Chiara Iaria, Direttore UOC Malattie Infettive all’Arnas Ospedali Civico Di Cristina di Palermo. “Frequenti a reni e polmoni, impatto su allungamento degenza e mortalità”
PALERMO – Secondo l’attuale definizione dell’Istituto superiore di sanità, per infezioni correlate all’assistenza (Ica) si intendono quelle infezioni dovute a batteri, funghi, virus o altri agenti patogeni meno comuni contratte durante l’assistenza sanitaria, che possono verificarsi in qualsiasi contesto assistenziale e che, al momento dell’ingresso nella struttura, o prima dell’erogazione dell’assistenza, non erano manifeste clinicamente, né in incubazione.
Al fine di sondare tali aspetti sanitari che si possono ripercuotere sulla popolazione generale di seguito l’intervista a un esperto del settore, Chiara Iaria, Direttore della UOC di Malattie infettive e tropicali presso l’Arnas Ospedali Civico Di Cristina di Palermo.
Dottoressa Iaria, quali sono le infezioni che si trasmettono in ambiente ospedaliero?
“Le infezioni correlate all’assistenza (Ica) sono infezioni ospedaliere che insorgono dopo almeno 48 ore dall’ingresso in ospedale del paziente. Tra le più frequenti, secondo i dati di sorveglianza europea (EuroCDC), al primo posto troviamo le infezioni del tratto urinario, nel 94% dei casi correlate alla presenza del catetere vescicale. Dopo queste molto frequenti sono le polmoniti, le infezioni del sito chirurgico, le infezioni del torrente circolatorio spesso correlate alla presenza di un catetere venoso centrale, ma anche secondarie a infezioni del tratto urinario, e quelle gastrointestinali. A proposito di queste ultime molta attenzione si sta ponendo oggi sulle infezioni da Clostridiodes difficile, in costante aumento nel paziente ospedalizzato”.
Quale l’impatto di tali infezioni sulla sanità pubblica?
“Le Ica hanno un impatto notevole sulla sanità pubblica, in termini di allungamento delle giornate di degenza, morbilità e mortalità. Si stima che ogni anno in Europa i casi di infezioni correlate all’assistenza si aggirino tra i 450.000 e i 700.000. Negli Stati Uniti si stimano ogni anno circa 99.000 decessi per Ica. Nel 2050 si stima che le Ica potranno diventare la prima causa di morte prima del cancro, del diabete e delle malattie cardiovascolari”.
Infine, cosa può dirci sulle strategie di prevenzione?
“Premesso che tale condizione rappresenta un’urgenza globale con un approccio di salute unica (One Health), ritengo che si tratti di un’emergenza pandemica che dovrebbe coinvolgere tutti e a tutti i livelli. L’argomento negli ultimi anni è molto sentito anche sul piano istituzionale e si stanno mettendo in campo una serie di interventi tra cui l’emanazione di documenti e protocolli, primo per importanza il Pncar (Piano Nazionale per la lotta all’antimicrobico resistenza) che prevede la sorveglianza e il monitoraggio delle Ica e dei germi multiresistenti (Mdr), il monitoraggio e il buon uso degli antibiotici e la lotta ai vettori portatori di malattie infettive. Importante è inoltre il ruolo delle vaccinazioni che devono essere raccomandate, così come prevede il recentissimo Piano nazionale per la Prevenzione vaccinale, a tutti i pazienti che, a qualsiasi titolo, transitano dall’ospedale o dagli ambulatori medici. Molti studi e molte esperienze in Italia e all’estero hanno dimostrato come, attuando i protocolli di infection control, è possibile prevenire le Ica e come tali infezioni si possano ridurre drasticamente se implementati gli interventi di controllo delle infezioni, dallo screening mediante i tamponi rettali e nasali alla profilassi perioperatoria, alla disinfezione, alla pulizia degli ambienti, e prima di tutto al lavaggio delle mani. Tutti questi interventi andrebbero coordinati da personale medico e infermieristico specializzato nella gestione delle infezioni correlate all’assistenza”.