La Corte costituzionale ha ribadito il principio di ragionevolezza della pena rispetto alla violazione. La riforma fiscale ha tra gli obiettivi proprio la revisione delle misure punitive
ROMA – Giova ricordare che l’articolo 7, commi 1 e 4, del Decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472, stabilisce che “1. Nella determinazione della sanzione si ha riguardo alla gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, all’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali”.
Ed ancora, al comma 4, che “4. Qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”.
Sono principi importantissimi, esistenti sin dal 1997, i quali, tuttavia, finora non hanno avuto l’attenzione e l’applicazione che neritano.
È stato sempre necessario ricorrere alla Corte di Giustizia Europea la quale, diverse volte, ha affermato l’assoluta esigenza che le sanzioni, anche quelle tributarie, siano proporzionate alla gravità della violazione commessa ed al danno che è stato causato all’Amministrazione Finanziaria. In difetto di tali condizioni, le sanzioni devono essere ridimenzionate dal Giudice della Corte di Giustizia Tributaria del nostro Paese.
C’è da dire, peraltro, che la stessa Corte di Giustizia Europea, con la sentenza dell’8 marzo 2022 (causa C-205/209), ha pure affermato chiaramente che il giudice nazionale deve disapplicare le sanzioni previste dalla legge per la violazione di obblighi in materia di lavoro e previdenza, qualora le stesse risultino lesive del principio di proporzionalità. Il Giudice nazionale, pertanto, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, è tenuto a disapplicare discipline legislative nazionali contrastanti, seppur “nei soli limiti necessari per consentire l’irrogazione di sanzioni proporzionate”.
Il tutto dimenticando che già l’articolo 7 del citato Decreto legislativo 472 del 1997 prevedeva, e prevede ancora, la necessità di evitare qualunque sproporzione tra entità della violazione ed entità della sanzione irrigabile (o irrogata),
Per la verità, la riforma tributaria che si sta redigendo sulla base della legge delega n. 111 del 9 agosto 2023, ha come obiettivo anche la revisione delle sistema sanzionatorio tributario. Verosimilmente anche questo problema sarà superato legislativamente.
Recentemente, però, con sentenza n. 46 del 17 Marzo 2023, la Corte Costituzionale, su impulso della Commissione Tributaria Provinciale di Bari, è intervenuta sull’argomento, sostenendo, da un lato, l’infondatezza della eccepita questione di costituzionalità nella parte in cui si sanziona la mancata presentazione della dichiarazione, e dall’altro, sottolineando l’esigenza della proporzionalità e della ragionevolezza della pena rispetto alla violazione.
Secondo la Consulta, quindi, la riduzione della sanzione fino alla metà del minimo edittale, così come già previsto dal citato articolo 7 del D.Leg/vo 472/97, deve avvenire quando non è esistito un chiaro intento evasivo e quando il contribuente si sia attivato per l’eliminazione o per l’attenuazione delle conseguenza del suo illecito.
Una riduzione la quale può essere operata direttamente dall’Ente impositore (Agenzia delle Entrate, principalmente), ma anche dal Giudice nazionale adito dal contribuente.