Cgia di Mestre: solo 4 Regioni sono messe peggio sulla base delle dichiarazioni sull’anno d’imposta del 2021. Negli ultimi 50 posti della classifica 4 Comuni della Sicilia, tra cui Mazzarrone
PALERMO – I siciliani sono sempre più poveri, e lo sono sempre di più rispetto ai propri connazionali specie del nord. La Sicilia nel 2021, secondo i dati messi a disposizione dal ministero dell’Economia, si trova al quint’ultimo posto in Italia per reddito medio complessivo.
Per i siciliani si ferma a 17.680 euro, mentre la Regione più ricca, la Lombardia, arriva a 26.620 euro, con una differenza di oltre 9 mila euro per contribuente. La Sicilia si pone anche ben al di sotto della media nazionale, che sale a 22.540 euro, con un gap di quasi 5 mila euro. Tra le regioni più povere anche la Campania, la Puglia, la Calabria e il Molise. In Sicilia, però si trova il comune più ricco del Mezzogiorno, Sant’Agata li Battiati, in provincia di Catania che, grazie a un reddito Irpef complessivo medio del 2021 pari a 28.055 euro, gli ha consentito di classificarsi al 152esimo posto a livello nazionale. Sempre tra le amministrazioni comunali del Sud, subito dopo si posiziona San Gregorio di Catania, nella medesima provincia, che con un reddito di 28.019 euro, e si colloca al 155esimo posto.
Palermo, capoluogo di regione, è appena al 2.405esimo posto con 21.850 euro. Nella top dei 50 Comuni la Sicilia non figura mai, mentre in quella degli ultimi 50 ci sono 4 Comuni: Mazzarrone, in provincia di Catania, con un reddito medio di 9.808 euro; Limina, in provincia di Messina, con un reddito di 10.661 euro; Acquaviva Platani, in provincia di Caltanissetta, con un importo di 10.852 euro e Campofelice di Fitalia, in provincia di Palermo, con un reddito di 10981 euro. Una distribuzione della ricchezza che rimarca la differenza tra Nord e Sud e che denota forti segni di “impoverimento” generalizzato, che interessano anche il Nord. Lo dice la Cgia, che ha elaborato i dati forniti dal ministero dell’Economia e delle finanze: tra i 50 comuni più “poveri” del Paese, ad esempio, ben 11 sono del settentrione. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta però di piccolissime realtà di montagna, che hanno vissuto negli ultimi 30-40 anni lo spopolamento e un progressivo invecchiamento della popolazione rimasta; situazioni che vivono una condizione molto particolare, che non può certo diventare segno reale di impoverimento per un ambito ben più ampio che ha mantenuto ottimi livelli economici.
Milano, non a caso, rimane il comune capoluogo di provincia più ricco d’Italia con 37.189 euro; praticamente il doppio dei 18.706 euro dichiarati a Ragusa. Dalla Cgia ricordano, comunque, che questi dati non comprendono gli effetti del lavoro sommerso e dell’evasione fiscale, che nelle aree più disagiate del Paese spesso costituiscono un vero e proprio “espediente” per sostenere economicamente in particolar modo le fasce sociali più deboli.
Sempre la Cgia ha elaborato i dati dell’Istat relativi al lavoro sommerso: il 16,8% del valore aggiunto prodotto in Sicilia nasce proprio da una economia sommersa. Tale percentuale pone la regione al quarto posto tra le italiane, superata solo da Puglia, Campania e Calabria. In Sicilia il 6,7% del valore aggiunto è sotto dichiarazione: una parte del ricavato viene occultata o vengono effettuate “errate” comunicazioni dei costi sostenuti. Il 6,6% è invece il cosiddetto “lavoro irregolare”, cioè l’occupazione non dichiarata dalle aziende; il residuale, pari al 3,5%, comprende altre tipologie di lavoro sommerso non individuate dalle due tipologie precedenti, quali gli affitti in nero o le mance non dichiarate. In questa voce è compresa anche l’economia “illegale”, relativa ad attività come il traffico sostanze stupefacenti, la prostituzione e il contrabbando di sigarette.