Mafia, denunciano pizzo ma restano soli: "Da 7 anni in attesa dello Stato"

Mafia, denunciano pizzo ma restano: “Da 7 anni in attesa dello Stato”

Mafia, denunciano pizzo ma restano: “Da 7 anni in attesa dello Stato”

Vittorio Sangiorgi  |
mercoledì 30 Marzo 2022

La storia di due imprenditori palermitani che hanno denunciato il racket delle estorsioni e da sette anni sono in attesa dell'intervento dello Stato

Hanno denunciato la mafia e le richieste di pizzo, con il coraggio e la dignità di chi non si piega ai soprusi. Dalle loro denunce, oltre 30 in poco tempo, sono scaturite due operazioni e, grazie al loro contributo, gli estortori sono stati condannati.

Eppure i coniugi Filippo Misuraca e Margherita Landa, titolari di un’azienda edile di Giardinello (Palermo), non trovano pace. Da un lato le minacce della criminalità e le numerose commesse venute meno, dall’altro l’assenza dello Stato e delle istituzioni, incapaci di dare loro il sostegno che la legge gli riconosce. Una storia assurda, raccontata al Qds.it da Filippo Misuraca.

Filippo Misuraca e Margherita Landa

La testimonianza

“Tutto è iniziato tra il 2013 ed il 2014, quando abbiamo presentato denunce e reso spontanee dichiarazioni che hanno portato a due importanti operazioni. La mia era una ditta sana, che fatturava 4-5 milioni ogni anno”, racconta. Dal momento in cui lui e la moglie dicono di no alla mafia, come previsto dalla legge 44/99, godono della sospensione dei termini esecutivi, fiscali e amministrativi. Una misura che dovrebbe essere transitoria, in attesa dell’elargizione dei ristori per il mancato guadagno.

Tutto, però, si complica all’inizio del 2022: “Il 24 gennaio, ci viene concessa la proroga della sospensione dei procedimenti fiscali, lo stesso non avviene per quelli esecutivi. Ho presentato ricorso in Cassazione, pagando un legale ed un consulente, per falsa applicazione della legge. Adesso attendiamo l’esito. Sono, comunque, spese che io non avrei dovuto sostenere. Ma andrò avanti finché potrò, anche fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché mi devo difendere. Se l’azienda fallirà – tuona – sarà per colpa dello Stato”.

Le battaglie dei Misuraca

D’altra parte, questa non è la prima battaglia giudiziaria dei coniugi Misuraca: “Nonostante il nostro debito fosse congelato, nel dicembre 2019, abbiamo subito un’istanza di fallimento da parte della Procura di Palermo”. continua. Istanza che viene respinta dal Tribunale del capoluogo nel maggio del 2020. Però si tratta di una vittoria amara: “Da quando ho vinto il ricorso contro l’istanza di fallimento, sembra che le istituzioni ce l’abbiano con me”.

I ristori

E i ristori? La vicenda, se possibile, assume contorni ancora più paradossali: “La pratica è stata approvata dal Ministero dell’Interno il 15 febbraio 2015. Inoltre – aggiunge l’imprenditore – siamo stati sentiti due volte dalla Commissione parlamentare Antimafia”. Nonostante questo, però, la pratica è ferma in Prefettura da sette anni, durante i quali i coniugi hanno ricevuto continui rinvii: “Magari le istituzioni avranno cose più importanti da fare, ma non capisco il motivo di questo ostruzionismo”.

Misuraca, poi, sottolinea le pecche della legge, dalla mancata elargizione dei ristori in caso di fallimento dell’azienda al mancato congelamento degli interessi sebbene le tasse siano bloccate. “Si tratta, sottolinea, di una materia complessa e di difficile risoluzione perché normalmente, dopo la prima proroga della sospensione, le aziende falliscono”.

Difficile proseguire l’attività

Alle attuali condizioni diventa difficile portare avanti una regolare attività lavorativa, visto che la sospensione dei termini fiscali non permette di avere la regolarità contributiva: “Vengo chiamato dalla Procura per fare demolizioni di edifici abusivi e non posso eseguirle perché gli enti non possono pagarmi. La mia, sottolinea è praticamente l’unica azienda che si presenta per fare questo tipo di lavori. Vanto dei crediti per lavori fatti, che non possono essere corrisposti. Non è nemmeno possibile, proprio in virtù della sospensione dei termini, compensare i crediti con quelli che lo stato vanta nei miei confronti, con quelli vantati da me. Per non parlare delle banche che non danno un centesimo. Eppure dicono che lo Stato è vicino a chi denuncia…”

La paura di chiudere

“L’azienda va avanti con piccoli lavori di ristrutturazione, sebbene per potenzialità ed attrezzatture potrebbe soddisfare importanti commesse, anche tramite i recenti bonus per l’edilizia. Ci sono venti famiglie che vanno avanti grazie alla mia impresa, i dipendenti sono persone che lavorano con me da 10-15 anni e che, nella maggior parte dei casi, hanno un’età avanzata. E non sarebbe facile, per loro, reinserirsi nel contesto lavorativo se l’azienda dovesse chiudere. Sarebbero rovinati…”.

Il trasferimento

La coraggiosa scelta di Filippo e Margherita, ha avuto anche altre conseguenze ed ha cambiato le loro vite: “Mi sono trasferito a 1000 km di distanza, adesso lavoro come geometra nel milanese. Insieme a me lavorano alcuni dei miei dipendenti, che ho fatto assumere per garantire loro uno stipendio.  Mia moglie da imprenditrice si ritrova a fare l’insegnante. I miei figli, per evitare problemi, sono stati iscritti ad una scuola privata. Visto come stanno le cose, non chiedo un centesimo, non chiedo ristori. Voglio soltanto riprendere a lavorare e a vivere serenamente”. E quando, infine, gli chiediamo se lo rifarebbe, se denuncerebbe di nuovo i suoi estortori, risponde senza esitazioni: “Sì, lo rifarei di nuovo per una questione personale”.

Vittorio Sangiorgi

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