Sovranisti, ultracristiani ma anche ex capi di Governo, chi ha aiutato Mosca a indebolire l’Unione europea - QdS

Sovranisti, ultracristiani ma anche ex capi di Governo, chi ha aiutato Mosca a indebolire l’Unione europea

Sovranisti, ultracristiani ma anche ex capi di Governo, chi ha aiutato Mosca a indebolire l’Unione europea

Giuseppe Lazzaro Danzuso  |
mercoledì 30 Marzo 2022

Il giornalista di “Report”, Giorgio Mottola, racconta al QdS come la Russia sia riuscita in questi anni a costruire un clima favorevole nei suoi confronti. Ecco chi sono gli “Influencer putiniani”

“Con la svolta di una politica estera e militare più aggressiva, la guerra in Georgia e in Crimea per intenderci, la Russia ha iniziato ad appoggiare in modo sempre più esplicito numerosi partiti europei d’estrema destra con l’evidente obiettivo di destabilizzare il progetto di un’Europa Unita. Per questo alcuni oligarchi russi hanno finanziato Marine Le Pen e poi il partito di Putin, Russia Unita, ha stipulato un accordo politico con la Lega nel 2014 al congresso che incoronò Salvini leader”. A ricordarlo è Giorgio Mottola, giornalista che realizzò per Report un’inchiesta che fece epoca, “La fabbrica della paura”, trasmessa nell’ottobre del 2019 e in cui si rendeva evidente come gli oligarchi avessero stretto legami forti, in Italia, con organizzazioni di estrema destra e ultracattoliche. A quella puntata seguì “La fabbrica social della paura”, in cui si dimostrava come la disinformazione fosse la nuova arma della lotta politica: “Prima servivano le bombe per destabilizzare – ci spiega Mottola -, oggi basta un profilo Facebook”. E nella guerra che si sta combattendo i social sono strategici.
“Si dice – sottolinea il giornalista – che nelle guerre la prima vittima sia la verità. È quello che sta accadendo anche questo conflitto. I russi usano la disinformazione sui social per indebolire il nemico e manipolare l’opinione pubblica. Ma la stessa dinamica si sta verificando sul fronte filoucraino. E i giornali e le televisioni italiane, che dovrebbero riscontrare adeguatamente le notizie prima di pubblicarle, non stanno di certo facendo una bella figura”. La più eclatante delle figuracce è stata però quella in cui è incorso Matteo Salvini quando sindaco di Przemysl, Wojciech Bakun, ha tirato fuori la maglietta con il volto di Putin indossata dal leader leghista.

“Un proverbio arabo – afferma Mottola – dice: se non ha niente da dire più bello del silenzio, allora taci. Finora Salvini, così come tutti gli esponenti politici da Di Maio a Renzi, sono riusciti a dire su qualsiasi tema, un giorno una cosa e il giorno dopo il suo opposto, senza che l’opinione pubblica condannasse e squalificasse la loro incoerenza. L’aspetto più paradossale è che a inchiodare Salvini a questa figuraccia mondiale sia stato un sindaco esponente di un partito dell’estrema destra polacca. Molto più a destra della Lega”.

In una sua canzone del 1994, Giorgio Gaber già si chiedeva cosa fossero la destra e la sinistra. E sotto questo profilo sono in tanti a non riuscire a definire Vladimir Putin. “C’è una frase di Putin – spiega Mottola – che ne sintetizza la visione politica: Chi vuole restaturare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore. In realtà lui ha un solo obiettivo: ripristinare la grandezza della Russia dopo la fine dell’Unione Sovietica e il vergognoso tracollo dell’epoca di Eltsin che portò al commissariamento da parte del Fondo monetario internazionale. E per raggiungere questo obiettivo si è dimostrato, politicamente, del tutto trasversale, instaurando ottimi rapporti sia con George W. Bush che con Barack Obama. In Italia ha saldato un patto d’acciaio, politico e probabilmente anche finanziario, con Silvio Berlusconi ma ha poi anche proposto la presidenza del Sud Stream a Romano Prodi. Proprio come in Germania, dove ha fatto nominare come presidente del Nord Stream l’ex cancelliere socialdemocratico Gerard Shroeder. E con la conservatrice Angela Merkel ha inaugurato il Nord Stream 1 e avviato la costruzione del Nord Stream 2”.

E questo è uno dei motivi per i quali questa guerra non appare una questione di nazioni o d’appartenenza politica. “Per quanto una parte dell’opinione pubblica occidentale – afferma – stia provando a ripristinare le categorie della guerra fredda, dal punto di vista politico questa guerra è completamente post ideologica. La maniera di Putin di riconnettersi ai fasti della Russia zarista sia sentimentalmente che ideologicamente, passa dal nazionalismo e dal cristianesimo ultratradizionalista. Il leader russo ha saputo proporsi come punto di riferimento dei cristiani ultraconservatori di tutto il mondo che hanno visto in lui un campione della resistenza alla secolarizzazione della società. I suoi oligarchi russi e gli americani ultracristiani hanno sancito un’inedita alleanza fin dal 2013”.

E poiché un’Europa unita avrebbe ostacolato il progetto di Putin di governare i flussi di idrocarburi, ecco il sostegno a partiti che si definiscono sovranisti. Come la Lega, ma non solo. E in dieci anni le organizzazioni ultracattoliche Usa hanno inviato ad associazioni europee un miliardo di dollari. “Negli Usa, con l’elezione di Trump – afferma Mottola –, i grandi miliardari conservatori, storici finanziatori repubblicani, strinsero un’alleanza con la destra religiosa e tra i loro principali obiettivi ci fu la destabilizzazione dell’Unione europea. Con l’invio di enormi somme di denaro ad associazioni europee che avevano nel loro programma l’opposizione a matrimoni omosessuali, all’aborto e a papa Bergoglio, considerato troppo progressista. Pur non avendo mai, al contrario di Salvini, ostentato un’esplicita adesione al putinismo, Giorgia Meloni ha aderito con entusiasmo al World Congress of Family, l’organizzazione ultracristiana guidata da un ex membro del partito nazionalista russo e finanziata da oligarchi vicini a Putin”.

L’altro principale carburante dei partiti sovranisti europei – prosegue – fu l’odio nei confronti dei migranti: nella fase in cui questa Internazionale nera raggiunse l’apice, sia Salvini che la Meloni, in interventi televisivi e istituzionali, parlarono di sostituzione etnica. Una teoria complottista, nata in ambienti neonazisti negli anni Settanta, secondo cui esiste un piano internazionale per rimpiazzare in Occidente la popolazione bianca con cittadini africani”. Come emerse da “La fabbrica della paura” putiniana fu poi l’estrema destra italiana, o attraverso Salvini, come Casapound e Maurizio Murelli di Orion, o direttamente, come Roberto Fiore, leader di Forza nuova, attualmente in carcere per l’assalto no vax alla Cgil. Senza contare che il figlio di Fiore, Alessandro, è portavoce dell’associazione ultracattolica Pro Vita, presieduta da Toni Brandi.

“Molti altri neofascisti italiani hanno fatto la stessa scelta, ma in molti casi l’ostentato interesse ideologico rivolto verso la Russia putiniana nascondeva la disperata ricerca di finanziamenti e di rubli per le proprie organizzazioni politiche. Quanto a Pro Vita, Brandi è un amico di famiglia di Fiore e molti militanti di Fn fanno parte del movimento ultracattolico, occupando anche ruoli di primo piano”.
La Fabbrica della paura vive dunque, da anni ormai, un’escalation di conflittualità: sulla questione migranti, su quella delle vaccinazioni contro il coronavirus, e, oggi, sull’opportunità del fornire armi di difesa all’Ucraina. “Studi accademici – conclude Giorgio Mottola – hanno evidenziato come la disinformazione sul Covid ha viaggiato in molti casi sugli stessi canali social che hanno propagandato in precedenza informazioni false sui flussi migratori e, oggi, quelle sulla guerra. Questo è avvenuto innanzitutto in America, dove i gruppi suprematisti che su Twitter facevano campagna per Trump si sono trasformati con il Covid in megafoni della propaganda no vax. E poi, quasi contemporaneamente, il fenomeno si è allargato anche all’Europa e all’Italia. Basti pensare che in Italia il primo a usare sui social il termine dittatura sanitaria, a mettere in discussione la pericolosità del virus e a protestare contro le misure di distanziamento sociale è stato Roberto Fiore. Ripreso dopo un paio di mesi da Matteo Salvini”.

Dalla camorra alla politica, le indagini di Giorgio Mottola

Giorgio Mottola, 37 anni, campano di Albanella (Salerno), giornalista professionista dal 2010, ha scritto per Osservatorio sulla camorra, il Fatto Quotidiano, l’Espresso e il Corriere della Sera, è stato coautore del documentario Mafia Bunker (2013) e ha curato la sceneggiatura del film La Trattativa di Sabina Guzzanti (2014). Tra gli autori delle antologie Strozzateci tutti (2010) e Novantadue (2012), ha pubblicato, con Maurizio Torrealta, il libro Processo allo Stato (2013). Nel 2017 è stato autore di Camorra nostra, e nel 2019 di Fratelli di truffa. Nel 2020 ha ricevuto il premio Giuseppe Fava per aver “mostrato la forza e il ruolo della stampa in una società civile e moderna”. Con Report, di cui è inviato dal 2012, grazie alla sua capacità di trovare documenti – oltre che di fare domande scomode – è riuscito a mettere a segno una serie ininterrotta di scoop. Che gli hanno fruttato anche querele, aggressioni verbali e persino fisiche. Come quando, nel 2018, durante una conferenza stampa, sventolò una foto satellitare che dimostrava gli abusi in uno stabilimento balneare. E il proprietario gli strappò di mano il foglio cercando di farglielo ingoiare.

Quanto alle domande, celebri sono diventate le reticenze di Matteo Salvini proprio ne “La fabbrica della paura”. L’esordio su Report fu, nel 2012, con “La congregazione”, con Emanuele Bellano. Nel 2013, il piccolo scoop dei commessi del Senato pensionati baby. Poi inchieste su tangenti, favori, scandali, e il filone dell’Ambiente: cambiamenti climatici, eternit, Ilva. E ancora la scienza, in particolare genetica, energia, mafie.

Nell’aprile 2019 con “Tu vo fa’ l’americano”, dedicato a Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump e al suo progetto sovranista in Italia, si apre un altro filone. In ottobre, “La fabbrica della paura” e “La fabbrica social della paura”. Del fronte sovranista ultracattolico, contrario a Papa Francesco, torna a parlare nel 2020 con “Dio Patria Famiglia spa”. E poi racconta “Il virus nero” tra fake news sul Covid-19 e movimenti d’estrema destra, il “lato oscuro della politica lombarda”, con i càmici del governatore leghista Attilio Fontana, svela come Fratelli d’Italia sia “il primo partito anche per numero di arrestati per ‘ndrangheta”, organizzazione che ne “La Cosa nuova” descriverà come la più potente d’Italia e d’Europa.
Nel 2021 arriva “Le menti raffinatissime”, con Paolo Mondani, che snoda il filo, anche questa volta nero, che unirebbe mafia, terroristi di destra, massonerie e servizi segreti deviati, dalla strage di Bologna alle bombe di Capaci e via D’Amelio. Nel 2020 “Dio Patria Famiglia spa” sul fronte sovranista ultracattolico all’attacco di Papa Francesco. E ancora “Il virus nero” tra fake news sul Covid-19 e movimenti d’estrema destra. Poi alcune puntate sul “lato oscuro della politica lombarda”, con i càmici del governatore leghista Attilio Fontana.

Nel 2021 “Le menti raffinatissime”, con Paolo Mondani: Un filo nero collegherebbe infatti l’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 alle bombe di Capaci e via D’Amelio in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Poi, con Danilo Procaccianti, lo scoop dell’incontro in autogrill tra Matteo Renzi e un uomo dei Servizi. E ancora con Paolo Mondani “La Cosa Nuova”, Viaggio all’origine della ‘ndrangheta: come ha fatto la mafia calabrese a diventare l’organizzazione criminale più potente e più ricca d’Italia e d’Europa.

Ma anche il fronte occidentale ha le sue “ombre”

Le accuse a Zelensky, “il Grillo che ce l’ha fatta”

“Una banda di nazisti e tossicodipendenti”.Così Vladimir Putin, il 25 febbraio, ha bollato il governo del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, definendolo un burattino nelle mani della Nato. Più o meno la stessa opinione che Ugo Mattei, docente di diritto internazionale nell’Università di San Francisco, ha diffuso in svariati interventi nel circo mediatico italiano. Zelensky, secondo la definizione di alcuni media nostrani, sarebbe “il Grillo che ce l’ha fatta”: ex comico, è stato eletto presidente dell’Ucraina il 21 aprile 2019, battendo il presidente in carica Poroshenko, con il 73,22% dei voti. Il 20 maggio dello stesso anno, Zelensky ha sciolto anticipatamente il Parlamento monocamerale, la Verchovna Rada, composto da 450 parlamentari.

La Corte costituzionale ucraina nel mese successivo ha proclamato il provvedimento legittimo, e il partito del nuovo presidente, Servitore del Popolo, nelle successive elezioni ha ricevuto il 44% dei voti conquistando 254 deputati. Piattaforma di Opposizione – Per la Vita, partito filo-russo dell’oligarca Viktor Medvedchouk si è fermato all’11,5%, con 43 deputati.

Fin qui nulla di strano. Ma nel maggio scorso – dopo che due mesi prima Piattaforma di Opposizione aveva avviato una procedura di impeachment nei confronti di Zelensky – è stato accusato di tradimento e posto agli arresti domiciliari Medvedchuk, colpevole, secondo il governo ucraino, di aver sostenuto le forze separatiste in quel Donbass dove dal 2014 separatisti filo-russi sostenuti da Mosca hanno proclamato due Repubbliche autonome: Lugansk e Donetsk, riconosciute dalla Russia. Ma non è stato solo l’arresto di Viktor Medvedchouk – definito da Putin un tentativo di trasformare l’Ucraina “in una specie di anti-Russia – a sollevare contro Zelensky molte voci sdegnate, anche in Occidente.

Sì, perché il 20 marzo scorso, in un video diffuso nelle ore notturne, il Presidente ha annunciato che il Consiglio di Sicurezza dell’Ucraina aveva deciso di sospendere per tutta la durata della legge marziale undici partiti a lui contrari. Fra questi c’è quello di Medvedchouk e Blocco di Opposizione, che contano complessivamente 49 deputati e poi il Partito di Shariy, Nostro, Opposizione di Sinistra, Unione delle Forze di Sinistra, Stato, Partito socialista progressista ucraino, Partito Socialista dell’Ucraina, Socialisti, e Blocco Vladimir Saldo.

“Quella di vietare il lavoro di undici partiti, compresi quelli parlamentari, è una decisione che comporta una spaccatura nella società ucraina” ha commentato Viacheslav Volodin, presidente della Duma russa in una dichiarazione diffusa dalla Tass. Ma non è finita: con un decreto, giustificato con lo stato di guerra, Volodymyr Zelensky ha stabilito che le tutte televisioni dovessero trasmettere a reti unificate concentrandosi sul conflitto 24 ore su 24. E davanti alla reazione dell’Unione europea il consigliere del presidente Mykhailo Podolyak, ha dovuto sottolineare come il decreto, che ha portato alla costituzione di un’unica piattaforma televisiva di “comunicazione strategica”, non prevede la chiusura di alcuna rete, ma solo un’unificazione delle trasmissioni.

I partiti non governativi ucraini, la Russia e anche molti in Occidente, sono però insorti contro i due provvedimenti, visti come una volontà di eliminare ogni possibile critica.

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