Dal vermocane al pesce pappagallo, è soprattutto la fauna marina a essere sconvolta dai “nuovi arrivati”. La studiosa Monica Blasi: "Il problema va risolto all’origine"
Dalla formica rossa sino all’ormai all’arcinoto punteruolo; dal pesce pappagallo alla lucertola sudamericana per concludere la carrellata col granchio blu. Per non parlare sul piano sanitario della diffusione di malattie che fino a qualche decennio fa erano limitate soltanto ai paesi di origine – Sudamerica, Africa, Asia – veicolate dalla zanzara anofele che sta portando anche nel nostro Paese malattie come la febbre di Dengue o la Chikunguna.
La globalizzazione, ormai è noto a tutti, non riguarda oggi solo il mondo economico, ma ha colpito tutto il continente anche in materia di diffusione di specie chiamate comunemente aliene e di malattie portate da insetti. La principale colpa è del cambiamento climatico che sta spostando il parallelo dell’Equatore sino a latitudini che finora erano impensabili. Un meteo più caldo, umido piuttosto che temperato, sta portando molte specie a migrare verso il continente europeo e a insediarsi senza problemi. Con tutte le conseguenze che ne competono.
Stavolta l’allarme arriva anche dal Mediterraneo e in particolare dalle Isole Eolie, stupendo arcipelago turistico, ma anche patrimonio della biodiversità del Mare Nostrum. Una studiosa di biodiversità marina, Monica Blasi, presidente del “Filicudi Wildlife conservation – pronto soccorso per tartarughe marine” ha recentemente lanciato l’allarme per la moltiplicazione di specie aliene nei mari dell’arcipelago eoliano.
“Ci stiamo abituando a nuotare tra pesci pappagallo e barracuda”
“Ci stiamo abituando – spiega – a nuotare tra i pesci pappagallo e i barracuda e ad osservare sul fondale e tra le fessure della roccia granchi corridori e vermocani che divorano stelle marine e nudibranchi. Abbiamo parlato spesso – ha aggiunto – di quanto la pesca intensiva abbia contribuito a ridurre drasticamente le risorse ittiche del mare eoliano ma poi c’è un altro fattore che aggrava la situazione, il cambiamento climatico. Specie alloctone o finora confinate nelle porzioni più meridionali del nostro Mediterraneo traggono vantaggio dall’aumento della temperatura, dalla carenza di predatori e da una generale condizione di degrado del mare riducendo la nicchia trofica di specie autoctone o anche diventando voraci predatori della fauna marina nostrana”.
A rischio la biodiversità con il “Vermocane”
La studiosa si è anche soffermata sulle specie che maggiormente rischiano di mettere in crisi la biodiversità dell’arcipelago: “Il vermocane, Hermodice carunculata, è l’esempio più lampante, una volta tipico solo delle coste Ioniche e dell’Adriatico meridionale ora diffuso ovunque nel Tirreno. Si nutre principalmente di prede morte ma anche di nudibranchi, anemoni, oluturie, ricci, stelle marine ed altri organismi marini presenti sul fondale. Si parla ancora poco di quanto possa diventare pericoloso per il nostro mare questo vorace predatore, tra l’altro molto urticante, che non solo sta aumentando numericamente e in dimensioni ma anche espandendo il suo areale di distribuzione, provocando una drastica riduzione della biodiversità marina nonché danni al settore della pesca artigianale e potenzialmente a quello turistico”
Soffermandosi sul granchi corridore e sul pesce pappagallo l’esperta ha aggiunto: “Il granchio corridore atlantico, il Percnon gibbesi, originario delle coste orientali americane e prettamente erbivoro, che con le sue notevoli capacità di schivare i ben pochi residui predatori, come ad esempio i polpi, ha ridotto la nicchia trofica delle specie autoctone come Eriphia verrucosa e Pachygrapsus marmoratus, che condividono lo stesso habitat. Il pesce pappagallo, Sparisoma cretese, sempre più comune sui nostri fondali e in espansione alle alte latitudini: questa specie è il diretto competitore dell’erbivora salpa, Sarpa salpa, nutrendosi principalmente di alghe e piccoli invertebrati”.
“Ma poi ci sono osservazioni non ancora ben riportate a livello scientifico – prosegue – che indicano come alcune specie si stiano adattando meglio di altre a questa nuova condizione di cambiamento del mare. Osserviamo sempre più frequentemente il nudibranco Aplisia dactilomelas, un mollusco gasteropode proveniente dai Caraibi e dall’atlantico tropicale, che sta espandendo il suo areale colonizzando i fondali rocciosi e nutrendosi di alghe. Sempre più rara da osservare purtroppo la nostrana Aplisia fasciata”.
Cosa fare per contenere questa diffusione che rischia di tropicalizzare i nostri mari? Per la Blasi c’è poco da fare. “Io non sono favorevole a progetti di eradicazione della fauna invasiva. Il problema va risolto all’origine, tenendo presente che contro i cambiamenti climatici la visione deve essere globale. Sul piano prettamente concreto la carenza di predatori dovuta a un super sfruttamento delle risorse ittiche sicuramente è un fattore che ha dato modo a queste specie di diffondersi. Quindi sicuramente una cosa da fare è quella di proteggere gi habitat per la biodiversità marina, attraverso la nascita di alcune aree marine protette in cui ci siano previste aree di popolamento per la fauna marina, per incrementare quei predatori oggi in diminuzione”.
Cambiare trend sui consumi ittici:
La biologa poi invita le autorità a cambiare trend sui consumi ittici: “Un’altra strada – spiega – potrebbe essere quella di inserire queste specie aliene nella catena ittica di consumo. Si tratta di pesci commestibili, quindi perché non inserirli nel mercati ittici? Alcune di queste specie sono commestibili, come il pesce pappagallo o il barracuda. Bisognerebbe agire attraverso un marchio di qualità del pescato anche di queste specie. Noi abbiamo un progetto cofinanziato dalla comunità Europea col quale promuoviamo attraverso un marchio di sostenibilità un pescato povero, spesso tropicale che può anche compensare il danno dei cambiamenti”.