Ninni Bruschetta esordisce con un romanzo intenso e doloroso: ecco cosa ci ha raccontato in esclusiva ai nostri microfoni
“La scuola del silenzio”, edito da HarperCollins, è il primo romanzo di Ninni Bruschetta, attore e regista amato e stimato dal pubblico per ruoli che hanno lasciato il segno nella cinematografia e nella serialità italiana e in teatro. Per molti è Duccio Patanè, il Direttore della fotografia della serie Boris, ma per tanti altri è il personaggio di cui ha vestito i panni in serie tv amatissime come “Un posto al sole”, “Squadra antimafia”, “Le indagini di Lolita Lobosco” e, di recente, “Viola come il mare 2” oltre ad aver lavorato con grandi autori come Paolo Sorrentino, Marco Tullio Giordana e Woody Allen.
Ninni Bruschetta esordisce con un romanzo intenso e doloroso che, nel solco della tradizione di alcuni grandi scrittori siciliani come Leonardo Sciascia, mette in scena una storia in cui il passato si riverbera sul presente e che rivela l’amara e terribile verità di una terra magnifica e unica, in cui l’aria è costantemente pulita dal vento e il disordine e l’incuria si mischiano a scenari di rara bellezza.
L’intervista a Ninni Bruschetta
Cosa l’ha spinta a scrivere “La scuola del silenzio”?
Non si sa! (nda ride) Finora avevo scritto dei saggi che hanno un’impostazione totalmente diversa, invece le storie ti travolgono. Volevo raccontare da tantissimo tempo la storia dei sordomuti perché avevo vissuto quella situazione quando ero ragazzo. Avevo l’esigenza anche di raccontare il teatro pubblico italiano, attraverso la provincia. Piano piano è nato questo intreccio delle due storie. Mi ricordo bene quando ho iniziato a razionalizzarlo. C’era il lockdown e ho impostato la struttura invadendo capitolo per capitolo la storia successiva con quella precedente. È una tecnica che ho usato per rendere fluida la lettura.
Ci racconta che tipo di scrittore è?
Chi io? Ma io non sono uno scrittore, sono un attore che scrive. È ben diverso! Sono molto siciliano, cerco di essere più moderno possibile perché non cerco il bel canto, ma di comunicare con il lettore e poi sono molto attento alla lingua italiana che è una mia grande passione.
Anche se si tratta di un romanzo, quanto c’è di lei nel protagonista?
Moltissimo, sia caratterialmente sia nel rapporto materno con la terra che è universale. Noi possiamo pure prendere una nave spaziale e andare sulla luna, però la prima persona che chiamiamo per dirlo è la mamma. La stessa cosa succede con la terra. Tu puoi fare tutte le strade che vuoi, ma i riconoscimenti e le attenzioni le vuoi dalle persone con cui sei cresciuto e dagli amici. E la terra è così. La tua terra ti ama, si fa amare e nello stesso tempo ti respinge. Io non sono come il protagonista del romanzo perché, a differenza sua, sono stato molto fortunato nel rapporto con la mia città e con tutta la Sicilia. Ho sempre lavorato in Sicilia, sono sempre stato amato e riconosciuto da quando ero giovanissimo. E quando me ne sono andato, sono stato richiamato continuamente. Quello che racconto nel romanzo, è molto diverso da cosa è successo a me.
Il libro è ambientato in Sicilia e traccia tutti i “malanni” di un sistema difficile a cambiare, ma non c’è una soluzione per dare all’isola una rivoluzione concreta. Esiste una soluzione?
Certo! Secondo me la soluzione è far dire le cose come stanno. Quello che allontana la risoluzione dei problemi della Sicilia è che i siciliani non ne vogliono parlare. Di mafia, di disastri dell’amministrazione pubblica e di trasporti inesistenti non si può parlare. Invece, è importante dire che le cose non funzionano perché qualcuno, soprattutto i giovani, si adopererà.
Il teatro è uno dei luoghi centrali nel libro. È una grande risorsa che viene considerata di nicchia. Quale lavoro si potrebbe fare per rendere il teatro “meno snob” agli occhi del pubblico?
Dopo il lockdown, il teatro ha vissuto una rinascita pazzesca. Il teatro non ha bisogno di arrivare al grande pubblico perché è il pubblico che deve andare al teatro. E il pubblico ci va, anche se molto meno di andare al cinema o di vedere la televisione. E quando ci si va, il teatro cambia la vita. Stare dentro un teatro che è uno spazio vuoto per un’ora e ascoltare le parole di Sofocle o di Shakespeare ti cambia il modo di vedere la vita.
La provincia dà o toglie?
Entrambe. È una domanda molto interessante perché la provincia toglie se ti fai inghiottire. È lo stesso rapporto con la famiglia nel senso che la famiglia ti può aiutare e sostenere come ha fatto con me, ma se ti fai aiutare troppo dalla famiglia ti si ritorce contro. La provincia ti può danneggiare se rimani provinciale e se dai troppa importanza alla provincia. Se tu impari da quel microcosmo come stanno le cose, prima di tutto diventi realista e poi le cose sono applicabili a tutto il mondo. Ad esempio, il prof. Spampinato, mio personaggio preferito del romanzo, esiste anche a New York.
Recitazione e letteratura spesso sono un connubio imprescindibile. Intravede mai nei libri che legge un personaggio che vorrebbe interpretare? E se sì, quale?
Sicuramente vorrei interpretare Glenn Gould ne “Il soccombente” di Thomas Bernhard, purtroppo non so suonare il pianoforte bene come lui e verrebbe molto faticoso.
Una carriera immensa e variegata la sua. Oggi cosa c’è nella sua valigia d’attore?
C’è tutto. Ci sono le cose che devo fare. Farò il regista al Teatro Stabile di Catania su un testo di Sciascia, riprendo “1984” per due mesi a partire dal 22 ottobre. Dovrei fare altri due spettacoli, ma non ho ancora firmato e quindi non posso anticiparli. Nella mia valigia d’attore ci sono tutte le cose che mi porto dietro perché sono sempre in viaggio.
E metaforicamente?
Uno dei miei primi maestri mi disse: “Quando sei in giro per il teatro, ma questo vale anche per il cinema e la televisione, devi mangiare come quando mangi a casa altrimenti ti spacchi il fegato”. Questa cosa l’ho sempre rispettata. Ogni tanto si sgarra, però è importante ritrovare il tuo ambiente in tutto ogni volta che vai in un posto sia nel cibo, sia nel rapporto con la città. Andando a correre, oramai conosco molte città italiane benissimo. È importante perché non ti fa sentire sempre solo, sempre in viaggio. In ogni città ho il mio bar, i miei punti di riferimento, le mie zone. Questa cosa mi piace molto perché non mi fa annoiare mai.
Una carriera ricca di ruoli, eppure lei resta Duccio Patanè, il Direttore della Fotografia di Boris per il pubblico. Non le dà fastidio?
Non mi dà fastidio per due motivi. Prima di tutto perché fare successo con una serie di grandissima qualità come Boris è un colpo di fortuna. E poi rispetto tutto quello che faccio, anche le cose che oggettivamente non mi piacciono. Tanta gente mi ferma per strada, non ha mai visto Boris, e mi ferma per “Un posto al Sole” o per “Squadra Antimafia”. Adesso ho avuto un riscontro pazzesco per “Viola 2” che è una serie generalista tipica. Il pubblico è molto diverso. Il fatto è che il pubblico borissiano è meravigliosamente accanito perché Boris è geniale, è un megafono. Certe volte mi fermano le persone per dirmi che hanno ascoltato i miei audiolibri o che hanno letto i saggi o il romanzo. Se fai tante cose, il rapporto con il pubblico è bello.
È nella seconda stagione di “Viola come il mare”. Come sceglie i progetti in cui partecipare?
Scegliere è un parolone! Quando vieni chiamato, accetti quasi sempre perché è importante un riconoscimento quando qualcuno vuole te. Il margine di scelta in Italia è abbastanza limitato. Per fortuna, ricevo molte proposte e qualche volta devo rinunciare perché non ce la faccio a farle. C’è qualche attore che fa il protagonista e ha la possibilità di scegliere e magari certe volte sbaglia. Qualche anno fa ho scritto un libro ironico sull’attore non protagonista che comincia con la frase: “Se c’è una cosa che ho imparato in questo mestiere, è non fare mai televisione”, cioè, ho fatto cose che sapevano di sfida lontano un miglio e altre che sembravano grandi successi e invece si sono rivelate il contrario.
Quale ruolo manca che vorrebbe impersonare?
Boh… (nda ride) Ne ho fatti talmente tanti che ho difficoltà a rispondere a questa domanda.
C’è già un libro in cantiere?
Mi è venuto in mente ieri. Ho incastrato un’idea che avevo in mente con un’altra e ho detto “figa” ma non l’ho ancora appuntata. Grazie per avermelo chiesto così vado ad appuntarla.
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