Disparità salariale uomo donna Italia: dati

Emancipazione femminile “grande incompiuta”: la disparità salariale nei dati di Acli Sicilia

Emancipazione femminile “grande incompiuta”: la disparità salariale nei dati di Acli Sicilia

Ivana Zimbone  |
venerdì 10 Febbraio 2023

La disparità salariale uomo donna in Italia è maggiore che in tutti gli altri Paesi europei. Ecco tutti i dati del "Lavorare dis/pari", organizzato da Acli Sicilia.

La disparità salariale in Italia è lo specchio di un’emancipazione femminile mai avvenuta. Affonda le sue radici in resistenze culturali che ancora oggi si muovono in vuoti normativi occasionalmente interrotti da leggi che non riescono a invertire la rotta; trova terreno sempre fertile nei luoghi in cui la povertà educativa è più alta, come a Catania; rende le donne sempre più povere, più sole e più insoddisfatte nel quotidiano.

Oggi l’incontro “Lavorare dis/pari” al Camplus di Catania, organizzato da Acli Sicilia, per presentare i dati della ricerca sulla disparità di genere e per individuare tutti quegli elementi concreti che possono aiutarci a interpretarli. Perché i numeri spesso non restituiscono la reale portata dei fenomeni e perché dietro ai numeri ci sono le persone.

Convegno disparità di genere Acli Sicilia
Da sinistra: Garofalo, Cacciola, Aiello, Colloca e Penna.

In che modo si esprime la disparità di genere nel mondo del lavoro?

Come si può notare dalle slide proposte da Acli Sicilia – che elaborano i dati ottenuti dall’accesso alla banca dati di caf e patronati Acli, nonché dalla somministrazione di questionari a un vasto campione di lavoratori uomini e donne – le donne italiane vivono enormi difficoltà nel mondo del lavoro:

  • sono occupate meno degli uomini, perché a loro è riservata in via esclusiva l’attività di cura della casa e del nucleo familiare;
  • percepiscono stipendi molto più bassi dell’altro sesso, a parità di mansioni e ore lavoro prestate;
  • sono più esposte al rischio di dimissioni, a causa della maternità o di altri avvenimenti lungo il percorso della loro vita;
  • anche quando impiegate a lavoro, sono più esposte alla povertà e al rischio di insoddisfazione della loro vita professionale;
  • difficilmente riescono a raggiungere l’indipendenza economica e possiedono redditi nettamente inferiori rispetto agli uomini;
  • si trovano maggiormente costrette a richiedere trattamenti assistenziali per sopravvivere (es. Naspi, reddito di cittadinanza);
  • rappresentano le principali vittime della “contrattualizzazione parziale”, così spesso lavorano molte più ore di quante ne vengono effettivamente stabilite sul contratto e quindi pagate;
  • nel corso della loro vita lavorativa non riescono comunque a colmare il divario di genere.

Il gender pay gap resiste, senza apprezzabili flessioni, pure tra i soggetti che hanno raggiunto un alto livello di formazione e in tutti i settori; contrariamente ai luoghi comuni, risulta addirittura maggiore tra le giovani.

L’Italia – come suggerito da Federica Volpi, ricercatrice Acli nazionali, Dipartimento Pensiero e Politica Area Cultura Studi e Ricerche – da oltre un decennio è il Paese che fa peggio a proposito di inclusione femminile, posizionandosi all’ultimo posto della classifica dell’EIGE.

Quanto guadagna in meno una donna rispetto a un uomo?

“Secondo Eurostat, che calcola il divario sulla base della retribuzione oraria media, nel nostro Paese la disparità salariale uomo-donna è al 5%  – ha spiegato Volpi -. Ma integrando gli altri elementi nel calcolo, il valore cresce molto, superando il 36%“.

Un altro dato da interpretare in modo diverso da quanto appare è quello sulle differenze Nord-Sud. Il divario di genere sembrerebbe più alto al Nord, ma in verità la stessa occupazione al Sud per le donne rappresenta un vero miraggio, lasciando spazio esclusivamente a quelle più istruite che così “riducono statisticamente” il divario.
La disparità salariale, inoltre, riguarda principalmente il settore privato, la libera professione e tutte le attività “non standard”, mentre è inferiore nel settore pubblico.

È bene sottolineare come la disparità salariale – o la differenza stipendio uomo-donna – rappresenti solo uno dei tanti tasselli della discriminazione delle donne nel mondo del lavoro e di cui la maggior parte degli italiani non sembra aver consapevolezza.

“Quando mostriamo questi dati, i datori di lavoro si stupiscono – ha detto Chiara Volpato, Responsabile Nazionale Coordinamento Donne Acli -, perché non ne hanno contezza. Ma questi dati servono a chi ci governa per elaborare le norme, indispensabili perché cambino le regole del gioco, e a tutti gli altri soggetti per modificare le resistenze culturali. Noi donne dobbiamo far capire che c’è necessità di equità. E l’equità è a lavoro così come in tutti gli altri campi, dalla famiglia alla vita sociale”.

Quali sono le cause della discriminazione e perché esiste il gender pay gap?

Seppure le norme – nazionali e internazionali – abbiano posto il principio di parità retributiva di genere, tale parità non si realizza mai concretamente, a eccezione delle laureate in discipline STEM.

Alle già note cause di possibile discriminazione in ambito lavorativo – quali gli handicap fisici e l’orientamento sessuale – si aggiunge dunque il “vulnus” del genere femminile, come suggerito da Salvatore Cacciola, sociologo e responsabile dell’educazione e della promozione alla salute all’Asp Catania: “Le donne sono le ultime a entrare e le prime a uscire dal mondo del lavoro – ha aggiunto -. Possiamo notare persino come il maschilismo permei anche l’accesso ai servizi per le cittadine, non differenziando orari e luoghi in considerazione delle necessità del gentil sesso. Tutto questo, nel contesto di una polarizzazione economica all’interno della nostra società, rischia di renderci più infelici. I corpi intermedi come Acli, invece, tendono ancora all’inclusione, alla solidarietà e alla coesione sociale, rappresentando un valido aiuto per tutti i cittadini”.

La donna come grande estranea del contesto urbano, soprattutto a Catania

La discriminazione di genere è innanzitutto culturale e da sempre si riflette nell’organizzazione urbana; questa la tesi di Carlo Colloca, professore di sociologia urbana di UniCt.

“Facendo ricerca, per andare contro le letture veloci, ci si rende conto di come la città sia connotata da una forte struttura patriarcale – ha detto Colloca -. Quante piazze in Italia sono dedicate alle donne e quante agli uomini? Quante statue femminili ci sono sulle piazze? Alle donne è richiesto il compito di tenere insieme le esperienze di vita nella sfera pubblica e privata, senza alcuna attenzione circa la possibilità di accesso ai servizi. L’organizzazione funzionalista delle città, messa in crisi dall’avvento della pandemia, distingue nettamente i luoghi di lavoro da quelli di formazione e di socialità, allontanando ulteriormente chi vive condizioni di estraneità dal contesto, come le donne, relegate alla cura dei figli e alle altre attività domestiche”.

Il sociologo contrappone il concetto di “valore”, rappresentato da ciò che viene offerto agli uomini o, in generale, a chi si vuole includere nella vita sociale, al concetto di “disvalore” o di discriminazione, destinato a chi si vuole mettere da parte.

Questa distinzione sarebbe vera soprattutto in città come Catania: “Catania ha il record su dispersione scolastica e povertà educativa. In certi quartieri il 28% dei minori non ottempera all’obbligo scolastico (…). Quei minori e le donne di quei quartieri periferici rimangono in una condizione di estraneità che li espone, più di altri, a violenze private (come quella domestica) e violenze economico-sociali – ha aggiunto il professore -. E se la violenza domestica è un’aggressione fisica e intenzionale, che avviene in continuità spaziale e vicinanza temporale, non si può non considerare l’importanza dell’organizzazione degli spazi. La violenza può avvenire anche in ambito lavorativo,  per esempio attraverso la discriminazione spaziale, che preclude la possibilità d’accesso, e il mobbing”.

Tale condizione di estraneità, propria del “vulnus femminile” diventa doppia, quando al genere viene aggiunta la giovane età, oppure tripla, se alla giovane età e al sesso femminile si aggiunge pure la provenienza da un Paese diverso dal nostro.

Nel nostro contesto socio-culturale, poi, dalla violenza economica subita si passa direttamente a tutta una serie di altre violenze che farebbero diventare le donne dei veri e propri fantasmi: “In casa, se guadagni meno, hai meno diritto ad andare a lavorare, hai meno potere economico rispetto all’uomo, hai meno diritto a partecipare alle scelte più importanti”, ha concluso Colloca.

Disparità salariale di genere e “bollino rosa”

Per superare la disparità salariale di genere non è sufficiente tentare di fotografare fedelmente i conti correnti delle donne. E nemmeno promulgare leggi come la n.162/2021 che ha previsto dei “certificati di parità”, con un vantaggio economico minimo, per tutte le grandi aziende che avessero voluto impiegare le donne alla stessa stregua degli uomini.

“La disparità mi fa pensare un po’ al numero dispari. Quello per eccellenza è il numero uno, sinonimo di solitudine. Perché le umiliazioni e le ingiustizie diventano solitudine, anche nei posti di lavoro o in politica, ogni qualvolta non si applica la meritocrazia, giustificando con motivi diversi questa scelta (…). Sembra che la questione donna sia fatta solo di numeri, ma dietro questi numeri ci sono le persone, con la loro personalità, le loro competenze e le loro professionalità”, ha detto Antonella Garofalo, responsabile del Coordinamento donne Acli Sicilia.

L’emancipazione femminile è “la grande incompiuta italiana – secondo la giornalista e redattrice Patrizia Penna del Quotidiano di Sicilia che ha moderato l’incontro – che deve finire di essere terreno di scontro della classe politica, polemica o auspicio, diventando invece cultura reale”.

Ivana Zimbone

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