Denatalità e occupazione femminile, la “leva” fiscale da sola rischia di non salvarci - QdS

Denatalità e occupazione femminile, la “leva” fiscale da sola rischia di non salvarci

Denatalità e occupazione femminile, la “leva” fiscale da sola rischia di non salvarci

Biagio Tinghino, Vittorio Sangiorgi e Patrizia Penna  |
martedì 25 Aprile 2023

Figli in cambio di sconti fiscali: funzionerà? Servono politiche di fiscalità ma anche servizi e sostegno al reddito. E soprattutto un investimento “culturale”

La natalità in Italia è al minimo storico. Gli indicatori demografici dell’Istat relativi al 2022 riferiscono che la mortalità resta ancora elevata: meno di 7 neonati e più di 12 decessi per 1.000 abitanti. Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’Unità d’Italia, sotto la soglia delle 400 mila unità, attestandosi a 393 mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è di circa 184mila nati. La decisione di non diventare genitori è legata, prevalentemente, alla sfera economica (i costi), a quella lavorativa (timori di perdere il lavoro), e organizzativa (carenza di servizi per le famiglie).

Gianluigi De Palo

Il mondo politico, finalmente, sembra averne preso consapevolezza. Infatti, le proposte emerse in questi giorni dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, hanno riportato il tema della natalità al centro del dibattito. Tasse differenziate per single e genitori, favorendo chi ha figli a discapito di chi non ne ha. È questa la strada che il Governo Meloni intende percorrere per combattere la sfida demografica. Basterà? Lo abbiamo chiesto a Gianluigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, e fondatore degli Stati Generali della Natalità.

In che modo bisogna affrontare l’inverno demografico?
“Anzitutto, occorre darsi un obiettivo serio, concreto e, soprattutto, verificabile: serve arrivare a 500 mila nascite l’anno per il 2033. Occorre una rivoluzione copernicana in tema di natalità: finora abbiamo sempre visto un figlio come un bene privato, che appartiene solo alla famiglia che lo mette al mondo. Non è così. Un figlio è un bene di tutta la comunità, perché permetterà di alimentare il sistema contributivo del Paese, lavorando e andando a pagare con le proprie tasse le pensioni e i servizi essenziali di cui noi, anagraficamente più grandi, usufruiremo. Le famiglie chiedono servizi. Va benissimo l’Assegno Unico-Universale, ma occorre un sistema integrato”.

Sul piano economico, qual è l’impatto?
“Dalle proiezioni che abbiamo, la soglia psicologica delle 400 mila nascite era già stata messa in dubbio da prima della Pandemia: il trend da questo punto di vista, purtroppo, non lasciava scampo. Lo Stato spende migliaia di euro nella formazione di un giovane, che poi andrà a portare spesso questo suo sapere all’estero. Solo con la fuga di cervelli perdiamo un punto di Pil l’anno. Sono miliardi di euro! Denatalità ed emigrazione mettono seriamente a repentaglio la tenuta del sistema fiscale del Paese. Chi onorerà i debiti del Pnrr? E dire lo abbiamo chiamato ‘Next Generation’”.

Nella vita delle donne il lavoro continua a essere un freno per la natalità, la natalità per il lavoro.
“La questione femminile è un serio problema, ma per risolverlo non possiamo andare dietro alle mode. Io credo che uno dei grandi problemi sia il fatto che anche tra le donne ci sia una discriminazione grande tra quelle che hanno un lavoro dipendente e le partite Iva. Le prime infatti sono molto tutelate, le seconde invece hanno pochissimi diritti. Per questo mi permetto di dire, sommessamente, che prima del congedo parentale, forse, andrebbero difese quelle donne che non hanno tutte le tutele che dovrebbero avere”.

Quali sarebbero, secondo lei, le strategie da adottare per cercare di cambiare rotta?
“Sono un disco rotto, ma mi permetta di fare anche qui un appello alle forze politiche: non dividiamoci! Su questo tema passa il futuro del Paese. Si stipuli un patto di non belligeranza e si dia avvio ad una stagione di misure trasversali che mettano tutti d’accordo sulle politiche familiari. È possibile! L’iter parlamentare dell’Assegno Unico-Universale lo ha dimostrato. Adesso abbiamo i fondi del Pnrr, è questa l’occasione affrontare il tema della trappola demografica. Ci hanno sempre detto che era un problema di risorse: oggi ci sono, questo alibi è caduto”.

Lei è il promotore degli “Stati Generali della Natalità” che si terranno a Roma a maggio. Quali le proposte ?
“Anzitutto il primo risultato sarà, per la terza volta consecutiva, riuscire a porre tutti i “mondi” del nostro Paese attorno a un tavolo e a ragionare su questi temi. Istituzioni, banche, spettacolo, associazionismo: siamo tutti convocati. In questa sede posso anticipare che concretezza verrà fuori dai panel. Ogni dibattito si concluderà con l’impegno a fare di più e meglio, ognuno nel proprio ‘pezzettino’ di realtà. Sicuramente dal mondo della politica e delle aziende ci aspettiamo tanto. Non possiamo più rimandare”. (bt)

Venera Tomaselli è docente di Statistica Sociale presso l’Università di Catania

“Sgravi fiscali? Improbabili senza tagli al sistema sanitario o a quello pensionistico”

Venera Tomaselli è professore associato di Statistica Sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania.

Venera Tomaselli

Professoressa Tomaselli, cosa ci dicono le statistiche?
“L’Italia presenta una delle peggiori combinazioni tra bassa fecondità e bassa occupazione femminile. Attualmente, il nostro gap occupazionale di genere è di quasi 20 punti percentuali contro gli 11 punti della media europea (e i 5 punti della Svezia). Gli strumenti, come i servizi per l’infanzia e i congedi di paternità, che agiscono positivamente su entrambi tali fronti, consentono di contenere gli squilibri demografici di una popolazione già caratterizzata da uno stato d’invecchiamento molto evidente, ma anche di ridurre le diseguaglianze sociali e territoriali, giacché la bassa occupazione femminile penalizza soprattutto le regioni del Sud e l’accesso ad un secondo reddito delle famiglie con figli. La via più diretta e, sotto vari aspetti, più semplice, consistente nella riduzione del costo dei figli mediante l’aumento degli sgravi fiscali si scontra con i vincoli di bilancio che nel nostro Paese sono molto rigidi e appare difficile un ricorso generoso a questa leva senza operare profondi tagli al settore sanitario o a quello pensionistico. Gli interventi fiscali per favorire famiglie e figli, come noto, sono assai minori in Italia, e negli altri Paesi del Sud Europa, rispetto ad altri Paesi europei, in misura sia relativa (rispetto al Pil) sia assoluta (ammontare pro capite). Da qui la semplicistica conclusione che aumentando queste misure si possa ottenere una contabilità demografica più equilibrata, come avviene in Francia, Svezia, Danimarca o Norvegia. In realtà, senza risolvere le questioni del basso tasso di lavoro femminile, degli inadeguati servizi, della scarsa autonomia dei giovani e delle asimmetrie di genere, gli interventi rischiano di avere scarsi o nulli effetti”.

Come incidere sulla curva delle nascite?
“Occorre mettere in guardia contro l’idea che adeguate politiche economiche e sociali possano automaticamente e semplicisticamente incidere sulla curva delle nascite. Un ‘piano per i figli’ che le accogliesse, tuttavia, potrebbe senz’altro favorire e facilitare un mutamento delle condizioni generali nelle quali si formano le decisioni riproduttive. È auspicabile che tale piano si basi sia sul consenso tra le forze politiche riguardo i fondamenti delle linee d’azione, mettendo da parte speciose argomentazioni ideologiche. A chiosa, considerando che una delle leve fondamentali per lo sviluppo economico, sociale e culturale di un Paese è rappresentata dall’occupazione femminile e che i dati indicano che dove questa è elevata anche i tassi di natalità sono altrettanto alti, è evidente che l’azione della politica, necessaria e urgente da subito, debba prevedere reali sinergie tra più strumenti tra loro efficacemente combinati: politiche di fiscalità, servizi e sostegno al reddito.(pp)

Francesco Pira, sociologo

Francesco Pira è professore associato di Sociologia, delegato del Rettore alla Comunicazione e direttore del master Esperto della Comunicazione digitale presso l’Università di Messina.

Professore, il Governo Meloni punta sulla leva fiscale per contrastare l’inverno demografico: siamo sulla strada giusta?
“In questi ultimi anni, abbiamo assistito non solo alla riduzione della natalità, ma anche all’invecchiamento della popolazione. I report ci dicono che la popolazione che ha superato i 65 anni, all’inizio del 2022, ha raggiunto i 14 milioni e rappresenta il 23,8% della popolazione complessiva. L’invecchiamento della popolazione ci fa pensare che cambieranno gli obiettivi del welfare sociale, sanitario e pensionistico. Un Paese che deve far fronte alle esigenze delle persone anziane non riesce ad occuparsi delle necessità dei giovani e delle nuove generazioni. La pandemia e la guerra hanno mostrato il volto di una crisi che era già latente e hanno acuito diverse dinamiche. Oggi, il problema occupazionale riguarda gli uomini e le donne e la crisi ha investito quasi tutti i settori. Alcuni datori di lavoro non assumono le donne, perché potrebbe verificarsi “il rischio” maternità. Purtroppo, per le donne italiane la maternità è ancora un ostacolo alla carriera. Non basta la leva fiscale che è uno strumento ormai consolidato in tutte le più avanzate democrazie europee che da molti anni investono per favorire la crescita demografica ma soprattutto mettono in atto politiche attive a tutela della famiglia. Si deve agire su più fronti, il tempo pieno scolastico, gli investimenti sulle le scuole di ogni ordine e grado, dagli asili nido. Oggi solo le donne che lavorano nelle grandi aziende più attente al benessere dei propri dipendenti offrono asili nido interni ed altri servizi. Il sistema scolastico pubblico deve essere protetto e diventare centrale nelle strategie di crescita del paese. Il sistema sanitario i medici di base i pediatri i consultori pubblici che sono depotenziati e che erano nelle intenzioni del legislatore un luogo di accoglienza delle domande sanitarie e non solo, che ruotano intorno al concepimento di un figlio, con tutte le fasi di accompagnamento. In sintesi, la questione è complessa e non può essere affrontata con uno strumento di agevolazione fiscale che oggi c’è e domani, causa tagli di bilancio potrebbe non esserci più lasciando di nuovo i nuclei familiari soli e costretti a reggersi sulle proprie forze e su quelle della propria rete. Con il risultato di aumentare la forbice tra le fasce ricche e quelle più fragili della società italiana”.

I numeri ci dicono che gli italiani fanno sempre meno figli: è solo una questione “economica” o anche una precisa scelta “culturale”?
“Il problema non è solo economico, ma anche culturale e legato alla nostra mentalità. Qualche cambiamento è già avvenuto, però è opportuno continuare ad ascoltare la voce diretta dei ragazzi ovvero di quelli che saranno gli uomini e le donne del futuro. Le istituzioni devono attuare un piano di investimento economico e anche culturale. Nel 2023 considerare la donna solo come colei che genera figli non è ammissibile e ancor di più non è accettabile licenziare una donna subito dopo essere diventata madre. Tutti gli attori della società devono comprendere le fragilità di questo periodo storico, cercando di supportare le categorie più fragili. Bisogna garantire un sistema e una governance efficace per mettere a frutto le risorse a livello nazionale ed anche europeo. È senza alcun dubbio, una questione culturale che attiene a molti fattori, la tardiva uscita dei giovani dalle case familiari, una visione del lavoro distorta e dove anche le politiche sulla scuola giocano un ruolo importante con lo svilimento dei percorsi scolastici professionalizzanti nati nell’era del primo boom economico. Le stesse famiglie spesso li scartano considerandoli un’istruzione inferiore, con il risultato che oggi mancano un milione di lavoratori per l’industria manifatturiera, spina dorsale del paese. Nella cultura italiana causa la mancanza di servizi e un’educazione ‘matriarcale’ i giovani sono, rispetto agli omologhi europei meno propensi ad un’autonomia personale che riguarda anche il concepimento di figli. Senza che questo sia percepito come un ostacolo alla propria realizzazione personale con un vero rapporto paritetico all’interno delle coppie e questo apre alle politiche sulla parità di genere. Sta passando anche un messaggio fuorviante, emerso palesemente anche durante il Festival di Sanremo: una donna che non ha figli è di fatto una fallita. Invece dobbiamo lasciare alla donna la libertà della propria autodeterminazione. Non si può condizionare la coscienza leggendo le statistiche”.

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