Partito il “traghetto” di quelli che, per un motivo o per un altro, sono contro il ponte sullo stretto di Messina
Era prevedibile che accadesse ed ecco che, puntualmente, come si è già verificato altre volte, parte il “traghetto” di quelli che, per un motivo o per un altro, sono contro il ponte sullo stretto di Messina.
Da lontano somiglia tanto al “tir” di chi è contro i termovalorizzatori e a favore delle discariche, la cui gestione, in alcuni casi, continua a non apparire del tutto trasparente.
Chi ci vede delle allusioni è padrone di farlo. Le opinioni sono ancora libere e le inchieste giudiziarie o giornalistiche, ove fossero necessarie, e senza voler essere giustizialisti, sarebbe auspicabile che facessero la necessaria chiarezza.
Sul “traghetto” contro il ponte si imbarcano impenitenti vetero nordisti, noti “sospettisti”, conclamati “complottisti”, penosi “separatisti”, tradizionali “dirigisti”, nostalgici “centralisti”, orecchianti “ambientalisti”, sfigati “economisti”, ed altri soggetti di varia estrazione, esattamente come accade con i termovalorizzatori. In entrambi i casi le relative infrastrutture, pur se costose, rappresenterebbero investimenti più che vantaggiosi sia in termini di risparmi, sia in termini di utili e soprattutto di occupazione, come confermato dai più accreditati istituti specializzati.
La verità, però, è un’altra: il ponte, esattamente come i termovalorizzatori, tocca interessi innominabili, che si nascondono dietro i soliti noti e ben individuati portatori di posizioni borderline. Fossi al posto del Governo non avrei alcun timore a scoperchiare qualche pentola e a spiegare chi è perché non vuole né il ponte, né i termovalorizzatori. E poi, diciamolo con chiarezza: il Nord vuole i soldi destinati al Sud e non si arrenderà fino a quando qualcosa non riuscirà a portarla a casa, con le buone o con le cattive, d’altra parte i manutengoli non gli mancano. Anche in questo caso non c’è nulla di nuovo sotto il sole. C’è un modo di dire siciliano che, meglio di altri, sintetizza una condizione di prevedibile negativa attesa: “tanto tuonò che piovve”, nel senso che, di una certa cosa, tanto se ne parlò fino a quando accadde. Mi sembra che il Mezzogiorno, in questo momento, si trovi proprio in una simile situazione anche se, come al solito, stenta a rendersene conto e, invece di tentare una qualche ragionevole reazione, si affida a qualche “smutandato” avventuriero o nicchia con pigrizia ed indolenza, magari in attesa di una delle solite elemosine alle quali è abituato da secoli.
A conferma del fatto che “la botta” sta per arrivare, basti notare che non c’è edizione di radio o tele giornale nel corso della quale qualcuno, a volte di destra, a volte di sinistra, non si presenti con il suo bel faccione e sostenga che, “nel caso in cui il Sud non dovesse essere in grado di utilizzare del tutto le risorse del PNRR le stesse dovrebbero essere dirottate verso il Nord”: evvaaaiiii!
Ora non c’è dubbio che, con la classe dirigente che si ritrova il Sud e con le gravi carenze di personale, di dirigenti e di tecnici che si registrano nella Pubblica Amministrazione di Comuni e Regioni meridionali, rispettare i tempi previsti per il corretto utilizzo delle risorse in questione non è affatto facile. Tuttavia l’Unione europea quelle risorse non le ha date per costruire la quarta corsia autostradale o un ulteriore tratta di alta velocità nella Padania, ma per completare la rete al Sud ed in Sicilia in particolare. L’Unione Europea, quelle imponenti risorse, non le ha stanziate per infrastrutturare il già infrastrutturato Nord, né per dotare di altri asili nido o di altri impianti sportivi o reti idriche, fognarie e telematiche la Lombardia o l’Emilia Romagna, ma per farlo in Campania, in Calabria, in Basilicata, in Molise, in Puglia, in Sardegna ed in Sicilia. Ciò posto, un governo che non volesse tradire le aspettative dei cittadini di un terzo del Paese si inventerebbe immediatamente qualche “provvedimento sblocca cantieri”, come ha già fatto altrove, Genova docet, altrimenti, mi si faccia il piacere di non parlare di perequazione, bensì di strumentalizzazione.
In Italia esiste ancora l’articolo 3 della Costituzione, di cui faremmo bene a ricordarci non solo quando si festeggia la liberazione o la Repubblica, ma soprattutto quando si adottano i decreti, quando si varano i piani, quando si stabilisce dove realizzare nuovi tratti di autostrada o di alta velocità ferroviaria.
Ad ogni buon conto, ove qualcuno avesse bisogno di un ripasso, provvediamo subito a ricordarne il contenuto.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Come direbbe il grande Califano, “tutto il resto è noia”.