Corsa contro il tempo per l’attuazione del Pnrr. L’ipotesi di una proroga tra appelli e smentite - QdS

Corsa contro il tempo per l’attuazione del Pnrr. L’ipotesi di una proroga tra appelli e smentite

Corsa contro il tempo per l’attuazione del Pnrr. L’ipotesi di una proroga tra appelli e smentite

Fabrizio Giuffrida  |
sabato 13 Aprile 2024

Crescono i timori di non ultimare gli interventi entro il 2026. Scadenze posticipate? A oggi sembra molto difficile

ROMA – Spendere in fretta e spendere bene. Sin dall’approvazione da parte dell’Ue del cosiddetto NextGenerationEu, il piano straordinario pensato per dare una scossa all’economia dei Paesi membri dopo la pandemia di Covid-19, è stato un po’ questo il mantra a livello comunitario e nazionale, con l’obiettivo di sfruttare al meglio le ingenti risorse messe a disposizione.

Pnrr, la più grande occasione di sviluppo per l’Italia

L’Italia ha chiamato il suo personale NextGenerationEu Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, evidenziando più volte – sia con il precedente Governo che con quello attuale – come un adeguato sviluppo di questo strumento rappresenti la più grande occasione di sviluppo per il nostro Paese degli ultimi anni. Come spesso accade, però, i buoni propositi di “spendere in fretta e bene” stanno trovando non poche difficoltà. E in questo quadro la scadenza del 2026 per la realizzazione degli interventi previsti sembra sempre più vicina.

Il punto sullo stato di attuazione di OpenPolis

Nei giorni scorsi, a fare il punto sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ci ha pensato OpenPolis – fondazione indipendente e senza scopo di lucro che promuove progetti per l’accesso alle informazioni pubbliche, la trasparenza e la partecipazione democratica – che ha analizzato nel dettaglio la IV Relazione al Parlamento sull’attuazione del Pnrr. Il primo punto su cui l’associazione ha puntato l’attenzione è quello della trasparenza, ancora una volta ritenuto deficitario: “Il quadro risulta ancora incompleto. Allo stato attuale infatti sono disponibili dati sul livello di spesa aggiornati al 31 dicembre 2023. Informazioni che peraltro nella maggior parte dei casi non tengono conto della revisione del Pnrr”.

Il 78% circa delle risorse deve ancora essere speso

Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg, perché come rilevato da OpenPolis, “ammontano a 151,4 miliardi di euro i fondi che le amministrazioni titolari devono ancora spendere alla luce della revisione del Pnrr. Si tratta di un dato che deve essere preso con le dovute cautele, ma che è comunque molto preoccupante considerando che il nuovo Piano prevede un importo totale di 194,4 miliardi. Questo significa che il 78% circa delle risorse deve ancora essere speso”.

Si tratta in ogni caso di numeri che vanno contestualizzati, poiché come accennato risalgono alla fine dello scorso anno e, salvo poche eccezioni, non tengono conto della revisione del Piano. Lo ha messo in evidenza lo stesso Governo, che ha valutato come sottostimate le informazioni fornite, anche perché molti soggetti attuatori non avrebbero aggiornato con la dovuta puntualità i dati su Regis, la piattaforma dedicata alla rendicontazione degli interventi finanziati con i fondi Pnrr.

Tornando ai dati e analizzando ancora una volta quelli estrapolati da OpenPolis dalla IV Relazione sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, alla fine del 2023 “risultavano già erogati circa 43 miliardi di euro. Questo significa che rimangono da spendere nei prossimi tre anni ben 151,4 miliardi. Sostanzialmente più del triplo di quanto fatto finora. Tra i ministeri che, in valori assoluti, hanno già erogato più fondi troviamo quello dell’Ambiente e della Sicurezza energetica con 14 miliardi di euro, seguono il ministero delle Imprese (13,8 miliardi), quello delle Infrastrutture (6,1 miliardi) e quello dell’Istruzione (circa 3 miliardi di fondi già erogati)”.

OpenPolis ha poi incrociato i dati sulla spesa sostenuta finora con i nuovi importi assegnati a ogni amministrazione titolare alla luce della revisione del Pnrr. Da questa operazione, secondo l’associazione, ben dodici strutture devono ancora erogare più del 90% delle risorse. Tra queste, oltre alla struttura commissariale per la ricostruzione post alluvione che ha colpito il centro Italia, vi sono anche i “ministeri del Lavoro, degli Affari regionali, delle Pari opportunità e Famiglia, del Turismo, dell’Agricoltura, della Cultura, della Salute, dello Sport, delle Politiche di coesione, della Pubblica amministrazione e dell’Interno”.

Il ministero delle Infrastrutture il soggetto più indietro

“In valori assoluti – hanno sottolineato ancora i rappresentanti di OpenPolis – è il ministero delle Infrastrutture il soggetto più indietro con oltre 33,8 miliardi di euro ancora da spendere. Questo, almeno in parte, può essere spiegato con il fatto che molti dei cantieri relativi a grandi opere non sono ancora partiti o risultano comunque nelle loro prime fasi. Senza dimenticare ovviamente che la struttura che fa capo a Matteo Salvini è anche quella a cui è attribuita la quota più alta di fondi. Tra i ministeri con le uscite ancora da effettuare più consistenti troviamo poi quelli dell’Ambiente (19,7 miliardi), delle Imprese (15,1 miliardi), della Salute (15 miliardi) e dell’Istruzione (14 miliardi)”.

un quadro non certo rassicurante

I dati appena elencati ci restituiscono quindi un quadro non certo rassicurante. E forse è anche per questo che nei giorni scorsi il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha chiesto di valutare di posticipare la scadenza del 2026. Una proposta che però non sembra aver trovato sponda tra i tavoli dell’Unione europea.

Il Governo italiano, la guerra in Ucraina e quel rinvio “improbabile”

“Ho già chiesto a livello comunitario una proroga: mi hanno sconsigliato, quindi io insisto. Non so se vi siete resi conto che dopo l’approvazione del Pnrr è scoppiata una guerra in Europa. A Bruxelles non vorrei che si facesse come a Roma, che la proroga si decide il giorno prima”. Così si è espresso nei giorni scorsi il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, secondo il quale uno slittamento dei termini per ultimare il NextGenerationEu sarebbe estremamente utile per molti Paesi.

“Sarebbe preferibile – ha aggiunto – decidere con largo anticipo, anche per allentare la tensione e le pressioni sui prezzi”.

Nonostante le richieste di Roma, però, sembra che l’Ue non sia disposta, almeno per il momento, a rivedere la scadenza del 2026. Lo ha chiarito il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni: “La scadenza è molto rigida – ha spiegato – non per intenzione della Commissione, ma perché i Governi, quando hanno deciso il NextGenerationEu, hanno dato questa impostazione. E dobbiamo ricordare che la parte che riguarda l’emissione di eurobond, e che ha una scadenza al 2026, è nata dall’approvazione a 27: quindi non occorre solo l’unanimità ma è l’unanimità accoppiata all’emanazione di un voto dei Parlamenti per decidere eventuali proroghe dei pagamenti oltre il 2026”.

Per Gentiloni “nulla è impossibile”, ma occorre evitare di contare su possibili proroghe per evitare che i Governi dei vari Paesi possano cullarsi troppo su questa possibilità. Un messaggio perfettamente recepito dal ministro per le Politiche europee, la Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, che proprio ieri ha confermato: “Oggi abbiamo una scadenza, che è quella di giugno 2026, e su quella siamo concentrati”.

Eppure, anche in questo caso la speranza sembra l’ultima a morire, almeno interpretando le parole del ministro Gentiloni, che ieri su questo tema è tornato nuovamente alla carica: “So perfettamente che non esiste disponibilità, oggi, a considerare una proroga. Ne riparliamo tra un anno. Come in altre situazioni, le posizioni italiane purtroppo all’inizio sembrano isolate o fuori luogo, ma alla fine sono più realistiche di altre”.

“Valutare – ha concluso – senza cambiare ovviamente l’ammontare di risorse disponibili, una possibile estensione potrebbe essere utile. Vedo che anche i polacchi hanno fatto la stessa osservazione”.

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