Era la primula rossa del ghetto, così come venne presto sopranominato, divenendo un mito e un incoraggiamento per i tanti
Era venuto al mondo il 10 giugno del 1921, nel quartiere ebraico di Roma, tutti lo conoscevano come Moretto, ma il suo nome era Pacifico Di Consiglio. La vita, per lui, sin dall’inizio era stata tutta una lotta, e sempre in salita tra mille difficoltà e stenti, condizione aggravata dalla prematura perdita del padre.
Sin da ragazzo aveva cominciato a praticare la boxe, divenendo un conosciuto e apprezzato pugile dilettante. Ma presto arrivarono gli anni delle leggi raziali, delle espulsioni dei giovani ebrei dalle scuole, dei licenziamenti e degli allontanamenti dalla Pubblica amministrazione. Molti chinavano il capo e accettavano un destino ai loro occhi ineluttabile, non pensavano che fosse possibile insorgere contro il potere del governo, che si manifestava in modo sempre più martellante, con la sua ideologia di morte, i suoi simboli sempre presenti e con gli uomini in camicia nera, oppressivi e afflittivi, sempre a caccia di ebrei.
Per il Moretto non era così, lui era ribelle nell’anima, incapace di arrendersi all’idea della inevitabilità dello sterminio. Non poteva tollerare i soprusi da ovunque provenissero e ancor più quelli inflitti dagli uomini del regime, che imbevuti di una ideologia deragliante, tormentavano altri italiani, onesti e spesso con grandi meriti nei confronti dello Stato, solo perché di fede ebraica. Così iniziavano e diventavano più frequenti le scazzottate in cui Moretto riusciva sempre ad avere la meglio.
Così diventò un personaggio oggetto di interesse per gli sgherri del regime e malgrado fosse sempre presente, nel quartiere in cui era nato e vissuto, nonostante la sua bella figura slanciata e atletica che non poteva passare inosservata, per tanto tempo restò imprendibile. Molti gli appostamenti nel quartiere ebraico della Capitale effettuati dalla Polizia e ancor più numerose le spedizioni delle squadracce di picchiatori, ma lui sfuggiva a ogni agguato.
Era la primula rossa del ghetto, così come venne presto sopranominato, divenendo un mito e un incoraggiamento per i tanti. Si tratta di anni in cui erano frequentissime le delazioni, spesso sollecitate dal denaro o da favoritismi e le spie non mancavano neanche tra coloro che lo conoscevano bene e avevano vissuto, da sempre, a pochi passi dalla sua casa. Così arrivò il primo arresto e la prima evasione rocambolesca. Scappò lanciandosi da una finestra, senza sbarre, della Caserma di Polizia di piazza Farnese. Riconquistata fortunosamente la libertà, non si fermò neanche un momento nella sua lotta e tantomeno smise di proteggere la sua gente.
L’8 settembre del 1943, Roma venne occupata dalle truppe tedesche e il Moretto venne nuovamente catturato e incarcerato. Fu detenuto prima in via Tasso e poi a Regina Coeli, conoscendo le torture e le sevizie dei suoi carcerieri, che avrebbero voluto estorcergli dei nomi, confessioni che non arrivarono mai.
Sembrava stesse calando il sipario sulla vita di questo giovane intrepido, quando, insieme a tanti altri prigionieri, venne caricato su dei camion per essere deportato verso i campi di sterminio. Moretto sapeva bene che si trattava di un viaggio da cui non avrebbero fatto ritorno e insieme al cugino improvvisò un disperato tentativo di fuga.
Erano in zona di Civita Castellano: la tortuosità della strada imponeva ai camion, nella notte cupa, di moderare l’andatura e mentre la velocità stava diminuendo per affrontare la curva, i due giovani inscenarono un diversivo iniziando a urlare di aver visto aerei in cielo che si avvicinano per far fuoco sul convoglio. Durante il panico e la concitazione che seguì alle loro urla, si gettarono dal camion e si diedero alla fuga. Moretto scappò, correndo a più non posso, e si nascose in un bosco riuscendo a evadere ancora una volta. Suo cugino, colpito dalle raffiche dei soldati della scorta, perse la vita a pochi metri dagli alberi tra i quali cercava protezione e salvezza.
Moretto, dopo un periodo in cui trovò rifugio in montagna, tornò nella Capitale per tentare di unirsi ai partigiani e imbracciare le armi contro le odiate truppe occupanti della Wehrmacht. Si distinse nei combattimenti che porteranno alla liberazione della città in zona Porta San Paolo e quando i tedeschi batteranno la ritirata si impegnò affinché non venissero fatti saltare i ponti sul Tevere e per snidare gli ultimi cecchini rimasti in città.
A Liberazione avvenuta, collaborò con generazioni di volontari per garantire la sicurezza degli ebrei romani e per la ricostituzione della sua Comunità, decimata dalle deportazioni e dagli assassini.
La storia della vita di Moretto è felicemente narrata con competenza e dovizia di riscontri, anche documentali e fotografici, nel libro “Duello nel Ghetto” di Maurizio Molinari e Amedeo Osti Guerrazzi, edito da Rizzoli.