Omicidio Luca Attanasio, due dipendenti Onu rischiano processo, i nomi - QdS

Omicidio Luca Attanasio, due dipendenti Onu rischiano processo, i nomi

Omicidio Luca Attanasio, due dipendenti Onu rischiano processo, i nomi

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mercoledì 09 Febbraio 2022

Gravissime omissioni e altri atti sono contestati a due dipendenti Onu, oggi accusati di omicidio colposo per la morte di Attanasio e Iacovaci.

La Procura di Roma ha chiuso le indagini sull’omicidio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, uccisi in Congo il 22 febbraio dell’anno scorso nella zona del parco di Virunga da un gruppo armato in un tentativo di sequestro.

I nomi dei due indagati dell’Onu e le accuse

A rischiare il processo, dopo l’inchiesta del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, sono due dipendenti del Programma alimentare mondiale (Pam), agenzia dell’Onu: entrambi sono accusati di omicidio colposo.

In base a quanto ricostruito dagli inquirenti, coordinati dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi e dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, i due dipendenti del Pam, Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, avrebbero “omesso, per negligenza, imprudenza e imperizia – si legge in una nota della Procura – secondo la ricostruzione effettuata allo stato, che risulta in linea con gli esiti dell’inchiesta interna all’Onu, ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti alla missione Pam che percorreva la strada Rn2 sulla quale, negli ultimi anni, vi erano stati almeno una ventina di conflitti a fuoco tra gruppi criminali ed esercito regolare”.

L’attestazione del falso

La procura di Roma “ha ritenuto – si legge in una nota – di aver raccolto elementi idonei a contestare il delitto di omicidio colposo agli organizzatori della missione nel Nord Kivu del 22 febbraio 2021”. In particolare “allo stato degli atti, sono stati raccolti elementi secondo cui gli indagati: avrebbero attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell’Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci, quelli di due dipendenti Pam così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima” prosegue la nota della Procura di Roma.

Inoltre i due indagati “avrebbero omesso, in violazione dei protocolli Onu, di informare cinque giorni prima del viaggio, la missione di pace Monusco che è preposta a fornire indicazioni specifiche in materia di sicurezza informando gli organizzatori della missione dei rischi connessi e fornendo indicazioni sulle cautele da adottare (come una scorta armata e veicoli corazzati)”.

Nessun veicolo blindato per la protezione di Attanasio e Iacovacci

I due dipendenti dell’agenzia Pam avrebbero inoltre “omesso di predisporre le cautele richieste dalla classificazione di rischio attribuita al percorso da effettuare che, pur avendo dei tratti classificati verdi cioè a basso rischio, aveva anche delle parti classificate gialle, cioè a rischio medio che avrebbero imposto di indossare, o avere prontamente reperibile il casco e il giubbotto antiproiettili – si legge nella nota – Avrebbero omesso, in presenza di un ambasciatore, che rappresentando il proprio Paese, costituisce soggetto particolarmente a rischio, e dopo aver dato assicurazioni al carabiniere Iacovacci, a seguito delle sue richieste, di poter usufruire di veicoli blindati (che il Pam aveva in dotazione a Goma), che le misure di sicurezza base sarebbero state incrementate, di approntare ogni utile ulteriore misura di mitigazione del rischio”.

La Procura di Roma infine “ricostruita in modo esaustiva la dinamica dei fatti avvenuti la mattina del 22 febbraio, in particolare le modalità del sequestro e del successivo conflitto a fuoco, prosegue le attività di indagini per il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo, finalizzate ad identificare i componenti del gruppo di fuoco, anche attraverso le tue rogatorie già inoltrate alle autorità della Repubblica democratica del Congo”.

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