Il piano del Governo regionale per realizzare gli impianti prevede di sfruttare circa 800 milioni di euro di fondi Fsc
PALERMO – Proprietà pubblica e gestione privata. Il piano della Regione sul fronte dei termovalorizzatori è questo. A ribadirlo la scorsa settimana è stato il presidente Renato Schifani con una nota che è arrivata pochi giorni dopo la notizia del parere favorevole dato dalla commissione tecnico-specialistica guidata da Gaetano Armao al progetto – tutto privato – di Si Energy. Quest’ultima è la società che fa parte della galassia di Alfa Acciai, che a Catania – non distante dall’acciaieria di proprietà – vorrebbe realizzare un impianto capace di trattare 555mila tonnellate di rifiuti all’anno e servire mezza Sicilia. Un investimento, circa 400 milioni di euro, a cui pare non essere interessato il governo regionale.
Le risorse arriveranno dal Fondo per lo sviluppo e la coesione
“Saranno impianti costruiti con risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2021/2027 e la gestione verrà affidata a operatori di mercato selezionati con procedura ad evidenza pubblica”, ha sottolineato Schifani, parlando dell’aggiornamento al piano regionale dei rifiuti, lo strumento di cui non si può fare a meno prima di pensare di implementare nel ciclo di smaltimento dei rifiuti i termovalorizzatori. L’ultima versione del piano, varata nel 2021 durante l’era Musumeci, conteneva infatti una previsione di massima senza però entrare nei dettagli, specialmente in termini di fabbisogno dei territori.
L’accelerazione voluta dall’attuale governo regionale di centrodestra, forte della condivisione d’intenti con Roma che ha assegnato a Schifani i poteri di commissario straordinario, passa anche da un cambio di strategia sul percorso da seguire per arrivare alla costruzione: “Il Piano prevede la realizzazione di due termovalorizzatori che avranno un costo presuntivo di 800 milioni di euro”, ha dichiarato il governatore. Risorse importanti che, stando alle intenzioni dell’esecutivo regionale, dovrebbero essere attinte dal Fondo per lo sviluppo e la coesione 2021/2027, ovvero dai fondi ex Fas istituiti nel 2003 e la cui gestione è in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri con il coinvolgimento del Comitato interministeriale per la programmazione economica Sviluppo sostenibile (Cipess).
Sull’utilizzabilità di tali risorse, che pur non essendo legate al Pnrr rischiano di seguire un indirizzo diverso dagli ultimi dati dall’Unione europea in merito alla gestione a valle del ciclo dei rifiuti, la polemica si è già aperta: tra i detrattori c’è già chi prevede che l’intero iter si impantanerà, mentre i fautori dei termovalorizzatori – e tra questi proprio il governo Schifani – sono convinti che si tratti del percorso ideale per arrivare alla costruzione.
La scelta a monte fatta dalla politica
Ciò di cui invece finora si è parlato poco, ma tutto fa pensare che prima o poi entrerà al centro del dibattito, è la scelta a monte fatta dalla politica: scartare l’ipotesi degli impianti totalmente privati o realizzati in project financing, preferendo a essi l’intervento pubblico. Una volontà che di fatto segnerebbe una cesura con gli ultimi vent’anni di gestione dei rifiuti, caratterizzata dall’oligopolio dei padroni delle discariche, le cui vicende nel corso del tempo sono finite anche all’attenzione dei tribunali, sia per questioni strettamente ambientali che per presunti rapporti corruttivi intrattenuti con la Pubblica amministrazione. Ma che introduce anche un nuovo tema: qual è la scelta più conveniente in termini di costi?
Da una parte all’altra dell’isola, i siciliani, perlomeno quella fetta di popolazione che sente il dovere civico di contribuire al pagamento dei servizi collettivi e non trova riparo nell’evasione, hanno avuto modo di imparare quanto sia costosa la gestione dei rifiuti. Specialmente negli ultimi tre anni, con la progressiva saturazione delle discariche e il ricorso sempre più frequente alle spedizioni transfrontaliere, i costi per lo smaltimento dell’immondizia sono schizzati alle stelle andando a pesare sulle tasche delle famiglie. La legge, in tal senso, parla chiaro: l’intero costo di gestione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto tramite la Tari.
Il governo Schifani l’anno scorso aveva assicurato di volere andare incontro ai Comuni, i cui bilanci rischiano di affossare per gli extra-costi da affrontare, annunciando uno stanziamento di 45 milioni di euro provenienti dai fondi nazionali. A oggi, però, si è trattato soltanto di un annuncio: stoppata la pista che portava ai fondi nazionali, l’assessore al Bilancio Marco Falcone ha proposto l’impiego di risorse regionali aumentando il budget a 60 milioni. La promessa, però, attende ancora di essere seguita dai fatti.
I termovalorizzatori per ridurre subito la Tari a carico dei cittadini
Tornando ai termovalorizzatori la scelta pubblica servirebbe a ridurre subito la Tari a carico dei cittadini. “L’investimento a carico degli utenti e il suo ammortamento è nullo”, ha affermato Schifani parlando dell’impiego di 800 milioni di fondi pubblici per la costruzione dei termovalorizzatori. L’entrata in funzione dei due impianti – uno su Palermo, l’altro a Catania – per i gestori coinciderebbe con il momento da cui poter trarre il margine di profitto su cui si basa ogni iniziativa imprenditoriale, senza attendere il rientro dai costi per la realizzazione e l’avviamento. Di conseguenza, è l’assunto del governo, le tariffe da sottoporre ai Comuni per il conferimento dell’indifferenziata sarebbero inevitabilmente più basse di quelle che un proprietario privato potrebbe offrire.
Tuttavia, per ora, si tratta di ragionamenti di massima, di cifre non ce ne sono. Per queste bisogna attendere i numeri: quelli che caratterizzeranno la gara d’appalto, ma anche quelli del piano regionale dei rifiuti, che dopo avere il formale apprezzamento da parte della giunta Schifani attende di essere pubblicato. “Un mese fa sono stato nominato commissario straordinario con decreto del presidente del Consiglio dei ministri e subito mi sono messo al lavoro su questo fronte”, ha commentato il presidente della Regione, difendendo la bontà della scelta dei termovalorizzatori che comunque non faranno “perdere di vista il raggiungimento del target fissato dalla direttiva 2018/851 dell’Unione europea che prevede al 2035 una percentuale di recupero e riciclaggio, legati all’incremento della raccolta differenziata, pari ad almeno il 65%”.
il caso di Si Energy
In questo quadro, in cui tutti i pezzi sembrano incastrarsi l’uno con l’altro, un granello di sabbia potrebbe andare a inceppare la macchina: è il caso di Si Energy, la cui ambizione di diventare il primo proprietario di un termovalorizzatore in Sicilia rischia di essere frustrata dalla diversa visione del governo Schifani. Con un inter autorizzativo che, seppure non è approdato al rilascio dell’autorizzazione ambientale come il presidente della Cts Gaetano Armao si è premurato di sottolineare, dopo anni di attesa ha compiuto importanti passi in avanti, l’impresa riconducibile ai magnati dell’acciato Stabiumi e Lonati cosa farà? Accetterà di farsi da parte o proverà in tutti i modi a portare avanti il proprio progetto?
Le alternative che propongono le associazioni “dissidenti”
Css per i cementifici, impianti waste to chemical, rifiuti zero
Se c’è chi, come il governo Schifani, ritiene che in Sicilia sia giunto il momento dei termovalorizzatori, non sono pochi quelli che ritengono che, al netto della contrarietà storica verso la tecnologia, quel tempo sia scaduto da tanto. Sono le associazioni ambientaliste che nell’isola da anni dicono no ai termovalorizzatori. Un’opposizione che parte dal lessico: “Inutile usare parole più morbide, si tratta di inceneritori perché si basano sulla combustione”.
Il QdS ha chiesto a tre delle principali sigle quale sarebbe l’alternativa ai termovalorizzatori per gestire il Rur, il rifiuto urbano residuo che nella nostra regione ha sempre trovato posto in discarica. “Per il 2030 si stima che avremo rifiuti indifferenziati per 230mila tonnellate annue. Questa quantità – dichiara Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia – può essere gestita con la produzione di Css da usare nei cementifici al posto del più inquinante coke”.
L’associazione nei giorni scorsi ha ribadito il proprio no ai termovalorizzatori, criticando anche le promesse legate a un risparmio sulla Tari. “Tra gli impianti di gestione del Rur guardiamo a quelli waste to chemical che non prevedono combustione, escludono emissioni di sostanze inquinanti, producono meno anidride carbonica e dalla conversione del gas di sintesi viene prodotto metanolo e idrogeno, mentre – conclude Castronovo – il residuo del processo è un granulato inerte da usare nell’edilizia e nell’industria meccanica”.
“L’Italia e la Sicilia non hanno bisogno di nuovi inceneritori – commenta Manuela Leone, referente di Rifiuti Zero Sicilia –. Lo diciamo non per questioni ideologiche, ma per motivi che hanno fondamenta nell’agenda ambientale Ue. Alla Sicilia hanno fatto perdere oltre il 90 per cento degli investimenti della vecchia programmazione economica destinati alla gestione virtuosa. Cento milioni che servivano per fare impianti che servono veramente ai Comuni a sostegno della raccolta differenziata e di uno sviluppo economico non più incentrato nelle mani di pochi imprenditori”.
Per l’associazione, il problema del Rur va affrontato spostando l’attenzione all’origine della produzione dei rifiuti. “Non possiamo utilizzare una visione ancorata a 40 anni fa. Bisogna investire i soldi pubblici – continua Leone – per una gestione in linea con la più avanzata normativa e politica ambientale e perseguire gli obiettivi di recupero e di decarbonizzazione. Spendere quindi i soldi pubblici per impianti di riciclo, compostaggio, centri di raccolta, del tutto assenti o carenti in Sicilia”.
Una posizione che ricalca in parte quella di Zero Waste Sicilia. “L’obiettivo di azzerare la produzione di quelli che oggi chiamiamo rifiuti è tutt’altro che utopico. Serve però rivedere il ciclo di produzione – dichiara Toti Durante – Nella nostra regione la differenziata è ancora indietro, specialmente nelle grandi città e questo incide incredibilmente sulle quantità di Rur”. Sui termovalorizzatori il no è netto: “Il sistema peggiore di gestione, perché è un modo comodo per non affrontare i problemi a monte. E questo – continua l’attivista – senza contare che contribuiscono a creare problemi nuovi, come la produzione di diossina o la diffusione nell’atmosfera di Pfas che resistono al trattamento”.
Cosa fare nel breve-medio termine? “L’Ue dice che entro il 2035 i rifiuti in discarica non devono essere oltre il 10 per cento, per noi nell’attesa di completare il processo di revisione della produzione sarebbe auspicabile consentire un conferimento, nelle discariche che già esistono, leggermente superiore a questa soglia”.
A Roma gara da oltre 7 miliardi
Stessa capacità di ricevere rifiuti e produrre energia di quelle che avrebbero, messi insieme, i due impianti che il governo Schifani vorrebbe costruire in Sicilia. Sono i numeri principali del termovalorizzatore che sorgerà a Roma. Voluto dall’amministrazione Gualtieri, il progetto – attorno a cui, come è normale che sia considerata la tematica, non sono mancate le polemiche – è al momento al centro di una gara d’appalto. A differenza di quanto potrebbe accadere nella nostra regione, dove il presidente Schifani e l’assessore Roberto Di Mauro puntano a investire 800 milioni di euro di fondi nazionali per costruire gli impianti a Palermo e Catania, e poi successivamente mettere a gara per affidarne la gestione, nella Capitale si è scelto il percorso del project financing: sarà il privato a mettere i soldi, con la possibilità di gestire i profitti ricavanti dal trattamento dei rifiuti indifferenziati, una volta recuperati i costi di ammortamento.
Il valore complessivo dell’appalto supera i 7, 4 miliardi. Sul progetto, presentato da Acea Ambiente, saranno chiamati a esprimersi gli operatori del settore, proponendo migliorie su più aspetti. Oltre alla riduzione dei tempi per lo sviluppo della progettazione esecutiva, di costruzione ed entrata in esercizio rispetto al cronoprogramma, i partecipanti dovranno dire se saranno disposti a prendere in carico il rischio delle variazioni del prezzo dell’energia e soprattutto esprimersi in merito al ribasso sulla durata della convenzione – si parte da 33 anni e cinque mesi e non si potrà andare al di sotto dei 20 anni – e sulla tariffa di conferimento. A riguardo la base di gara, che fa riferimento ai dati del 2022, è di 185 euro a tonnellata. Per presentare le offerte ci sarà tempo fino al 18 maggio.