In anteprima i dati aggiornati a marzo 2023: in Sicilia un terzo degli enti ancora al “buio”
PALERMO – La recente alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna – con il suo drammatico bilancio di 14 vittime, oltre diecimila sfollati, 23 fiumi esondati, 280 frane e 400 strade interrotte, 42 comuni colpiti – ha riportato l’attenzione sul tema degli eventi climatici estremi che, soprattutto nel corso del 2022, hanno funestato l’Italia da Nord a Sud. Un ruolo importante, in tali fenomeni, lo ha senza dubbio il cambiamento climatico e l’azione – più o meno influente a seconda dei casi – dell’attività antropica. Tuttavia, quello che rimane un grave problema non può e non deve essere usato come “parafulmine”. Perché, come si può notare sempre più spesso, i tragici esiti di certi eventi sono determinati anche dalla totale assenza di un’adeguata azione di prevenzione, da mancati interventi di mitigazione del rischio idraulico e idrogeologico e di adattamento ai cambiamenti in corso.
Interventi che, nella maggior parte dei casi, sarebbero di ordinaria amministrazione. Eppure, quantomeno “sulla carta”, esistono precisi protocolli da attuare – a livello locale, regionale e nazionale – per garantire l’efficacia del sistema di prevenzione e tutela del territorio. La regia di questo sistema è garantita dalla Protezione civile, attraverso le sue varie articolazioni territoriali e in collaborazione con altri soggetti istituzionali come il presidente del Consiglio, i presidenti di Regione, i sindaci. Proprio i singoli Comuni rappresentano i primi avamposti per garantire la sicurezza e per intervenire in caso di emergenza, in quanto realtà a più diretto contatto con i cittadini. Ed è per questo che la legge prevede la stesura dei cosiddetti Piani comunali di Protezione civile, vale a dire articolati documenti contenenti l’insieme delle procedure operative di intervento necessarie per fronteggiare una qualsiasi calamità attesa sul territorio.
7.123 comuni italiani su 8.051 (l’88%) dispongono di un piano
Ma qual è lo stato dell’arte nel nostro Paese? Secondo gli ultimi dati resi noti dal dipartimento della Protezione civile, relativi al 2022 e in aggiornamento in questi giorni, 7.123 comuni italiani su 8.051 (l’88%) dispongono di un piano. Numeri che, ad un’analisi preliminare, sembrerebbero confortanti ma che vanno letti in maniera più articolata. Anzitutto bisogna considerare che 928 comuni “scoperti” rappresentano un altissimo fattore di rischio, basti pensare a cosa potrebbe succedere in caso di calamità anche solo in una piccola percentuale degli stessi. Altro elemento importante quello relativo alla data di aggiornamento dei singoli piani che, chiaramente, necessitano di periodiche revisioni. Revisioni che non sempre vengono eseguite puntualmente, facendo sì che i piani più vecchi risultino obsoleti e superati. E poi la questione finale, quella forse più importante, relativa alla capacità di eseguire concretamente e in maniera efficace quanto previsto “su carta”.
Non ci riferiamo, ovviamente, alla capacità operativa di forze dell’ordine, operatori sanitari e di Protezione civile, ma all’apparato amministrativo che costituisce l’architrave del sistema e anche ai cittadini, a cui tali procedure devono essere trasmesse efficacemente affinché – loro per primi – sappiano come proteggersi e come comportarsi in caso di necessità. Concentrando l’analisi sulla Sicilia possiamo usufruire dei dati elaborati dal dipartimento regionale di Protezione civile aggiornati a marzo del 2023, che il Quotidiano di Sicilia ha potuto leggere in esclusiva.
Su un totale di 391 comuni isolani 257 dispongono di un piano. Tra questi, tuttavia, soltanto 79 (5 in più rispetto alla precedente rilevazione) lo hanno aggiornato nel quinquennio 2018-2022, mentre 150 lo hanno fatto tra il 2012 ed il 2017 (1 in meno rispetto al 2022) e 28 addirittura prima del 2012. In termini percentuali quelli più virtuosi sono solo il 20%, il 39% sta nel “limbo” e il 7% necessita di un urgente aggiornamento. Venendo alle note dolenti si evidenzia che ben 134 comuni siciliani non hanno realizzato alcun tipo di pianificazione, praticamente il 34% del totale. Va altresì sottolineato che – sempre in riferimento alla rilevazione precedente – questo numero è decresciuto di quattro unità. Certo, sono solo piccoli passi, ma è già qualcosa.
Interessante anche la lettura di questi dati in relazione alla popolazione e alla superficie territoriale della Sicilia. Dei 4.830.050 siciliani poco più di 1 milione (il 23%) risiede in Comuni dotati di piani più recenti, che rappresentano il 19% della superficie isolana. Sul “secondo gradino del podio” il 47% degli isolani (2.276.611) che risiedono in una porzione di territorio pari al 40%. Sono, invece, poco più di mezzo milione, esattamente 500.692 (cioè il 10%), i cittadini i cui Comuni, che rappresentano il 7% della superficie regionale, hanno nei cassetti piani obsoleti. Nella condizione peggiore sono, infine, circa un milione di siciliani (965.235, pari al 20% della polazione) perché gli Enti territoriali di ove risiedono (34% in termini di superficie) non hanno redatto alcun piano.
Le stime non sono certo confortanti e devono essere un campanello d’allarme per chi è rimasto indietro. Le colpe non sono, chiaramente, imputabili soltanto ai Comuni, che spesso non dispongono delle risorse adeguate. Serve, insomma, uno sforzo corale – dai Palazzi di Roma sino al singolo Municipio – affinché si intervenga prima di dover versare lacrime amare. Da questo punto di vista va sottolineato l’impegno e il costante lavoro della Protezione civile, tanto a livello nazionale quanto in ambito locale. A queste considerazioni ne va aggiunta un’altra, di carattere meramente organizzativo. Sono infatti in molti a sostenere che, per una migliore pianificazione, anziché rivolgersi ai singoli Comuni, bisognerebbe consentire una gestione in associata di due o più Comuni.
Una soluzione soprattutto per le piccole realtà, che ricadono spesso all’interno di un vasto comprensorio che sconta gli stessi rischi e le medesime criticità. Resta, tuttavia, indispensabile un’importante assunzione di responsabilità da parte di tutti. A tal proposito ricordiamo che Nello Musumeci, ministro della Protezione civile, ha più volte sottolineato non soltanto la necessità di intervenire nei Comuni “scoperti” ma anche quella di redigere un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio.
L’auspicio è che gli annunci non rimangano tali e che l’ex presidente siciliano agisca nel pieno dei suoi poteri per attuare importanti interventi. Il tema delle risorse è ovviamente importante, ma è altrettanto vero che – su temi così delicati ed importanti – si può accedere ai fondi comunitari, a partire proprio dal Pnrr.
Proprio sul tema della spesa possiamo analizzare dati particolarmente interessanti sull’impegno economico dei Comuni italiani per la Protezione civile. La fondazione Openpolis (nata nel 2006 sviluppando strumenti e piattaforme online per favorire l’accesso alle informazioni pubbliche, cui sono seguiti Openpolitici, Openparlamento, Openmunicipio e Openbilanci) ha infatti elaborato – sulla base dei consuntivi 2021 – la spesa media di ogni Ente municipale in relazione agli abitanti. In questo contesto va inoltre chiarito che – secondo i rendiconti del 2020 – erano le Regioni a spendere di più (73,44 miliardi di euro). Seguivano i comuni (77,14) e le province e le città metropolitane (8,09). Riportando il focus sui Comuni, prima di entrare nell’analisi dei dati, va sottolineato quanto chiarisce Openpolis per una lettura più “consapevole” degli stessi: “Spese maggiori o minori non implicano necessariamente una gestione positiva o negativa della materia. Da notare che spesso i comuni non inseriscono le spese relative a un determinato ambito nella voce dedicata, a discapito di un’analisi completa. Le uscite di una missione o di un programma possono essere relative a più assessorati”.
Fatte queste premesse emerge che “le tre grandi città che riportano le uscite maggiori sono tutti capoluoghi del Sud: Bari (13,83 euro pro capite), Napoli (10,53) e Messina (9,46). I comuni che invece spendono di meno si trovano tutti nell’area del Nord Italia: Bologna (1,18), Verona (0,85) e Trieste (0,14)” a fronte di una media nazionale di 31, 73 €. Inoltre “le Amministrazioni che registrano le uscite maggiori sono quelle abruzzesi (564,97) seguite da quelle altoatesine (117,82) e marchigiane (46,44). Spese minori invece nei comuni della Campania (4,17 euro a persona), dell’Emilia-Romagna (3,86) e della Puglia (2,83). Questo il quadro a livello nazionale, un quadro che impone interventi rapidi e allo stesso tempo efficaci. Altrimenti, secondo una triste consuetudine nostrana, ci ritroveremo presto a piangere altre tragedie senza che nulla sia stato fatto per evitarle.
Regione siciliana con le carte in regola
Oltre ai già citati piani comunali, tarati sulle peculiarità dei singoli territori, l’apparato legislativo prevede anche la redazione di Piani regionali. La Sicilia si è dotata del suo Piano regionale di Protezione civile nel 2011. Tale documento è stato oggetto di aggiornamento nel 2018, tramite la redazione del Piano regionale per il potenziamento delle attrezzature, dei mezzi e delle risorse del sistema regionale di protezione civile. Un atto che rappresenta la base per l’accrescimento delle risorse regionali in dotazione del sistema regionale di protezione civile. Attualmente – secondo quanto riferisce il dipartimento competente – è in corso un ulteriore processo di revisione e aggiornamento rispetto alle modifiche normative, organizzative e tecnologiche intervenute dal momento dell’emanazione del documento.
L’anno scorso, inoltre, vi è stato un ulteriore aggiornamento del piano redatto nel 2018, che pone le basi e contiene in sé molti elementi già aggiornati riferibili al Piano regionale. Ma com’è strutturato questo importante atto? Analizza, anzitutto, le caratteristiche del territorio regionale e individua allo stesso tempo i rischi che interessano l’area. Inoltre, tramite lo stesso piano, vengono definite l’organizzazione del sistema regionale di Protezione civile, le procedure di attivazione delle risorse e si delinea – infine – il programma per acquisizione e potenziamento di mezzi e risorse.