Principio che è stato ribadito dalla Corte di Giustizia Ue con la sentenza dell’8 marzo 2022. Diritto Ue prevale su quello nazionale: qualunque cittadino può invocarlo ed ha efficacia immediata
ROMA – La Corte di Giustizia, con la sentenza dell’8 marzo 2022 (Causa C-205/20), ha affermato un concetto molto importante ossia che il principio di “proporzionalità della sanzione” previsto dall’art. 20 della Direttiva 2014/67, costituendo un principio generale del diritto dell’Unione, è dotato di efficacia immediata per cui può essere invocato dai singoli cittadini ed applicato dai singoli Stati membri nel corso di un giudizio.
Secondo i Giudici Europei, infatti, spetta al giudice nazionale applicare tale principio, disapplicando la norma interna e rimodulando la sanzione al fine di ricondurre la pena ad una dimensione congrua e proporzionata alla violazione commessa.
Più in particolare, i Giudici Europei, con la citata sentenza, hanno affermato che “Da una costante giurisprudenza della Corte risulta che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, vuoi qualora esso abbia omesso di trasporre la direttiva in diritto nazionale entro i termini, vuoi qualora l’abbia recepita in modo non corretto (sentenza del 6 novembre 2018, MaxPlanck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C-684/16, EU:C:2018:874, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).”.
Hanno affermato pure che “il divieto di adottare sanzioni sproporzionate, che è la conseguenza di detto requisito, non richiede l’emanazione di alcun atto delle istituzioni dell’Unione e tale disposizione non attribuisce affatto agli Stati membri la facoltà di condizionare o di restringere la portata di tale divieto (v., per analogia, sentenza del 15 aprile 2008, Impact, C-268/06, EU:C:2008:223, punto 62).”
“Pertanto, nell’ipotesi in cui tale requisito sia invocato da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale nei confronti di uno Stato membro che l’abbia recepito in modo non corretto, spetta a tale giudice garantirne la piena efficacia e, ove non possa procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che appaiono incompatibili con quest’ultimo.”.
Nel caso in questione, riguardante una controversia in materia di diritto del lavoro, si trattava di una sanzione (di 54 mila Euro per una violazione in materia di documentazione salariale di cui si era resa responsabile una società austriaca), ritenuta sproporzionata rispetto alla violazione commessa nella specifica materia prima citata.
Ma il principio di fondo che da questa sentenza emerge è che il diritto UE prevale su quello nazionale, consentendo ai giudici interni di disapplicare la sanzione prevista dalla norma nazionale che contrasta con il principio della proporzionalità.
Un altro esempio di sproporzione tra danno arrecato all’Erario e sanzione, è quello che riguarda il caso di omesso o tardivo versamento delle somme trattenute dal datore di lavoro al lavoratore dipendente. Attualmente la sanzione, a prescindere dell’importo della somma non versata o tardivamente pagata, va da un minimo di 10.000 ad un massimo di 50.000 euro.
Fortunatamente, però, con il così detto Decreto Legge “lavoro”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 4 maggio 2023, la sanzione sarà pari ad un importo “da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso”.
Si tratta di vere assurdità, che rasentano anche l’incostituzionalità, e che, come è ben noto, riguardano spesso anche il campo tributario, così come il caso di cui alla sentenza della Corte di Giustizia del 3 marzo 2020 (Causa C-482/2018).
Speriamo, comunque, che, con la prossima riforma fiscale, anche questo aspetto delle sanzioni venga adeguatamente attenzionato dal Governo in sede di stesura dei Decreti Delegati.