclo dei rifiuti” che sono diventati troppi per le poche discariche ormai esauste. Si sono fatti avanti già i primi timidi segnali di interesse da parte di diversi colossi del settore come A2A, Acciaierie di Sicilia e la spagnola Acciona. Se ne contano all’incirca una decina finora.

Peccato che, appunto, questo rappresenta solo il primo step di un percorso per il quale potrebbero essere necessari anni prima di vedere finalmente la luce. E, nel frattempo, gli impianti di smaltimento non riescono più a sostenere i circa 449 kg di rifiuti prodotti in un anno da ogni singolo abitante dell’Isola, il 58% dei quali finisce nelle discariche (dati Ispra 2019). Il risultato? Tonnellate di Ru esportati al Nord, dove i termovalorizzatori sì che ci sono e fanno anche il loro dovere. Basti pensare che solo in Lombardia se ne contano ben 13.

A fare le spese di una ormai nota mala gestio della cosa pubblica e di un’evidente carenza impiantistica nel settore, sono proprio i cittadini siciliani che si trovano in mano un conto salatissimo da pagare per la Tari, la tassa per i servizi di raccolta, trasporto e smaltimento o recupero di rifiuti. Addirittura il terzo conto più alto di tutta Italia dopo Campania e Liguria. Stando all’indagine annuale “Rifiuti urbani” di Cittadinanza attiva, a fronte di una media nazionale di 312 euro, i siciliani dovranno sborsare 74 euro in per nel 2021, di poco distanti dagli abitanti della Terra Felix (416 euro) e di quelli liguri (407 euro). Molto più fortunati, invece, i cittadini del Veneto che si aggiudicano la cifra più bassa della nazione con 232 euro, in calo del 3,8% rispetto all’anno precedente. Non stupisce che, ancora una volta, le famiglie costrette a sostenere i costi più elevati si trovino nella maggior parte dei casi in regioni del Meridione, con una spesa media per lo smaltimento dei rifiuti pari 353 euro, il che vuol dire 83 euro in più dei connazionali del Nord.

CAPOLUOGHI SICILIANI “ULTIMI DELLA CLASSE”

Catania si conferma, per il secondo anno consecutivo, il capoluogo più caro di tutta la nazione. Nella provincia etnea, infatti, i cittadini dovranno corrispondere ben 504 euro, un primato tutto in negativo che si scontra con una scadente qualità del servizio corrisposto. Da mesi la città metropolitana, come più volte denunciato dal QdS, è in piena emergenza rifiuti sebbene nelle ultime settimane l’amministrazione comunale si stia impegnando per invertire la rotta, dalla raccolta porta a porta alle centinaia di multe elevate nei confronti dei cittadini più indisciplinati: “Circa 500 negli ultimi venti giorni” dichiarano dal Palazzo degli Elefanti. Rimane comunque un fatto che il capoluogo ha raggiunto appena il 14,5% di differenziata nel 2019, il dato più basso della regione.

Non va tanto bene neanche alle altre province siciliane: nella lista dei 10 capoluoghi italiani costretti a saldare la Tari più costosa, oltre al comune etneo, troviamo anche Agrigento e Messina, rispettivamente con 428 e 422 euro. Quasi pari merito, poi, Siracusa con una Tari pari a 418 euro e Trapani, con 417 euro, e in entrambe i comuni i cittadini sembrano riprendere fiato rispetto all’anno precedente, con una diminuzione del tributo del 5,5% nella prima e dell’1,6% nella seconda in relazione al 2020. Rimane stabile, invece, il capoluogo ibleo in cui una famiglia paga in media 405 euro per la gestione dei rifiuti prodotti mentre il balzo in avanti più alto si registra a Caltanissetta in cui la tassa impenna a 319 euro, ovvero 31 euro in più dell’anno trascorso. Il tributo più economico, invece, si registra ad Enna: 254 euro, in diminuzione di circa 26 euro. Inaspettata la cifra corrisposta dagli abitanti del capoluogo di regione, nonostante l’elevata produzione di rifiuti e la bassa percentuale di raccolta differeenziata nell’area metropolitana: i palermitani, infatti, verseranno 309 euro per la Tari nel 2021, ben 77 euro in meno della media isolana.

DIFFERENZIATA A MACCHIA DI LEOPARDO

La Sicilia è maglia nera in Italia in termini di raccolta differenziata. Come emerge dal rapporto di Cittadinanza attiva su dati Ispra, infatti, la percentuale si attesa ancora intorno al 38,5%. Un abisso dalla diligente Veneto, con il 74,7% e dall’avveniristica Lombardia in cui la percentuale è pari al 72% e nella quale solo 4 kg di rifiuti ogni 100 vengono conferiti in discarica. Da una prima osservazione dei dati regionali, però, emergono delle consistenti differenze, da cui ne fuoriesce una variegata mappa della nazione, che potremmo definire “a macchia di leopardo”. Mentre a Catania, come già detto, solo il 14,5% dei rifiuti vengono opportunamente diversificati a fronte dei 724 kg prodotti pro capite, ad Agrigento si registra la percentuale più alta di tutta l’Isola pari al 68,9%, ovvero il 7,3% in più rispetto alla media nazionale. Sul podio delle più virtuose troviamo anche Ragusa (68,5%) e Trapani (57,6%). Enna si mantiene in posizione mediana, con poco più della metà di Ru opportunamente differenziati, seguita da Caltanissetta (42,3%). Si salva per un soffio dalle ultimissime posizioni Siracusa, in cui la raccolta ha raggiunto il 20,6%. Fanalini di coda insieme al capoluogo etneo, invece, Messina e Palermo, rispettivamente con il 18,8 e il 17,4 per cento.

QUEL GAP IMPIANTISTICO CHE CI COSTA CARO

La riduzione del conferimento energetico passa, innanzitutto, da un opportuno recupero energetico di quanto prodotto. Trasformare in energia può essere la risposta all’accumulo indiscriminato di scarti che, nelle quantità in precedenza descritte, sono difficili da gestire a fronte di un gap impiantistico che attraversa l’Italia, specie al Centro e al Sud. Come evidenziato da The European House Ambrosetti, tra i più famosi think tank privati, nel suo Position Paper “Da Nimby a Pimby” realizzato in collaborazione con A2A, il nostro Paese ha tempo fino al 2035 per raggiungere gli obiettivi previsti dal “Circular economy action plan” della Commissione Ue.

Il piano d’azione europeo per la promozione dell’economia circolare, infatti, prevede che entro questa data dovrà essere raggiunto dai paesi membri l’ambizioso obiettivo massimo del 10% di rifiuti conferiti in discarica che, attualmente, in Italia si attesa a più del doppio, ovvero al 20,9%. Questo vuol dire che ci restano meno di 14 anni per metterci in pari con le direttive europee. Basti pensare che in Sicilia si registra un fabbisogno di trattamento della sola frazione organica da colmare pari a 709,6 mila tonnellate. Risolvere questo deficit, invece, potrebbe convenirci parecchio in termini economici. Secondo le previsioni della società, infatti, a fronte di un investimento nel settore di 4,5 miliardi di euro (un quarto della spesa annua nel nostro paese destinata a sussidi legati a combustibili fossili) la ricchezza totale distribuita sul territorio nazionale risulterebbe pari a 11,8 miliardi.

In buona sostanza, spiegano gli esperti, per ogni euro di impatto diretto si generebbero nell’economia ulteriori 1,6 euro. La realizzazione di impianti per il trattamento della frazione organica potrebbe determinare, di conseguenza, un beneficio economico importante in termini di risparmi della Tari, specie in quelle regioni in cui la differenziata si attesta sotto il 55%. Da ciò ne conseguirebbe che le famiglie delle 7 regioni “in deficit” in termini di dotazione impiantistica, tra cui compare anche la Sicilia, potrebbero complessivamente riuscire a risparmiare sul tanto dispendioso tributo una cifra record pari a ben 557 milioni di euro.

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Mario Alvano (Anci Sicilia): “Regione, Comuni e Srr devono cooperare pensando in un’ottica industriale”

PALERMO – I Comuni siciliani sono spesso costretti a imporre ai cittadini un conto salato per la gestione dei rifiuti, scontrandosi con un sistema che richiede di tenere in attivo le casse dell’amministrazione. Allo stesso tempo, però, sono ancora tanti i siciliani che non contribuiscono al pagamento della Tari e solo pochissimi Comuni, come ad esempio quello di Sant’Agati Li Battiati (Ct) riescono a scongiurare aumenti e a non inficiare sulle tasche di quella piccola fetta di cittadini che paga la Tari. Per comprendere le criticità che le amministrazioni comunali devono affrontare, abbiamo discusso con Mario Alvano, segretario generale di Anci Sicilia, di possibili soluzioni ed eventuali correttivi per affrontare il problema.

In che modo i Comuni possono contribuire a risolvere le criticità relative a disservizi e costi onerosi connessi ai rifiuti?
“È sicuramente interesse primario dei sindaci che i costi connessi alla Tari possano essere soggetti a riduzione per tutelare gli interessi di cittadini e imprese perché è evidente che il costo del tributo pesa sia sui primi ma anche sull’apparato produttivo e sull’intero tessuto economico locale. È dunque per noi prioritario supportare la sostenibilità delle imprese ed evitare eventuali appesantimenti. Il problema dei costi elevati della Tari in Sicilia è in larga parte connesso al sistema di gestione e trattamento dei rifiuti e, come abbiamo più volte denunciato come Anci, nella nostra Isola in tal senso c’è un ritardo che dura ormai di troppi anni. Si tratta di un ritardo legato innanzitutto alla realizzazione di impianti che consentano una gestione con maggiore economia del rifiuto. Rispetto ad altre regioni soffriamo di una importante carenza di impianti ad hoc sia per il conferimento dei rifiuti che per il trasporto di questi ultimi. Ne consegue che, indifferenziati o meno, siamo costretti a portarli molto lontano, in Italia o all’estero, con un conseguente aumento dei costi che ricade necessariamente anche sulla Tari. Si è poi determinato anche un circolo vizioso in tema di riscossione perché, se è vero che il tributo ha una tariffa elevata, allo stesso tempo sono ancora pochi i cittadini siciliani che la pagano, influendo anche sulla tenuta economica delle amministrazioni. Il sistema ha dunque dei limiti che ci trasciniamo da troppo tempo di cui fanno le spese soprattutto i cittadini ma adesso ci troviamo di fronte a una grande occasione che possiamo sfruttare quale il Pnrr, una parte della quale è destinata proprio al tema dei rifiuti”.

Come uscire da questo “limbo”? Aumentare i livelli di raccolta differenziata potrebbe essere una soluzione? E i termovalorizzatori?
“La legge regionale 9/2010 relativa alla gestione integrata dei rifiuti ha avuto sin dalla sua nascita un iter faticosissimo, con difficoltà che perdurano anche oggi in ambito di gestione e per quanto concerne i sistemi di regolazione del settore quali le Srr che governano il sistema ancora con molte difficoltà. Sicuramente la differenziata può essere parte della soluzione ma è anche vero che non sempre essa rappresenta motivo di economicità in quanto, soprattutto nelle fasi di avvio, porta con sé spese non indifferenti. La presenza di impianti per la raccolta e il riuso dei rifiuti a breve distanza potrebbe comportare risparmi ma, purtroppo, attualmente non è sempre così perché capita che il ciclo non si concluda per assenza di sistemi di gestione adeguata. In altre parti d’Italia il rifiuto è una risorsa grazie alla presenza di impianti sufficienti mentre noi spesso siamo ancora costretti a combattere con discariche sature e malfunzionamento dei pochi sistemi di raccolta e trattamento. Dal mio punto di vista la soluzione non è il termovalorizzatore in sé, che può esserne sicuramente parte, quanto piuttosto il fatto di scegliere. Scegliere finalmente di adoperarsi affinché in Sicilia si possa fruire di un’impiantistica adeguata a soddisfare le esigenze del nostro territorio. Gestire poco e niente, di fatto, preclude la possibilità di abbassare i costi e attivarsi affinché i cittadini possano fruire di un servizio adeguato”.

Si stima che alle nostre discariche rimangono appena due anni di vita. Come possiamo attivarci per correre ai ripari?
“C’è da chiedersi innanzitutto come mai sia passato così tanto tempo e ancora il problema non sia stato affrontato o risolto, così come noi di Anci Sicilia abbiamo sottolineato più volte da tantissimi anni. È vero che i Comuni hanno anche la loro parte di responsabilità in quanto fanno parte degli organismi di regolazione che teoricamente sono competenti per la realizzazione degli impianti però, come Anci, abbiamo constatato che la legge regionale che attualmente regola il sistema (9/2010, ndr) ha avuto un iter faticosissimo, come anticipavo prima. Oggi qualcosa sta decollando ma ancora con immensa fatica. Di fronte a una situazione di questo tipo, dunque, non si dovrebbe operare secondo modalità ordinarie ma, anzi, tenendo conto di una condizione di emergenza. Bisognerebbe dotare la Regione e le relative società di opportuni strumenti per attivare in breve tempo impianti efficienti in deroga alle norme vigenti. E attenzione, in deroga non vuol dire che debbano essere realizzati approssimativamente ma piuttosto che vi sia la possibilità di snellire le procedure fornendo adeguati mezzi normativi e finanziari. Abbiamo un evidente difetto di capacità nella gestione di tutto il sistema, dalle professionalità alla progettazione ma le risorse ci sono e rischiamo di perdere l’occasione di sfruttare quelle offerte dal Pnrr. Il tema è dunque che, se con le regole ordinarie abbiamo fatto tutta questa fatica, vuol dire che invece dovremmo centralizzare la gestione, creare un piano ‘straordinario’ ad hoc, intercettare le risorse che sono disponibili e potenziare le successive strutture connesse. Le autorità competenti in tal senso sono sostanzialmente tre: Regioni, Comuni e Srr. Il primo grande passo è che tutte e tre cooperino attraverso una visione d’insieme, pensando secondo una vera e propria ottica industriale. La gestione del rifiuto, infatti, deve essere pensata secondo una logica economica e ragionando sulla corretta collocazione fisica degli impianti. Il rifiuto è un bene e l’impiantistica relativa ad esso va costruita tenendo conto della dimensione territoriale”.

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