Oggi Giornata mondiale per la diagnosi precoce del cancro alla mammella: in diverse strutture visite senologiche gratuite. "Si può ridurre il rischio mantenendo un peso nella norma e facendo sport"
MESSINA – Ottobre, oltre che di marrone, tipico colore autunnale, si tinge di rosa essendo il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno. E lo è da molti anni, per ricordare che il tumore al seno è una malattia diffusa, ma che può essere prevenuta, anche attraverso campagne di sensibilizzazione sociale. In Italia è una delle neoplasie più frequenti, la prima nel sesso femminile con circa 55.000 nuovi casi l’anno. Si tratta di un tumore la cui incidenza aumenta dopo i 50 anni e il lieve aumento, registrato negli ultimi anni è riconducibile alle massicce campagne di screening intraprese nel nostro paese. Nel 2020 sono stati registrati circa 12mila decessi ma grazie alla prevenzione, alla diagnosi precoce e alla disponibilità di farmaci sempre più innovativi, che hanno rivoluzionato la terapia oncologica, a fronte di un’incidenza in aumento, la mortalità è in progressiva e continua diminuzione. Molto importante sottolineare è che, la sopravvivenza globale a 5 anni per le donne colpite da tumore al seno è pari all’87 per cento.
In Italia è una delle neoplasie più frequenti
“Per tutto il mese di ottobre molte strutture sanitarie distribuite sul territorio nazionale offrono visite senologiche gratuite presso i loro ambulatori, organizzano meeting e dibattiti e pubblicano contenuti informativi finalizzati a informare adeguatamente e responsabilizzare le donne sull’importanza della prevenzione – ha detto al QdS il Prof. Massimiliano Berretta, oncologo medico presso il Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale del Policlinico “G. Martino” dell’Università di Messina -. Vi sono diversi fattori di rischio per il tumore al seno, tra cui l’età e una storia familiare di tumore mammario. Si stima che una percentuale inferiore al 5 per cento dei tumori mammari sia di tipo ereditario, ovvero sia legata alla presenza di una mutazione di specifici geni.
Tra i geni più noti e studiati vi sono il BRCA1 e il BRCA2: le cui mutazioni sono responsabili del 50 per cento circa delle forme ereditarie di cancro del seno. A tal proposito, a tutti è nota la vicenda dell’attrice americana Angelina Jolie che risultata positiva al test genetico per le mutazioni suddette ha deciso di sottoporsi all’intervento chirurgico di mastectomia bilaterale profilattica e recentemente anche a quello di annessiectomia bilaterale. Anche una più lunga esposizione all’attività ormonale, caratterizzata da un menarca precoce (1° ciclo mestruale prima dei 12 anni) e una menopausa tardiva (dopo i 55 anni), l’assenza di gravidanze e il non allattamento, aumentano leggermente il rischio di sviluppare una neoplasia mammaria”.
Tra i fattori di rischio anche l’obesità
“Altri fattori di rischio, altrettanto importanti, sono rappresentati dall’obesità – ha stigmatizzato il medico -. L’associazione tra sovrappeso, obesità e rischio di sviluppare molti tipi di cancro è nota da tempo, soprattutto per tumori come quello del seno o dell’ovaio e di organi che con l’assunzione di cibo sembrano non avere un rapporto diretto. L’obesità rappresenta un fattore di rischio anche per le recidive dopo la diagnosi di tumore mammario ormonosensibile prevalentemente. Questa correlazione è riconducibile alla maggiore produzione di ormoni (estrogeni) che avviene nel tessuto adiposo periferico, soprattutto nelle donne in menopausa. La sana alimentazione e il corretto stile di vita rappresentano quindi un valido alleato sia nel ridurre l’incidenza del tumore al seno che il rischio di recidive dopo la diagnosi”.
“In generale è possibile ridurre il proprio rischio di ammalarsi aderendo ai programmi nazionali di screening e assumendo comportamenti salutari – ha sottolineato Berretta -, come per esempio mantenere un peso nella norma, svolgere attività fisica regolare, evitare il consumo di alcolici e seguire la dieta mediterranea, ben bilanciata per quanto riguarda il consumo di proteine di origine animale (carne rossa soprattutto) e il consumo di frutta e verdura. Tutto ciò è confermato da moltissimi studi scientifici condotti in tutto il mondo. Rimanendo sempre in ambito nutrizionale, anche l’allattamento materno oltre ad offrire tutte i nutrienti necessari per lo sviluppo regolare e sano del bambino conferisce alla mamma una sorta di “scudo” protettivo in grado di ridurre il rischio di tumore mammario”.
Mammografia e autopalpazione
“Per beneficiare di questo effetto protettivo la durata dell’allattamento deve essere superiore ai 3 mesi. Per quanto riguarda le indagini di screening, la mammografia rappresenta la metodica più adeguata ed efficace per la diagnosi precoce, che spesso si associa all’ecografia (complementarietà tra le due metodiche), particolarmente utile nelle donne più giovani. A tutto questo va sicuramente aggiunta l’autopalpazione, facilmente eseguibile che andrebbe fatta mensilmente e a costo zero per il SSN. L’autopalpazione andrebbe iniziata a partire dai 20 anni e il periodo più adeguato a eseguirla è compreso tra il settimo e il quattordicesimo giorno del ciclo. Rispettare questi tempi è importante perché la struttura del seno si modifica in base ai cambiamenti ormonali mensili, e si potrebbero di conseguenza creare, in alcuni casi, confusioni o falsi allarmi. Durante l’autopalpazione, oltre all’eventuale comparsa di noduli di nuova insorgenza bisogna osservare eventuali alterazioni del capezzolo (retrazione o asimmetria), la fuoriuscita di secrezione ematica e cambiamenti cutanei mammari come ad esempio la cosiddetta pelle a buccia d’arancia. Inoltre per le donne a rischio (seno particolarmente denso o mutazioni genetiche per il BRCA 1 e BRCA 2) sono consigliati degli esami di II livello, come la risonanza magnetica”.
“Dal punto di vista terapeutico, negli ultimi anni, sono stati fatti passi da gigante – ha puntualizzato il medico – sia in campo chirurgico che radioterapico e oncologico medico. Infatti, si è passati da chirurgie radicali ma demolitive (mastectomia) ad approcci sempre radicali ma di tipo conservativo, con enormi vantaggi estetici e di conseguenza psicologici per le donne. Le tecniche chirurgiche conservative sono state messe a punto da un grande chirurgo senologo, Umberto Veronesi, orgoglio per la ricerca medica Italia, che negli anni Settanta comprese che la mastectomia era un intervento troppo aggressivo per tumori molto piccoli, che difficilmente possono invadere tutta la ghiandola mammaria. Anche lo svuotamento linfonodale del cavo ascellare (approccio spesso invalidante) è stato sostituito, in casi ben selezionati, dalla tecnica del linfonodo sentinella che risparmia le pazienti da sequele spesso invalidanti, come l’edema del braccio o la sua ridotta mobilità.
Un altro aspetto terapeutico che ha consentito di eseguire interventi chirurgici sempre meno demolitivi è la radioterapia complementare (eseguita sul letto operatorio dopo l’intervento), in grado di ridurre significativamente il rischio di recidive locali. Anche le terapie mediche hanno subito profondi e proficui cambiamenti negli ultimi 50 anni, passando dalla chemioterapia standard a l’utilizzo di farmaci biologici, cosiddetti intelligenti perché in grado di riconoscere e colpire le cellule tumorali, e in grado di migliorare la sopravvivenza in tutti gli stadi di malattia. Infine, non meno importante è l’immunoterapia in combinazione con la chemioterapia, che può essere utile nel trattamento di alcuni tumori mammari in stadio avanzato, in particolare quelli definiti tripli negativi, particolarmente aggressivi e poco responsivi a molti dei trattamenti che abbiamo oggi a disposizione.
Tutti questi traguardi raggiunti in campo senologico, soprattutto negli ultimi decenni, lo dobbiamo anche alla creazione delle cosiddette “Breast Unit”, strutture cliniche dedicate a 360° allo studio e alla cura del tumore mammario. All’interno di queste strutture interamente dedicate alla cura del tumore mammario ritroviamo moltissimi specialisti (chirurghi, radioterapisti, radiologi, oncologi, chirurghi plastici, anatomo patologi, genetisti, nutrizionisti, psicologi, etc…) che garantiscono un approccio clinico-diagnostico multidisciplinare e sempre più efficace nel trattare questa patologia. L’auspicio è – ha concluso Massimiliano Berretta – che continuando su questa strada si possa azzerare quel gap (13%) che oggi ci separa dal 100 per cento di guarigioni”.