Concorrenza “posticipata”
Il Parlamento ha approvato una legge relativa alla Direttiva Bolkestein sulla concorrenza con cui stabilisce un obiettivo opposto.
Cosa diceva la Direttiva europea? Che tutte le concessioni di ogni genere, sia per quanto concerne i lidi balneari che il commercio ambulante, devono essere messe all’asta perché soltanto così emerge chi è più competitivo.
Ma le lobbies, si sa, hanno una presa elettorale notevole, con la conseguenza che questi Governo e maggioranza hanno ulteriormente spostato di un anno e forse più la scadenza delle attuali concessioni.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ancora una volta, con saggezza, firmato la legge, che perciò è stata promulgata, ma ha ulteriormente inviato una lettera di ammonimento al Governo elencando gli errori della medesima legge, che violano la Costituzione oltre che la normativa europea.
Ricordiamo che la Direttiva Bolkestein è del 2006 e doveva essere recepita entro due anni.
Non è la prima volta che il Presidente della Repubblica ammonisce Governo e Parlamento in una sorta di deviazione rispetto alla Costituzione, di cui egli è un attento, preciso e fedele custode. Ma non sempre i suoi ammonimenti sono stati ascoltati in questi otto anni del primo e secondo mandato.
Sulla Bolkestein vi è un’altra questione molto importante di tipo legale e cioè che la Giustizia amministrativa, Tar e Consiglio di Stato, hanno emesso svariate sentenze con cui vengono annullate le proroghe definite illegali. Cosicché è pacifico che questa giurisprudenza, ormai divenuta costante, continuerà a dare ragione a chi farà ricorso contro queste proroghe.
La furbizia di chi le ha fatte sta nel tempo necessario, perché ovviamente sentenze del Tar appellate davanti al Consiglio di Stato e al Cga per la Sicilia, prenderanno oltre un anno, per cui comunque, di fatto, la proroga ha avuto effetto.
Lo stesso discorso vale per il commercio ambulante, le cui licenze dovrebbero essere messe in gara. E terzo, perché no, anche le licenze dei tassisti dovrebbero essere messe in gara, vietando il mercimonio delle stesse.
Il Presidente Mattarella, forte dei consensi ricevuti anche nella seconda elezione, non ha esitato – pur con la consueta sobrietà – a invitare il Parlamento a scrivere le leggi in buon italiano, evitando quei richiami a commi, numeri e virgole di altre leggi, che hanno il “pregio” di confondere le idee e di non far capire ai/alle cittadini/e il loro significato, come invece prevede la Costituzione.
“Scrivete in buon italiano, semplice e comprensibile” ammonisce Mattarella. Ma quei poveri parlamentari, “gli/le eletti/e” spesso non capiscono quello che leggono e quello che scrivono data la loro “elevata” cultura media, fatti salvo, naturalmente, moltissimi parlamentari dotti, colti, competenti e capaci, che però costituiscono una minoranza.
Questo rappresenta un grande difetto della Democrazia, che consente l’elezione di qualunque cittadino/a in possesso dei diritti civili e politici, solamente se capace di leggere e scrivere. Bisognerebbe invece essere competenti in tante materie, per esprimersi in Parlamento con cognizione di causa e non per sentito dire.
Un ulteriore monito del presidente Mattarella riguarda i Decreti legge, che, ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, possono essere emessi in via eccezionale e per ragioni di necessità e urgenza. Per esempio, non si capisce quali siano queste ragioni di necessità e urgenza per far approvare dai Governi degli ultimi anni il cosiddetto decreto legge Milleproroghe, che poi il Capo dello Stato emana firmandolo, pur formulando tutte le riserve, appunto, su necessità e urgenza.
Se ci fate caso, il sistema parlamentare di formazione e approvazione delle leggi di fatto è stato stravolto nel nostro Paese perché la maggioranza delle leggi approvate dal Parlamento provengono da disegni di legge governativi. Anche questi dovrebbero costituire un’eccezione, tanto che l’articolo 72 della Costituzione prevede che tali ddl governativi debbano essere autorizzati dal Presidente della Repubblica per essere trasmessi al Parlamento. Non sarebbe, per conseguenza, una prassi ordinaria. Ma lo è diventata.