Il QdS avvia il dibattito sulle prossime elezioni con l’obiettivo di tracciare il profilo del candidato “ideale” e la lista delle priorità per Catania. Parla il prof. Rosario Faraci
CATANIA – In vista delle prossime elezioni comunali, fissate per il 28 e 29 maggio prossimi, il Quotidiano di Sicilia avvia un dibattito con la società civile di Catania per fare un punto sulle priorità della città e sul “profilo” che sarebbe quantomeno auspicabile per i candidati alla carica di sindaco. Il primo a intervenire è il professore Rosario Faraci, ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università di Catania.
Professore Faraci, mancano tre mesi alle elezioni. Al di là dei nomi, qual è secondo lei il profilo che dovrebbero avere i candidati sindaco di un “Comune-azienda” come Catania, con un bilancio da un miliardo di euro e migliaia di dipendenti?
“Se Catania, come lei sostiene, è un comune-azienda di grandi dimensioni, mi permetta la battuta: allora il profilo ideale di un sindaco dovrebbe essere quello di un amministratore delegato, cioè un manager di comprovata esperienza nazionale, meglio ancora se internazionale, capace di portare a casa buoni risultati economici. Ce ne sono diversi, catanesi di origine. In alternativa, andrebbe bene pure la figura di un politico di altissimo spessore, di grande autorevolezza e dalle straordinarie capacità di mediazione, attorniato da uno staff di consiglieri di primo piano, in grado di fare sintesi fra tutte le traiettorie politiche di questa città. Però siamo pratici: non essendo cresciuta vera classe dirigente politica negli ultimi venti-venticinque anni, l’auspicio è che si possa trovare almeno un profilo che abbia ampio consenso, dimostri amore vero per Catania più che per sé, si faccia carico prontamente di mettere a punto con la squadra assessoriale una agenda per iniziare a risolvere, entro un anno, le principali urgenze di Catania. Ci vuole una forte candidatura di servizio”.
Secondo l’indagine dell’Istituto Demopolis, il 75% dei cittadini ritiene che la città sia andata indietro negli ultimi dieci anni. Un giudizio netto che prescinde dai colori politici delle due amministrazioni che si sono avvicendate. Cosa non ha funzionato?
“Le relazioni fiduciarie a Catania sono completamente sfilacciate. La gente non ha più un buon rapporto con la politica e quest’ultima derubrica a malcontento quella che invece è sfiducia dei cittadini che poi si riverbera nel giudizio negativo verso le istituzioni. Pezzi interi della società civile e della classe degli intellettuali vivono in un clima di perenne reciproco sospetto, condito da invidie e gelosie. La classe imprenditoriale, a dispetto delle sigle rappresentative, non è unita ed è incapace di fare da vero contraltare alla politica perché poi ne ha sempre bisogno. I politici non si fidano l’uno dell’altro e litigano pretestuosamente, salvo poi trovare precarie intese di comodo quando ci sono in ballo nomine e candidature. In questo clima, non mi sorprendono affatto gli esiti dell’indagine Demopolis sulla percezione che i Catanesi hanno della propria città negli ultimi dieci anni”.
Lei è impegnato per fare crescere la cultura di impresa nel territorio. Cosa servirebbe per permettere a Catania di fare un salto di qualità in termini di investimenti e attrattività?
“Coraggio, di quello vero che si dimostra coi fatti, con l’esempio, con la lungimiranza delle azioni, non con i proclami, le parole di circostanza, le conversazioni salottiere o i post sui social media. Ci vuole coraggio di investire culturalmente e massivamente sui giovani; di puntare senza remore sull’innovazione a tutto tondo, non solo quella digitale; di irrobustire le competenze di apprendimento permanente, sia di chi già lavora (soprattutto se è precario) sia di chi si affaccia al mondo del lavoro, in modo da provare ad uscire dalla cosiddetta trappola dei talenti nella quale, ahimè, la Sicilia è dentro da tempo, con conseguente perdita di produttività. Il resto, mi creda, viene da sé. Con maggiore cultura d’impresa, il degrado in cui versa infrastrutturalmente la zona industriale sarebbe un problema di tutta la città, non solo per gli imprenditori che insistono in quell’area. Con maggiore cultura d’impresa, si comprenderebbe a livello politico che se non si promuovono spazi pubblici di co-working, di incubazione e di accelerazione della start up, molti nostri giovani se ne andranno via per sempre. Con maggiore cultura d’impresa, gli amministratori e i consiglieri comunali si renderebbero conto che per attrarre buoni investimenti bisogna predisporre pacchetti di incentivi adeguati, per ricevere in cambio non soltanto la promessa di nuovi posti di lavoro ma soprattutto l’impegno dell’investitore di radicarsi per un certo numero di anni a Catania e nel suo territorio”.
Quali sono le azioni che la prossima amministrazione dovrà mettere in cima alla lista delle priorità?
“Quelli che, secondo i Catanesi dal sondaggio Demopolis, sono considerati i bisogni primari afferenti la qualità della vita: soluzioni al traffico cittadino, ripristino del decoro urbano, ottimale gestione dei rifiuti, pulizia delle strade, lotta alla microcriminalità e via discorrendo. Però questo deve essere un impegno di tutti, non solo di chi fa politica nelle istituzioni. Tenere decorosa e accogliente casa propria è indicatore di buona educazione, di ospitalità e di gentilezza. Catania in fondo è di tutti, sia di chi ci vive sia di chi vi accede quotidianamente per lavoro, studio e altre ragioni”.