Finita la mangiatoia, serviranno agevolazioni tarate sul reddito delle famiglie per riqualificare gli edifici come chiede l’Ue
Da misura trainante dell’economia a “guaio” con cui si è trovato a dover fare i conti il Governo Meloni. Quello del superbonus, con tantissimi cantieri ancora bloccati, è un guazzabuglio che rischia di offuscare una reale esigenza del nostro Paese: rendere energeticamente più sostenibile un patrimonio immobiliare, soprattutto residenziale, vetusto e inefficiente. Anche perché, sebbene depotenziata, la cosiddetta direttiva europea “Case green” arriverà inesorabile imponendo delle scelte precise agli stati membri dell’Unione.
Un paio di settimane fa, la Commissione industria, ricerca ed energia (Itre) del parlamento europeo ha infatti confermato l’accordo sulla revisione della direttiva, raggiunto lo scorso 7 dicembre a seguito del trilogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio. Il testo prevede obiettivi intermedi per la riqualificazione degli edifici, da raggiungere tra il 2030 e il 2035, e un progressivo abbandono delle caldaie a gas, vietate a partire dal 2040.
Cosa significa? Che la direttiva, una volta approvata in via definitiva dovrà essere recepita anche dall’Italia attraverso un “Piano nazionale di ristrutturazione dei propri edifici”. In particolare, entro il 2030 dovrà essere ristrutturato almeno il 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni ed entro il 2033 il 26% degli edifici con le peggiori prestazioni, attraverso requisiti minimi di prestazione energetica. È inevitabile, dunque, che il superbonus uscito dalla porta, potrebbe “rientrare” dalla finestra.
“L’altra truffa”
In ogni caso si dovrà necessariamente riaprire una discussione sugli incentivi, da tarare in base al reddito per consentire a tutti i cittadini di affrontare costose ristrutturazioni che però non possono tradursi in un arricchimento di pochi ai danni dello Stato. Uno dei nodi del 110, come abbiamo denunciato più volte dalle colonne di questo giornale, sta proprio nell’aumento vertiginoso dei prezzi, dovuti a un incentivo totalmente slegato dalle logiche di mercato, tanto “paga Pantalone”. Questo perché nel caso di appalti privati non è previsto, per legge, che si mettano in concorrenza diversi possibili appaltatori al fine di ottenere il miglior prezzo di mercato possibile come, invece, accade negli appalti pubblici dove si assiste normalmente a ribassi d’asta anche superiori al 20% dell’offerta presentata. Quello che fa la differenza, dunque, in un contesto di mercato è la “trattativa” e la concorrenza di più soggetti consultati da proprietari e condomini al fine di ottenere i prezzi più vantaggiosi. Ma con il superbonus, appunto, è stata bypassata. “L’importante, mi chiedevano i condomini, è che i lavori fossero eseguiti al meglio indipendentemente dal prezzo proposto”, racconta un amministratore di condominio che preferisce restare anonimo (sotto l’intervista completa).
Gli incentivi in vigore
Il Governo ha bocciato tutti gli emendamenti del “Decreto Salva-spese”, originariamente emanato per concedere una piccola proroga ai termini per ottenere l’agevolazione abitativa, nella massima misura, a causa dall’incompatibilità di nuove e ulteriori spese con la situazione dei conti pubblici. “Allo stato attuale – spiega Marcellino Termini, specializzato in appalti pubblici e privati – sono previste misure di supporto solo per le unità immobiliari indipendenti, che valgono il 110% solo per tutte le case che al 30 Settembre 2022 avevano asseverato almeno il 30% degli interventi, il 90% se non si rientra entro tale data, ma al tempo stesso le opere risultano già cominciate mentre, per i lavori eseguiti, dal 1° Gennaio 2024 è possibile solo fare ricorso alle misure Ecobonus o Sismabonus. Nel caso dei condomini, invece, sono da ritenersi valide le aliquote 2023 solamente se le spese risultano asseverate all’Enea entro il 31 Dicembre scorso e per gli interventi successivi lo sconto scende al 70% per tutto il 2024 e al 65% per il 2025. Per chi ha, invece, i lavori interrotti o eseguiti in due annate diverse non esiste una legge sicura e univoca e, di fatto, ogni caso è a sé stante”.
I cantieri bloccati
Allo stato attuale, i lavori ancora da compiere hanno un valore di circa 11,6 miliardi di euro e i contribuenti rischiano di dover versare di tasca propria quasi 4 miliardi. Inevitabile, quindi, l’apertura di migliaia di contenziosi tra committenti e edili, anche perché in molti casi i contribuenti non possono far fronte alle spese, quasi sempre non preventivate e, soprattutto, ritenute sin dall’inizio a carico dello Stato. Altro grande rischio è quello che molti cantieri si fermino del tutto, lasciando incompleti i lavori, perché le somme incassate dalle imprese non sono più contestabili dal Fisco, stravolgendo i piani lavorativi e obbligando a ripristinare l’edificio allo stato precedente l’inizio dei lavori. Molti appaltatori, inoltre, hanno deciso di accettare troppe commissioni chiedendo prestiti alle banche, prestiti non restituiti che li hanno o bloccati o, in alcuni casi, li hanno portati in stato di fallimento, creando enormi disagi ai cittadini e agli operai, nonché danni economici rilevanti.
Un patrimonio edilizio da riqualificare
Quello della riqualificazione energetica degli edifici è una montagna da scalare nel nostro Paese. Basta guardare gli ultimi dati di Enea e Conto termico, sulla base di 1,3 milioni di attestati di prestazione energetica (Ape). Seppure si noti un miglioramento, circa il 55% dei casi rientrano nelle classi energetiche peggiori (F-G). Pur con tutti i suoi limiti, il Superbonus ha contribuito al risparmio record di 3 miliardi di euro nella fattura energetica nazionale del 2022 grazie agli interventi di efficienza energetica. Le minori importazioni di petrolio e gas hanno consentito una riduzione delle emissioni di CO₂ di circa 6,5 milioni di tonnellate e un risparmio di poco più di 2,5 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (Mtep). Insomma, la strada è quella giusta: il mezzo va cambiato.
Le confessioni di un amministratore di condominio
“I costi degli interventi? I condòmini neanche li guardavano”
“Amministro una ventina di condomini a Palermo – ha raccontato al QdS un amministratore di condominio che ha chiesto di rimanere anonimo – e, subito dopo l’entrata in vigore della 77/2020, ho prospettato la possibilità di eseguire lavori di riqualificazione energetica e riduzione del rischio sismico in pratica senza aver alcun tipo di costo. Dopo un’iniziale diffidenza, in realtà, i diversi proprietari della quasi totalità degli immobili da me amministrati ha accettato, anche per rivalutare economicamente la loro proprietà”.
Ovviamente gli appalti sono stati assegnati in maniera diretta, spesso alla prima ditta offerente perché “a tutti – continua l’amministratore di condominio – avevo proposto di fare una seppur piccola indagine di mercato sia per valutare l’efficacia dell’intervento sia per ottenere il miglior prezzo di mercato possibile ma la risposta che ho ottenuto dai proprietari degli immobili da me amministrati è stata univoca ‘non serve perché l’importante è che i lavori siano eseguiti al meglio indipendentemente dal prezzo proposto’. Sono rimasto perplesso anche perché, anche nei diversi casi in cui si è provveduto banalmente a sostituire l’impianto citofonico con uno più moderno e performante, ho sempre avuto la richiesta di trovare un fornitore che costasse meno. Evidentemente il fatto che per loro non ci fosse alcun costo, oltre ovviamente a quello derivante dal disagio di aggirare l’impalcatura montata e tenere chiuse le finestre per evitare che i residui volatili dei lavori entrassero negli appartamenti, è stato uno sprone a effettuare i lavori”.
Dal quel 2020 a oggi, non tutti i lavori iniziati sono stati completati “anche perché – prosegue l’amministratore di condominio – alcuni di questi sono iniziati solo nel 2022 o addirittura nel 2023 anche a causa della indisponibilità di partenza immediata delle imprese coinvolte che avevano catalizzato le loro risorse umane e tecniche in questa grossa possibilità”.
Poi è arrivato il blocco con l’attuale decisione del Governo. “Solo quattro degli immobili hanno, a oggi, terminato tutti i lavori previsti e le operazioni di cessione del credito d’imposta sono andati a buon fine. Per tutti gli altri si pone il problema di capire se e come i lavori potranno essere terminati ma, soprattutto, che li dovrà pagare perché, anche quelli rientranti ad esempio nella misura definita Ecobonus non prevedono un costo pari a zero”. Occasione perduta? “Probabilmente sì, molti degli immobili, ma non parlo solo di quelli da me amministrati, avrebbero potuto godere di miglioramenti non solo relativi a una loro migliore performance ottenuta con l’aumento delle classi energetiche ma anche con una rivalutazione dell’attuale prezzo di mercato. Due degli immobili, il cui intervento è ancora in corso e solo una piccola parte delle spese sostenute sono state certificate dall’Enea entro lo scorso 31 Dicembre scorso, ora dovranno fare i conti con uno sconto del 70%, sperando che la conclusione dei lavori sia possibile entro il 2024. Durante le riunioni di condominio che ho tenuto nel mese di gennaio, molti dei proprietari hanno espresso l’impossibilità di coprire la parte restante delle spese e alcuni di loro lo potranno fare solo ricorrendo a un mutuo”.
L’intervento della presidente di Ance, Federica Brancaccio, sul Dl 212/2023
“Si rischia di produrre scheletri urbani con cantieri fermi e tribunali intasati”
Audita in Commissione Finanze della Camera lo scorso 16 gennaio, la presidente di Ance Federica Brancaccio non ha dubbi: “Il Dl 212/2023, fortemente richiesto dall’Ance, avrebbe dovuto permettere, a chi avesse in corso un intervento in avanzato stato di realizzazione, di poterlo ultimare entro 2/3 mesi, usufruendo dell’aliquota del 110%. In questo modo, quegli interventi che fossero stati rallentati dalle ricorrenti difficoltà nella cessione dei crediti, dovute ai continui cambi normativi degli ultimi mesi, avrebbero potuto concludersi ordinatamente, evitando contenziosi tra condomini-committenti e imprese, e scongiurando pericolosi blocchi dei lavori, che avrebbero potuto costituire una minaccia patrimoniale a carico delle famiglie per il recupero, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dei crediti già loro concessi” perché, in realtà “la soluzione individuata dal Governo contiene invece solo una sanatoria che permette ai contribuenti di mantenere gli incentivi fruiti sino al 31 dicembre 2023 anche in caso di mancata conclusione dei lavori” e si intravede “il rischio di incentivare, in questa fase, comportamenti speculativi per accedere agli incentivi nelle percentuali maggiorate”.
“Il decreto non riduce quindi in nessun modo il problema delle famiglie e delle imprese – prosegue Brancaccio – e la soluzione individuata rischia piuttosto di favorire l’abbandono dei cantieri e le opere incompiute. In base agli ultimi dati del monitoraggio Enea-Mase, a fronte di circa 10 miliardi di euro di lavori da terminare nei condomini, è possibile stimare in 40.000 il numero di cantieri condominiali incompiuti, per un totale di circa 350.000 famiglie coinvolte e un valore dei contratti pari a 28 miliardi di euro. Con questo provvedimento, non solo i lavori avviati rischiano di non essere conclusi ma si acuisce fortemente il rischio di decine di migliaia di contenziosi tra condomini e imprese ed è reso vano lo sforzo compiuto dallo Stato per finanziare un sistema di incentivi volto ad efficientare il patrimonio edilizio esistente. Senza contare che le misure adottate favoriscono comportamenti scorretti diretti ad acquisire incentivi fiscali consistenti, senza garantire l’effettivo raggiungimento dell’obiettivo sotteso al riconoscimento del Superbonus”.
Inoltre, prosegue Barncaccio, “il rischio della modifica apportata dal nuovo decreto-legge è, infatti, quello di bloccare alcune iniziative in corso sulle quali ad esempio su un’area era stato approvato un piano di recupero ma ancora non si era presentato il titolo edilizio. Le operazioni ricadenti in piani di recupero o comunque nei piani attuativi in genere sono, infatti, più lunghi degli interventi diretti e, pertanto, ci possono essere casi in cui il titolo non è ancora stato presentato. In tal modo si limita fortemente il legittimo affidamento che gli interessati hanno maturato durante tutta la vigenza di una norma che chiaramente faceva riferimento a determinati presupposti”.
Negativa è la valutazione complessiva di Ance anche perché “il decreto rischia – continua Brancaccio – di produrre solo scheletri urbani con cantieri fermi e tribunali intasati, premiando i furbi che hanno intascato fondi pubblici senza finire i lavori. Per le famiglie a basso reddito, la norma rimanda al Fondo per gli incapienti per l’erogazione di uno specifico contributo. Tale previsione normativa rischia seriamente di rimanere inattuata, visto che la disponibilità finanziaria dello strumento, a oggi, è assai limitata (si parla di una dotazione complessiva di circa 16 milioni, pari allo 0,16% dei lavori ancora da concludere)” e che “è invece necessario garantire una chiusura ordinata dei cantieri in corso, salvaguardando anche l’obiettivo del miglioramento energetico e sismico dei fabbricati interessati dai lavori” e contemporaneamente “è opportuno, inoltre, salvaguardare tutte quelle operazioni relative ai piani di recupero all’interno delle zone sismiche che finora, con il DL n. 11/2023, hanno beneficiato della possibilità di utilizzare le opzioni per la cessione del credito e lo sconto in fattura avendo come unica condizione l’approvazione definitiva del piano di recupero (ad esempio con delibera del consiglio comunale)”.