Inflazione, la “tassa” dei poveri che al Sud fa più male - QdS

Inflazione, la “tassa” dei poveri che al Sud fa più male

Chiara Borzi

Inflazione, la “tassa” dei poveri che al Sud fa più male

sabato 27 Gennaio 2024

Il presidente facente funzioni dell’Istat, Francesco Maria Chelli, è intervenuto al seminario sulle povertà organizzato dall’Unict. “I nuclei più in difficoltà consumano i beni maggiormente aumentati di prezzo. Formazione per livellare le diseguaglianze”

CATANIA – L’aumento dei prezzi causato dalla crescita dell’inflazione non ha pesato su tutta la popolazione, ma di più su chi era già povero. Lo ha ribadito da Catania il presidente facente funzioni dell’Istat, Francesco Maria Chelli, docente di Statistica Economica presso l’Università Politecnica delle Marche, nel corso del seminario – organizzato dal dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania – che si è tenuto nell’aula magna di Palazzo delle scienze, dal titolo “Disuguaglianza e povertà: la situazione del Paese dagli ultimi dati dell’Istat”.

Nuclei più poveri consumano i beni aumentati più di prezzo” ha spiegato Chelli presentando i dati 2021-2022. “Famiglie con più figli e meno istruzione, soprattutto a Sud, sono a rischio povertà – ha proseguito -. Accade in una fase storica in cui, soprattutto da parte del Governo, arriva l’invito alla genitorialità per migliorare i dati sulla natalità”.

Sono 5,6 milioni le persone in Italia che vivono in condizione di povertà assoluta. Con un’incidenza maggiore di famiglie al Sud (11,2 per cento) e nelle Isole (9,8 per cento). Due milioni di poveri sono presenti solo nel Mezzogiorno.

Sergio Mattarella ha ricordato che l’istruzione serve a livellare le disuguaglianze

“Una chiave di interpretazione che sottolineo sempre è quello della formazione – ha aggiunto il presidente Istat – e pochi giorni fa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato che l’istruzione serve a livellare le disuguaglianze. Lo dico perchè stando ai dati, persone che per qualsiasi motivo non hanno completato il percorso scolastico o universitario, in Italia rischiano la povertà”.

Legame tra bassa istruzione e condizione di povertà

Il legame tra bassa istruzione e condizione di povertà è – ancora una volta – più alto nel Meridione. “Entro l’estate la nuova commissione sulla povertà educativa creata da Istat condividerà tutti i dati a riguardo” ha spiegato il presidente Istat da Catania. Chelli ha presentato alcune slide con dati siciliani riguardanti invecchiamento della popolazione, mercato del lavoro e aumento dei prezzi. Nel 2022 l’età media in Sicilia è salita da 41,6 anni (2021) a 45,2 anni. Un dato che resta appena più basso rispetto alla media nazionale, pari 46,4 anni.

Tra le province, Messina ed Enna hanno una popolazione più vecchia. Più giovane l’età della popolazione registrata a Ragusa e a Catania (44,1 e 44,2 anni). La fascia di popolazione in età 50-64 anni è quella più numerosa in Sicilia, sia per gli uomini che per le donne.

Lavoro, in Sicilia non si riduce il divario con il resto d’Italia

In merito ai dati sul mercato del lavoro, in Sicilia non si riduce il divario con il resto d’Italia. Ci sono comunque delle realtà maggiormente positive a livello regionale. Ragusa è la provincia siciliana con il tasso di attività più alto (45,2 per cento), ma anche di occupazione (39,2 per cento) e più basso per la disoccupazione (13,3 per cento). Il secondo tasso di attività lavorativa più alto è stato registrato da Istat a Catania (43,5 per cento) e a Messina (43,3 per cento). Proprio Messina è la provincia con il secondo tasso di occupazione più alto in Sicilia (37, 5 per cento). Al contrario la provincia con meno occupati è Agrigento (33,9 per cento). Riguardo ai tassi provinciali di disoccupazione, la statistica più alta interessa il territorio di Catania (17,1 per cento), seguito da Palermo (16,1 per cento). Il tasso più basso di disoccupazione in Sicilia, Istat lo ha rilevato appunto a Ragusa (13,3 per cento) seguita da Enna (14,1 per cento) e Siracusa (14,7 per cento).

Rallenta l’inflazione

Riguardo l’aumento dei prezzi, come le altre regioni anche la Sicilia ha giovato del rallentamento dell’inflazione. L’indice nazionale dei prezzi al consumo è diminuito dello 0,1 per cento su base mensile. Nonostante i segnali positivi in regione resta una “montagna da scalare”, rappresentata dal numero di siciliani che vivono in povertà assoluta.

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