Fondi Pnrr, sonora bocciatura per il Mezzogiorno - QdS

Fondi Pnrr, sonora bocciatura per il Mezzogiorno

Fondi Pnrr, sonora bocciatura per il Mezzogiorno

Vittorio Sangiorgi  |
sabato 25 Marzo 2023

Tanti progetti presentanti ma con scarso successo. La Svimez: drammatico il dato prodotto dal rapporto tra partecipazione ai bandi e aggiudicazione delle risorse

PALERMO – Sin da quando, nei mesi più duri dell’emergenza pandemica, il Recovery plan muoveva i primi passi era evidente a tutti che il piano di aiuti europeo sarebbe stato un’occasione da non perdere, soprattutto per l’Italia e per le sue regioni meridionali, da sempre indietro rispetto al resto del Paese e dell’Europa. Una sensazione rafforzata quando, nei consessi continentali, vennero ripartiti i fondi e quando il Governo italiano – con i premier Conte e Draghi – mise nero su bianco il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza.

A circa tre anni di distanza da allora, nella fase in cui l’attuazione del piano tricolore è nel vivo, c’è il rischio concreto che il Sud perda l’ennesimo treno, l’occasione di superare alcuni dei suoi atavici mali e di proiettarsi nel futuro seguendo i più elevati standard continentali. L’allarme risuona da tempo e viene – purtroppo – certificato da inequivocabili dati di fatto.

A confermare certi timori, recentemente, è stato un significativo studio che si basa su risultati di una ricerca Svimez-Datamining condotta su un campione di Comuni responsabili dell’attuazione del Pnrr e sulle nuove stime della stessa Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno circa i tempi di realizzazione delle infrastrutture sociali a titolarità delle Amministrazioni comunali. Un intreccio di dati e numeri da cui emerge che la realizzazione degli investimenti degli Enti locali del Sud è a serio rischio.

Una vera e propria beffa se si pensa che – proprio in virtù delle criticità e delle intrinseche caratteristiche di quest’area della nazione – nel Pnrr è prevista la cosiddetta “quota Sud”, ovvero quella clausola che prevede di destinare il 40% delle risorse di ogni singolo intervento al Meridione. La partecipazione ai bandi del Pnrr da parte dei Comuni del Mezzogiorno è infatti elevata, ma a essa non corrisponde, specialmente nelle entità territoriali più piccole che più bisogno avrebbero dei fondi, un medesimo tasso di aggiudicazione.

A pregiudicare il successo, come rivelano le risposte degli stessi amministratori al questionario Svimez, in primis l’eccessiva complessità delle procedure. A tal proposito risulta emblematico il fatto che soltanto il 37% dei Comuni meridionali abbia considerato agevole o molto agevole la partecipazione ai bandi del Pnrr, contro il 43% dei Comuni del Centro-Nord. A ciò si aggiunga che il 40% dei Comuni meridionali ha manifestato una conoscenza solo parziale dei bandi, contro il 30% (di per sé già elevato) rilevato al Centro e nel Settentrione.

Un’altra criticità, sempre secondo le risultanze della ricerca, sta nelle scadenze stringenti imposte dal Recovery plan italiano, evidentemente non in linea con le pachidermiche tempistiche della burocrazia. Ne deriva la già menzionata scarsa percentuale di successo dei progetti, specie nei Comuni più piccoli. Palese il divario Nord- Sud relativamente a tre “categorie”: fino a 5.000 abitanti, tra 5.001 e 10.000, tra 10.001 e 30.000. In tutti e tre i casi l’indice di successo al Sud è inferiore rispetto a quello registrato al Centro–Nord. Se, da un lato (secondo un apposito parametro elaborato dalla Svimez che tiene conto dei progetti presentati rispetto a quelli aggiudicati), si registrano valori pari – rispettivamente – allo 0.57, 0.58 e 0.53, dall’altro corrispondono lo 0.54, 0.50 e 0.46. La situazione si ribalta nelle tre classi di Comuni che hanno da 30.001 a oltre 100.000 abitanti, ma l’andamento generale per il Meridione resta negativo. La media nazionale, infatti, restituisce valori inferiori anche se in una forbice ridotta: 0.54 “contro” 0.50.

Per andare oltre i freddi numeri e portare l’analisi su temi concreti ricordiamo un dato evidenziato qualche tempo fa dal QdS, relativo alle reti idriche. Nell’ambito degli stanziamenti del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti per ridurre le perdite d’acqua, infatti, i progetti siciliani (redatti da Enti locali e società gestrici) finanziati sono stati soltanto tre. Se altri quattro sono stati ammessi ma non finanziati per l’insufficienza delle risorse disponibili, ben dieci sono stati bocciati per un punteggio valutativo troppo basso o per la mancanza dei requisiti minimi di ammissione.

Le problematiche evidenziate, d’altra parte, sono il riflesso di ciò che non va negli enti del Sud Italia. Le cause sono facilmente individuabili e riguardano, anzitutto, il depauperamento subito nel corso degli anni, sia in termini di risorse umane che finanziarie. Il reiterato blocco del turn over, come sottolineato dalla Svimez, ha inoltre determinato l’innalzamento dell’età media dei dipendenti. Una serie di fattori, insomma, che hanno influito su quella che viene definita capacità amministrativa.

Nel dettaglio sono diversi gli aspetti su cui puntare i riflettori

Dal 2008 al 2019 il rapporto tra personale dei Comuni delle Regioni a statuto ordinario e popolazione si è ridotto del 20,9% nel Centro-Nord e addirittura del 33,5% nel Mezzogiorno. Tendenza analoga anche per quanto riguarda la spesa pro capite per il personale dei Comuni, che si è contratta del 16,6% nel Centro-Nord (passando da 302 a 248 euro) e del 26,8% nel Mezzogiorno (con una riduzione da 291 a 217 euro). Quanto agli aspetti anagrafici risulta che – nello stesso periodo – il personale under 40 è passato dall’8,2% al 4,8% nelle Amministrazioni meridionali. Non va meglio per ciò che concerne le competenze: nel 2019 solo il 21,2% del personale del Sud era in possesso del titolo di laurea, contro il 28,9% del Centro-Nord. Inoltre, nelle Regioni meridionali a statuto ordinario, si riscontra un gap nel numero di dirigenti e dipendenti ogni 100 mila abitanti. L’interpretazione di quest’ultimo dato, tuttavia, è quantomeno controversa visto che in Sicilia e Sardegna, regioni che godono di uno Statuto speciale e che vantano numeri in linea o superiori rispetto a quelli centro-settentrionali, la situazione non è certo migliore, anzi. Il punto focale resta, perciò, quello delle capacità e delle competenze e quindi dell’efficienza.

Tutte le problematiche citate si riflettono ovviamente anche nei tempi di realizzazione delle infrastrutture sociali dei Comuni, decisamente più elevati a Sud come testimoniato dal Rapporto Svimez 2022. La stima basata su quattro fasi (pre-affidamento, affidamento, esecuzione e conclusione) rivela che i Comuni del Mezzogiorno impiegano quasi tre anni per completare un’infrastruttura sociale, cioè circa un anno e mezzo in più dei Comuni del Nord-Ovest. Emblematico anche il divario tra i tempi previsti e quelli effettivi. Al Sud il ritardo è di otto mesi (251 giorni), più del doppio della media nazionale (122). Da “mani nei capelli” il raffronto con Nord-Ovest (74 giorni) e Nord-Est (67 giorni).

Riportando il focus sul Pnrr e sulle difficoltà amministrative dei Comuni, va evidenziato che, in seguito a una serie di provvedimenti volti alla semplificazione procedurale, di recente il Governo si è detto intenzionato a puntare sul rafforzamento del personale. Il Decreto legge emanato alla fine dello scorso mese, come sottolineato anche dalla Svimez, “ha aperto alla possibilità di immettere nuovi dirigenti nei Comuni e stabilizzare i tecnici assunti a tempo determinato per l’attuazione del Pnrr e delle politiche di coesione. Questi interventi, tuttavia, andrebbero rafforzati con previsioni normative che consentano agli enti locali un ulteriore rafforzamento degli organici e delle competenze tecniche interne dei quadri intermedi. Da questo punto di vista, appare prioritaria la pronta attivazione dei programmi di assunzioni e di rafforzamento della capacità amministrativa degli enti locali previsti dal programma nazionale Capacità per la coesione 2021-2027 dell’Agenzia per la Coesione territoriale”.

Certo, risolvere in poco tempo delle criticità che sono nate e si sono sviluppate negli ultimi decenni non è affatto semplice, ma si può e si deve invertire la rotta per evitare che il Pnrr diventi un clamoroso fallimento.

Paolo Amenta (Anci Sicilia): “Rischiamo di perdere la partita”

Paolo Amenta, presidente di Anci Sicilia

PALERMO – Per approfondire le criticità emerse dalla ricerca della Svimez e le possibili soluzioni per evitare che il Mezzogiorno e la Sicilia perdano il “treno Pnrr”, abbiamo intervistato Paolo Amenta, presidente di Anci Sicilia e sindaco di Canicattini Bagni.

Presidente, la survey della Svimez sottolinea l’alta partecipazione dei Comuni siciliani ai progetti del Pnrr, segno della consapevolezza dell’importanza del Piano, ma una scarsa riuscita dei progetti promossi. Come analizza questo dato negativo?
“Sin dalla fase di programmazione del Pnrr noi siamo stati molto chiari: abbiamo fatto presente il rischio di perdere quest’ultima opportunità. Abbiamo detto che c’era da costruire il ‘sistema Sicilia’, perché non si può caricare sui Comuni tutta la responsabilità senza tenere conto della carenza di personale e di risorse umane, nonché del momento di grande difficoltà economica vissuto dagli Enti locali siciliani. Queste criticità vanno affrontate facendo sistema con la Regione e con il Ministero. Inizialmente si è tentato di calare dall’alto delle figure professionalmente all’altezza per affrontare la sfida Pnrr, ma poi ci siamo resi conto del fallimento di quel tentativo nazionale con il Pon governance. Successivamente si è tentato di ampliare la pianta organica interloquendo con l’allora ministro Renato Brunetta. Nei Comuni arrivò circa il 20-30% delle risorse umane necessarie e molte volte, queste risorse, non avevano la professionalità per affrontare una battaglia di questo tipo. Quindi abbiamo chiesto di intervenire subito, sia per ovviare a questo rallentamento sia per acquisire qualità nella fase di programmazione, progettazione e gestione dei cantieri. È evidente che bisogna accelerare in questa direzione, cioè aprire alla sistemazione del sistema Comuni”.

Quali potrebbero essere le soluzioni per invertire la rotta?
“Ormai da anni non si fanno assunzioni nei Comuni siciliani. Il turn over non funziona. Adesso si è innescato il meccanismo dell’armonizzazione dei bilanci, per cui i parametri che ne vengono fuori non consentono l’indizione di concorsi. Si deve aprire una grande stagione di assunzioni a tempo indeterminato nella Pubblica amministrazione. Ribadisco, infatti, che è necessario assumere professionisti e professionalità che diano risposta ai bisogni del territorio. Altrimenti i progetti non saranno adeguati per iniziare percorsi di sviluppo economico e quindi di occupazione e ci ritroveremo, nel 2026, senza aver compiuto un passo in avanti verso il miglioramento della qualità della vita nei Comuni. Anziché concentrarsi soltanto sul trasferimento di risorse, bisogna agire sull’organizzazione del Sistema Sicilia. Un sistema in cui un rapporto costante tra Regione e Comuni può creare le condizioni per sburocratizzare, semplificare e accelerare l’assunzione di tali professionalità in questo territorio, perché altrimenti si perde la partita”.

Quali proposte avete avanzato, come Anci Sicilia, per superare lo stallo del Pnrr sull’Isola?
“Abbiamo chiesto di dare subito ai Comuni la possibilità di assumere, non soltanto i quadri dirigenti ma anche i quadri intermedi, utilizzando le risorse del programma che finanzia il Pnrr. Opportunità che deve essere data anche alle coalizioni di Comuni per quanto concerne i fondi territorializzati. In Sicilia ne sono state individuate 28, come le Fua (Aree urbane funzionali), i Sistemi interurbani e le aree interne. Queste coalizioni che si stanno costituendo attraverso uno strumento giuridico devono creare gli Uffici unici per la programmazione, organismi indispensabili per spendere risorse pari a un miliardo in Sicilia. Anche in questo caso la proposta di Anci Sicilia è quella di avere da subito uno strumento normativo che dia la possibilità di assumere i dirigenti di questo ufficio unico e i quadri intermedi. In questo modo si può dare il la alla fase di progettazione, realizzazione di bandi, gestione dei cantieri e rendicontazione finale. Sono questi i problemi cui dobbiamo far fronte, perché in queste quattro fasi non solo c’è il rischio di ritardi enormi ma, addirittura, di non centrare l’obiettivo. Vale a dire creare la possibilità di un nuovo modello di sviluppo e occupazione per le imprese e i cittadini”.

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