Attribuire le cause della pandemia agli errori o alla hybris dell’uomo moderno è una forzatura storica inaccettabile
Mercoledì scorso vi ho parlato della mia partecipazione (e di quella di Marco Garzonio) alla presentazione del libro di Marco Manzoni “Salvare il futuro – Dall’Homo Hybris all’Homo Pathos”.
Ho pensato che avrei potuto avere il piacere di partecipare a questo incontro tra tre Marco (Garzonio, Manzoni, Vitale), uniti tra loro non solo dal nome ma anche da amicizia e ampia connessione di idee e di sentimenti, limitandomi, secondo la lezione di Cattaneo, a parlare di due temi dei quali ho qualche conoscenza: l’impresa e l’economia imprenditoriale in lotta contro il turbocapitalismo e la lezione della pandemia Covid 19 (per la quale rimando anche al mio libro: Al di là del tunnel, giugno 2020).
Ma c’era un altro motivo che mi creava qualche imbarazzo a partecipare a questo dibattito. Tale motivo consisteva nel fatto che talune impostazioni e passaggi del libro di Marco mi lasciano molto perplesso e su altri sono in disaccordo.
Non vorrei essere frainteso. Apprezzo il libro, come del resto apprezzo da molto tempo il prezioso lavoro di Marco “come artigiano culturale”, cosa di cui ho dato ripetutamente pubblica testimonianza. Il libro è un invito a guardare in faccia apertamente i gravi mali della nostra epoca e a ritornare a pensare. È dunque un libro coraggioso e prezioso. Ed è nell’ambito di questo giudizio positivo che formulerò, con la franchezza che la stima e l’amicizia richiedono, le mie perplessità, per cercare di contribuire alla discussione su temi sui quali ho qualche esperienza.
Ma prima voglio porre in chiaro la mia critica di fondo che verte sul ruolo che il libro, come molti altri, sembra attribuire alla pandemia. Attribuire le cause della pandemia agli errori o alla hybris dell’uomo moderno è una forzatura storica inaccettabile. Le pandemie ci sono sempre state anche senza le cause che gli scrittori apocalittici attribuiscono all’uomo moderno. La pestilenza c’è stata in Atene e ne ha narrato Tucidide, la peste c’è stata a Firenze e ne ha narrato il Boccaccio ed anzi la peste, a quei tempi, ha tormentato l’Europa tutta per due secoli decimandone la popolazione; la peste c’è stata in Lombardia e in particolare a Milano nel 1630 e ne ha narrato mirabilmente il Manzoni con pagine che sono ancora piene di insegnamenti per noi.
Se non abbiamo visto i monatti per le strade di Milano (ma nell’estate 2020 abbiamo sentito una sinfonia di sirene giorno e notte e abbiamo visto nella bergamasca file di carri militari che portavano via, praticamente in fosse comuni, i morti), lo dobbiamo alla scienza e alla tecnica che non sono hybris ma testimonianza della grandezza e dignità dell’uomo e della fedeltà al suo mandato: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen. 2.15).