Come stabilito dalla Corte di Cassazione, essi producono una maggiore capacità contributiva dell’interessato. Non occorre che la sussistenza del delitto sia stata già accertata da sentenza di condanna passata in giudicato
ROMA – La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 829 del 13 gennaio 2023, ha confermato l’indirizzo interpretativo sulla tassabilità di redditi provenienti da un illecito, sia civile, sia amministrativo, sia penale. Viene quindi definitivamente esclusa l’ipotesi di alcuni, ormai – per la verità – abbastanza pochi, dell’intassabilità di un corrispettivo, quando lo stesso proviene da un comportamento assolutamente fuori legge.
Gli Ermellini, quindi, sono dell’avviso che, anche in caso di provento illecito, si realizza e si manifesta una maggiore capacità contributiva del soggetto che la ha percepito. Il caso oggetto della citata sentenza riguardava un procedimento penale nei confronti di un contribuente il quale aveva lucrato una consistente somma, poiché, nella qualità di direttore di una Cassa edile, ponendo in essere condotte con abuso d’ufficio in concorso con altri, aveva distratto somme in suo favore, a titolo di “incentivo all’esodo”, disattendendo le regole che erano state poste dal comitato di gestione in caso di cessazione volontaria del rapporto di lavoro. L’Ufficio, pertanto, richiamando l’articolo 14, legge n. 537/1993 e successive modificazioni, aveva recuperato a tassazione dette somme, seppure illegittimamente percepite.
Per la verità i Giudici di merito avevano dato ragione al contribuente, sostenendo, in particolare (in secondo grado) che la mancata definizione, alla data della sentenza di primo grado, della questione penale, impediva di essere certi in ordine all’ammontare da sottoporre a tassazione tra i “redditi diversi”. Ma la Suprema Corte, come già detto, cassando la sentenza di merito di secondo grado, confermando il filone giurisprudenziale che include i proventi illeciti tra i “redditi diversi”, ha pure affermato un altro principio, ossia che non occorre che la sussistenza del delitto presupposto sia stata già accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo del reato non sia stato giudizialmente escluso, con la conferma, anche incidentale, della sua la materiale sussistenza, così come peraltro dalla stessa Corte di Cassazione implicitamente affermato, con riguardo al reato di riciclaggio, con sentenza n. 6093 del 2022.
Sulla tassabilità dei proventi illeciti si ricorda quanto stabilito dall’articolo 36, comma 34 bis del D.L. 223 del 4 luglio 2006, convertito con la Legge n. 248 del 04/08/2006, una norma di natura interpretativa (e quindi applicabile anche ai fatti accaduti prima della sua entrata in vigore), che ha disposto che “in deroga all’articolo 3 della legge 212/00, la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 14 della legge 537/93, si interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al Dpr 917/86, sono comunque considerati come redditi diversi”.
Quindi, in presenza di proventi derivanti da attività illecite, anche quando tali proventi non possono essere classificati in una specifica categoria reddituale, anche quando, cioè, l’illecito arricchimento non ha avuto origine nell’ambito di redditi “fondiari”, “di capitale”, di “lavoro dipendente”, di “lavoro autonomo”, di impresa”, ovvero di altri redditi di natura residuale indicati nell’articolo 6, comma 1, del Tuir, devono essere considerati imponibili e qualificati come “redditi diversi”, così come ha interpretato l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate e confermato dalla Corte di Cassazione.