Il report pubblicato da Avviso pubblico, l’associazione di Enti locali e Regioni per la lotta civile contro le mafie, ha visto il Sud confermarsi come area del Paese più esposta a questi fenomeni
ROMA – La Sicilia torna a essere la prima regione di Italia per numero di intimidazioni e minacce agli amministratori locali. È quanto registrato da Avviso pubblico, l’associazione di Enti locali e Regioni per la lotta civile contro le mafie, nell’annuale report dedicato agli amministratori sotto tiro, che però certifica l’ennesima contrazione del fenomeno.
Il dato complessivo relativo al 2022 è infatti il più basso degli ultimi dieci anni e si inserisce all’interno di un trend discendente che dura almeno dal 2019. Lo scorso anno sono stati registrati 326 atti intimidatori, di minaccia e violenza rivolti a sindaci, assessori, consiglieri, funzionari e dipendenti della Pa, il 25% in meno rispetto al 2021, quando furono 438, cui si aggiunge anche una riduzione del numero dei Comuni (-14%) e delle Provincie (-12%) interessate. Ancora una volta, però, il dato più alto di casi censiti, 215, si registra nel Sud e nelle Isole, questo vuol dire che il 66% del fenomeno si concentra nel solo Mezzogiorno.
È bene ricordare che le cifre possono essere annacquate dalla mancanza di due fattori: il numero di atti intimidatori che non vengono pubblicamente denunciati, ma che sono a conoscenza delle Autorità giudiziarie e delle Forze dell’ordine, e la corrispondenza tra minacce o violenze perpetrate e quelle realmente denunciate.
Tornando alla Sicilia, lo scorso anno nell’Isola sono stati registrati cinquanta casi, contro i 49 della Campania, i 48 della Puglia e i 42 della Calabria. Staccata al quarto posto la Lombardia, con 23 atti censiti. Il fenomeno si concentra nella provincia di Agrigento, seconda al livello nazionale dopo Napoli, che con 18 atti intimidatori occupa la prima posizione staccando Siracusa (9), Messina (7), Caltanissetta e Palermo (5), Trapani (3) e Ragusa (2).
A fornire, quindi, questo triste primato alla Sicilia è proprio l’agrigentino, che da solo raccoglie il 36% dei casi. Si tratta inoltre di atti piuttosto violenti: i proiettili inviati alla sindaca di Montevago, la testa di cinghiale lasciata davanti al cancello della casa di campagna di un assessore di Licata, dove la macchina di un’ex assessore è stata incendiata, il fazzoletto inzuppato di sangue fatto recapitare alla sindaca di Naro, il parabrezza distrutto dell’auto del vice sindaco di Bivona, il cadavere di un cane chiuso in un sacchetto lasciato davanti all’abitazione del presidente del Consiglio comunale di Sciacca e ancora la missiva dai toni minatori appesa al cancello di casa di un funzionario di un Consorzio di bonifica residente a Ribera e la telefonata minatoria ricevuta da un famigliare del sindaco di Siculiana.
Nella provincia di Caltanissetta, invece, emerge il caso Gela, dove si sono verificati in tutti casi censiti, sei incendi di auto. Nel mirino un’auto di proprietà del Comune e le vetture di tre consiglieri e un assessore. Anche in questo caso, come nell’agrigentino, nel territorio convivono due realtà mafiose radicate, Cosa nostra e la Stidda.
Numeri allarmanti sono anche quelli che riguardano il confronto tra l’Italia e gli altri paesi dell’Unione europea. Avviso pubblico e Acled, Armed conflict location & event data project, hanno sottoscritto un protocollo di collaborazione finalizzato a monitorare gli episodi di minaccia e intimidazione che hanno per oggetto gli amministratori locali in Italia e in altri Stati europei, con lo scopo di raccogliere dati accurati in merito alla violenza politica e migliorare la comprensione di entrambe le organizzazioni delle dinamiche e degli attori coinvolti attraverso lo scambio di conoscenze.
Uno studio commissionato dal Parlamento europeo e pubblicato nel luglio del 2020 ha rilevato che la crescente polarizzazione e l’aumento delle tensioni sociali all’interno dell’Unione europea espongono gli amministratori locali a fenomeni di odio e violenza e che questo clima di odio trova in Italia la sua massima espressione. Tra il 2020 e il 2022 il 75% di questi eventi si è manifestato nel nostro paese, dove sono stati censiti 238 casi contro i 24 della Francia, gli 11 della Germania e gli 8 della Grecia. Tre quarti di questi episodi si concentrano ovviamente nel Mezzogiorno.
La modalità di intimidazione più utilizzata resta l’incendio (18,5%), seguito dalle scritte offensive o minacciose (16%), dalle lettere o messaggi minatori (13,8%), dall’uso dei social network (12%), dalle aggressioni (11,3%), dalle minacce verbali o telefonate minatorie (11,3%), dai danneggiamenti (11%), dall’invio di parti di animali (2,5%) e dai proiettili (1,5%), ordigni (1%) o spari (0,5%).
Intervista al questore di Agrigento, Emanuele Ricifari
AGRIGENTO – Abbiamo intervistato il questore Emanuele Ricifari, che ha commentato i dati del report pubblicato da Avviso pubblico e fatto il punto su ciò che sta avvenendo sul territorio agrigentino.
La Sicilia è al primo posto nazionale tra le regioni con il numero più alto di minacce nei confronti di amministratori pubblici e la provincia di Agrigento è al primo posto regionale con 15 Comuni coinvolti. Come giudica e commenta questi dati?
“Non sono dati che per numero assoluto e mero computo statistico possano consentire un’analisi appropriata e far parlare di fenomeno e delle sue tendenze. Tuttavia, conoscendoli tutti e sulla base di una valutazione socio-criminale, non sono riconducibili a una matrice comune. L’unica che si individua è quella tipica di questi gesti verso chicchessia, di intimidazione sociale. Spesso però dietro i singoli episodi si nascondono motivi connessi a fattori diversi e non sempre riconducibili alle funzioni amministrative o rappresentative. In alcuni casi la funzione amministrativa si confonde con quella personale o professionale, in altri si consuma in un contesto di promesse elettorali deluse. Il fondamento mafioso è spesso più sullo sfondo dei motivati timori di chi fa patti non sempre confessabili o al contrario di chi scompagina lo status quo e le cattive abitudini, spesso familistiche, che ne hanno preceduto l’azione. Voglio ricordare che molte azioni di cui si sospetta un fondo intimidatorio riguardano anche tecnici, funzionari, operatori delle Forze dell’ordine e questo, se messo in un quadro comune, deve indurre a riflettere su dati sottoculturali che fanno da humus alla illegalità”.
Per quanto riguarda la provincia agrigentina, sono stati segnalati episodi particolarmente violenti e riconducibili alla criminalità organizzata. La presenza della mafia sul territorio è ancora così forte?
“La provincia agrigentina criminologicamente va valutata sotto diversi aspetti: storico-geografico, socio-culturale, socio-economico ed educativo. Se ne trae un quadro articolato e a tinte chiaro-scure. Circa episodi particolarmente violenti riconducibili ad ambienti o espressioni di appartenenti a criminalità organizzata non si registrano recrudescenze e tuttavia i colpi inferti, soprattutto con l’arresto dei latitanti più pericolosi e di vertici di Cosa nostra o della Stidda assassina, ha indebolito e fatto perdere di prestigio le macro organizzazioni. Ciò non pregiudica, anzi segna un ritorno di ricerca di riaffermazione, l’attività delle cosche o comparanze locali. E anche a questo si dedica l’attenzione delle Autorità di pubblica sicurezza prima e di quelle giudiziarie poi. La lotta si fa e si vince, aveva ragione Bufalino, con un esercito di insegnanti e di buoni maestri in ogni settore della vita, quella privata e quella pubblica. Solo così si aiutano gli organi di controllo dello Stato a garantire sicurezza e libertà economica, individuale e sociale”.
Il rapporto realizzato da Avviso pubblico ha evidenziato come quasi il 50% dei casi sia localizzato nel Sud del nostro Paese. Perché secondo lei questi episodi continuano a essere così presenti proprio nel Mezzogiorno?
“Per via del fatto che una certa malintesa cultura familistico-individualista è purtroppo ancora presente nel Meridione. Certo, ormai è una presenza meno compatta che in passato, ma molto resta da fare nel solco di ciò che Bufalino, Sciascia, Borsellino, Falcone, Cassarà e Montana, Dalla Chiesa, don Puglisi, Rostagno e altri caduti ci hanno indicato. E con una punta di orgoglio fatemi dire che ci sono molti eroi nascosti che lavorano nelle Forze dell’ordine e negli apparati dello Stato, nelle scuole delle periferie, negli oratori. Persone che sono vive e che possono essere meglio e più sostenute dai cittadini”.
In che modo è possibile ricucire e migliorare il rapporto tra cittadini e istituzioni?
“Ci sono segnali incoraggianti, ma non bastano. Devono diventare impegno comune dei più e non volontariato a volte episodico di alcuni. In ogni caso, non trovo altro modo efficace che comunicare, mettersi in relazione con i cittadini; sia con le classi dirigenti che con gli ultimi e financo i marginali. Ma deve essere fatto con serietà e continuità. Deve essere strutturale e non un qualcosa fatto di eventi-spot che dopo gli entusiasmi iniziali non si fanno concretezza, fatti. Credo che questi due anni che porteranno Agrigento a svolgere il ruolo di Capitale italiana della Cultura siano un’occasione formidabile e irripetibile di rilancio sociale, educativo e se così sarà seguirà anche quello economico per tutti. Altrimenti torneremo nei risultati buoni per singoli individui o piccoli gruppi e in una sostanziale frustrante sconfitta per la nostra amata terra. Ecco, se amiamo la nostra Isola e la nostra Agrigento dobbiamo comprendere che se vince solo qualcuno siamo sconfitti tutti. La Polizia di Stato e la Questura stanno facendo ogni possibile sforzo per far riacquistare dignità alla gente perbene e ripristinare la legalità è un bene per tutti. Le regole ci sono e si rispettano perché sono dettate nell’interesse comune e non dei singoli. A noi spetta garantire il rispetto delle regole perché tutti possano sentirsi sicuri e dunque pienamente liberi. Senza sicurezza si affitta la propria libertà a protettori che hanno un solo interesse: l’esercizio del potere per arricchire sé stessi di denaro e altro potere. Solo lo Stato-Comunità ha cuore l’interesse comune e questo chiede una distribuzione tra tutti di piccoli doveri, ottenendo in cambio una vita sociale in grado di favorire le aspirazioni di tutti secondo il proprio impegno e merito”.
Intervista al sindaco di Naro, Maria Grazia Brandara
NARO (AG) – Tra i sindaci dell’agrigentino che hanno subito atti intimidatori c’è anche Maria Grazia Brandara, prima cittadina di Naro. A lei, ad aprile dello scorso anno, è stato consegnato un fazzoletto intriso di sangue, il quale si è aggiunto ad altri episodi intimidatori subiti nel corso della sua carriera politica.
Sindaca, come si lavora in questo clima?
“Io sono già stata sindaco nel 2004, cui sono seguiti altri incarichi a livello regionale, e da quella data ho ricevuto una serie di intimidazioni che hanno fatto parte di un piccolo dossier di risposta che avevo mandato alla Procura. Quando sono stata commissario a Licata, sono stata addirittura per nove mesi sotto scorta. Non si vive bene, naturalmente, ma sono tanti anni che faccio questo lavoro, quindi non mi impressiono facilmente, anche se alcuni episodi ti inquietano e ti angosciano. Magari voi conoscete solo quello del fazzoletto intriso di sangue, ma ce ne sono altri che non abbiamo voluto rendere pubblici”.
Forse in contesti così piccoli e lontani dalla politica nazionale e regionale è ancora più difficile…
“Esatto. Delle volte basta un no, perché magari qualcosa non si può fare, per scatenare l’odio. Mi reputo una persona molto coraggiosa, non le nascondo però che da un po’ di tempo, quando torno a casa e non trovo parcheggio o è buio, mi preoccupo, a differenza di quanto succedeva prima. Noi sindaci dovremmo prenderci per mano, fare fronte comune e chiedere maggiori tutele. Siamo disposti a fare da tramite tra Stato e società, ma dobbiamo essere aiutati in questo. Io deve ringraziare le Forze dell’ordine che mi sono sempre state vicine e non mi hanno mai fatto sentire sola. Però non facile: non possiamo vivere con loro sempre accanto”.
La provincia di Agrigento poi ha questo triste primato, oltre a essere la seconda provincia al livello nazionale dopo Napoli. E le intimidazioni sono anche molto violente…
“Certo, dobbiamo scontrarci con la criminalità organizzata, ma c’è clima di odio e insoddisfazione, alimentato dai social, che è diventato insostenibile e in cui noi sindaci diventiamo il parafulmine di tutto quello che succede di brutto in una comunità. Dobbiamo fare tutti una riflessione. Oggi fare il sindaco è difficile, si può fare soltanto se si ha un grande amore per questo lavoro, come ce l’ho io. Sono stata anche parlamentare al livello regionale, ma non c’è paragone: fare il sindaco è un complito complicatissimo. Ho ricevuto almeno una quindicina di intimidazioni, dalla bottiglia incendiaria alle cartucce, dalla bara disegnata al fazzoletto intriso di sangue. Cosa facciamo, ci fermiamo? Assolutamente no. È una sfida che si ha con sé stessi e con il proprio coraggio. Non possiamo dargliela vinta, lo Stato e le istituzioni devono vincere”.
Sono in aumento anche episodi intimidatori verso le donne, forse perché la presenza femminile nelle istituzioni è aumentata. Ne ha percezione?
“È proprio quello che volevo sottolineare. Non voglio dire che ci sia una sorta di misogina qui in Sicilia, ma vedo trattamenti differenti. È difficile che ci si rivolga a un sindaco uomo con questi improperi o con un linguaggio a volte molto pesante. Magari perché lo si teme di più, non lo so, ma alle donne sono destinati insulti di carattere sessista. Certo, se ti arriva a casa un fazzoletto zuppo di sangue, la parolaccia o l’insulto passa in secondo piano. Però quello che a volte si legge sui social non è accettabile”.