Report “FragilItalia” di Legacoop e Ipsos: “Tendenza attuale è destinata a proseguire”. Il 57% taglia lo shopping, il 56% i consumi di gas e il 54% le spese per attività culturali
ROMA – L’aumento dei prezzi sta costringendo più di 6 italiani su 10 a ridurre i consumi di energia elettrica, il 57% quelli relativi allo shopping, il 56% i consumi di gas e il 54% le spese per attività culturali e di svago. Una tendenza destinata a proseguire, e in alcuni casi ad accentuarsi, nell’immediato futuro, con l’87% degli italiani costretti a ridurre o evitare i consumi di energia elettrica e di gas, l’84% le cene fuori, l’83% i viaggi, l’82% lo shopping e i divertimenti.
L’inflazione impatta di più sui ceti deboli
Sono queste, in sintesi, le principali evidenze che emergono dal Report “FragilItalia”, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos, in base ai risultati di un sondaggio condotto su un campione rappresentativo della popolazione, per testarne le opinioni relative al tema “Rincari e consumi”.
I risultati del sondaggio confermano come l’inflazione sia una “tassa” che impatta in modo più pesante sui ceti più deboli. Nel ceto popolare, infatti, la riduzione del consumo di energia elettrica interessa il 72% degli italiani (63% il dato medio), quella dello shopping il 73% (dato medio 57%), quella del consumo di gas il 69% (56% dato medio), quella per attività culturali e di svago il 70% (54%).
La tendenza attuale, come già accennato, è destinata a proseguire. Le voci che occupano le prime quattro posizioni nella classifica delle riduzioni di spesa previste nell’immediato futuro (87% per i consumi di energia elettrica e di gas, 84% per le cene fuori, 83% per i viaggi, 82% per lo shopping e i divertimenti) sono seguite dalla riduzione della spesa per prodotti di elettronica (78%), da quella relativa a prodotti di bellezza, scarpe e cultura (tutti e tre al 76%), da quella per benzina e gasolio (75%). Relativamente alla spesa alimentare, i salumi e la carne guidano la classifica delle percentuali di chi dovrà rinunciarvi o ridurne il consumo (67%), seguiti dal pesce (64%), dai formaggi (62%), dai surgelati (58%).
Gli effetti della crisi sulla spesa alimentare
Il Report contiene anche un focus dedicato, appunto, agli effetti dei rincari sulla spesa alimentare, concentrandosi sulle strategie di acquisto messe in atto dalle famiglie per fare fronte all’aumento dei prezzi dei prodotti, sulle modalità di cucinare in relazione all’aumento dei prezzi dell’energia, sui canali di vendita utilizzati per gli acquisti alimentari e sulla shrinkflation, ovvero la riduzione di quantità del prodotto contenuto in una confezione lasciandone invariato il prezzo di vendita.
Per quanto riguarda le strategie di acquisto, il 58% degli intervistati dichiara di aver ridotto l’acquisto di prodotti superflui (il 68% tra gli over 65), il 55% di acquistare soprattutto i prodotti in promozione (63% nel ceto popolare; 60% nelle donne), il 53% di limitare gli sprechi di cibo, il 42% di fare maggiori scorte di prodotti in promozione, il 38% di cercare i prodotti più convenienti, anche se non abitualmente consumati (50% nel ceto popolare).
E l’aumento dei prezzi dell’energia induce anche cambiamenti nelle abitudini più consolidate di chi cucina. Il 47% dichiara di aver ridotto l’utilizzo del forno (54% nel ceto popolare), il 31% di aver aumentato il consumo di alimenti che richiedono cotture veloci (36%) nel ceto popolare, il 29% di aver aumentato il consumo di alimenti che non richiedono cottura, il 24% di cuocere grandi quantitativi di cibo che vengono porzionati e surgelati.
Riguardo ai canali di vendita dei prodotti alimentari, i risultati del sondaggio evidenziano un aumento medio della frequenza di acquisto del 27% nei discount (47% al Sud, 48% nel ceto popolare) e dell’1% nei mercati rionali o centrali. In diminuzione, invece, la frequenza degli altri canali: del 26% nei negozi al dettaglio (46% nel ceto popolare), del 21% nei piccoli supermercati (ceto popolare 37%), del 12% nei supermercati e dell`11% negli ipermercati (38% nel ceto popolare).
Infine, netto il giudizio negativo (espresso da 7 italiani su 10), sulla shrinkflation, ovvero la pratica, messa in atto da alcune aziende, di ridurre la quantità di prodotto contenuto in una confezione per mantenerne fermo il prezzo. Quattro italiani su dieci (il 43%) la considerano una truffa ai danni dei consumatori, 3 su dieci (il 32%) la considerano sbagliata, una presa in giro dei consumatori ai quali non viene comunicata in modo trasparente la riduzione di peso della confezione.