Pallante: “Legge sull’autonomia differenziata viziata da diversi profili di incostituzionalità” - QdS

Pallante: “Legge sull’autonomia differenziata viziata da diversi profili di incostituzionalità”

Pallante: “Legge sull’autonomia differenziata viziata da diversi profili di incostituzionalità”

Salvo Stuto  |
giovedì 27 Giugno 2024

Interviene al QdS il professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino. “Le imprese plurilocalizzate avranno il problema di tener conto delle diverse legislazioni regionali”

Sul tema dell’autonomia differenziata, abbiamo intervistato Francesco Pallante, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino. Nel suo ultimo libro “Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese” sostiene che “Veneto, Lombardia ed Emilia- Romagna – le regioni più ricche del Paese – mettono fine all’unità d’Italia”. è tra i 180 costituzionalisti che, insieme alla senatrice a vita Liliana Segre, hanno preso posizione contro il premierato.

Lei è stato abbastanza critico con questa legge. Quali sono le sue impressioni e perché pensa che il Sud ne uscirebbe danneggiato?
“Io direi che la legge che vorrebbe porsi come una legge di attuazione dell’articolo 116, comma 3 della Costituzione, in realtà è viziata da diversi profili di incostituzionalità. Per esempio: vorrebbe estendere l’autonomia differenziata anche alle Regioni speciali, cosa che la Costituzione esclude; non prevede un ruolo pieno del Parlamento nella definizione dei Lep, cosa che invece la Costituzione prevede; non prevede un ruolo pieno del Parlamento nell’approvazione delle intese con le Regioni, cosa assurda perché il Parlamento è l’organo che rappresenta la sovranità popolare e in una decisione di questo genere non può non avere un ruolo. La legge in sé ha dei profili di incostituzionalità anche piuttosto gravi e, in generale, l’autonomia differenziata penalizza il Sud soprattutto per la questione delle risorse perché alla fine, benché la legge dica che tutto avverrà a costo zero, che non ci saranno riduzioni di risorse per le regioni, che non si differenzieranno, in realtà ci sono studi dell’ufficio parlamentare di bilancio, della Commissione europea, Banca d’Italia, che mostrano come questa operazione a costo zero non si può fare. Quindi le regioni che acquisiranno le nuove competenze, acquisiranno ulteriori risorse, e se non aumentano le tasse o se non si fa debito o se non si recupera l’evasione fiscale per dare più risorse ad alcuni, bisognerà toglierle ad altri”.

L’Istituto di ricerca Svimez segnala che nel 2023 il Pil è cresciuto del 2,2% in Sicilia. Si rischia nuovamente una battuta d’arresto?
“Penso di sì. Credo che avremo due problemi dal punto di vista economico. Primo: si complica l’assetto burocratico dello Stato, anzi dell’amministrazione pubblica in generale e quindi aumenterà il costo dell’azione dell’amministrazione pubblica, tutte risorse che vengono deviate verso il pubblico e sottratte all’economia. Questo perché, differenziandosi, le Regioni non chiederanno tutte le stesse competenze e quindi l’amministrazione dello Stato dovrà continuare a operare a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Questo farà saltare l’economia di scala: aumenterà il costo della burocrazia in generale. La seconda cosa è che le imprese plurilocalizzate, che hanno sedi o che operano su più regioni, avranno il problema di dover tener conto della variabilità e della differenziazione della legislazione regionale. Ad esempio in materia di tutela dell’ambiente, in materia di edilizia industriale, in materia di tutela e sicurezza sul lavoro. Tutto questo aumenta i costi per le imprese e anche Confindustria ha espresso preoccupazione insieme a Unione industriale della Campania”.

Secondo l’art. 116 del Titolo V della Costituzione Friuli, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta hanno già condizioni particolari di autonomia. Ora cosa cambia?
“Per le Regioni a statuto speciale, in teoria, non dovrebbe cambiare niente perché sono fuori dall’art. 116 comma 3 della Costituzione. La loro specialità è disciplinata dall’art.116 comma 1 e comma 2, poi il comma 3 dice ‘le altre regioni’, quindi non quelle a statuto speciale. Però la legge Calderoli vorrebbe consentire anche alle regioni a statuto speciale di accedere a queste nuove forme di autonomia, perché si rendono conto che in questo modo le regioni ordinarie – se chiederanno tutte le competenze che in teoria possono richiedere – acquisiranno un ruolo più importante delle regioni a statuto speciale. Questo è uno degli argomenti che dimostra che l’autonomia differenziata, così come immaginata da Calderoli, è incostituzionale”.

Ci sono aspetti positivi di questa legge?
“Io penso di no. Molti, anche al Sud, guardano con speranza al fatto che devono essere definiti i Lep. Però il problema è che secondo il dettato costituzionale, una volta definiti i Lep, bisognerebbe individuare per ogni prestazione il suo costo standard e finanziare tutte le regioni in maniera tale che siano tutte in grado di attuare questi livelli essenziali di prestazioni. Quindi ci dovrebbe essere un automatismo finanziario che porta soldi alle regioni che oggi sono sotto i Lep, in particolare tutto il Sud Italia. Per evitare questo è previsto che i finanziamenti delle regioni che si differenziano non dipenderanno dai Lep ma dalla decisione presa da una commissione paritetica, composta per metà dallo Stato e per metà dalla regione. Immaginiamo il Veneto: la commissione la nominano metà Calderoli e metà Zaia e quella deciderà quanti soldi andranno al Veneto. È questo che impedisce ai Lep di operare davvero come strumento a tutela dell’uguaglianza: il fatto che non hanno conseguenze finanziarie, secondo la legge Calderoli, immediate”.

Se venisse aggiustato il tiro, questa legge potrebbe giovare al Sud?
“Se io guardo alla Storia dell’Italia, vedo che all’inizio c’era un grande divario tra Sud e Nord. Lo si è in parte ridotto tra l’inizio degli anni ’50 e la metà degli anni ’70, ed erano anni in cui ha funzionato soprattutto la cassa per il Mezzogiorno, cioè strumenti saldamente nelle mani dello Stato. Dopo di che si è iniziato a definanziare questo intervento di riequilibrio e si è arrivati alla riforma del 2001 che ha dato più poteri alle regioni. Dal 2001 a oggi si è ridotto il divario tra Sud e Nord dando più poteri alle Regioni? No. Perché dovrebbe ridursi adesso? Abbiamo uno storico che dimostra che dare più poteri alle Regioni non riduce il divario. Lo riduce dare quel compito allo Stato. C’è questo scollamento tra la realtà e ciò che fa il legislatore: è totalmente ideologico, o egoista per il Nord. Perché il Nord sa che ci guadagna”.

Secondo il governatore Schifani “l’autonomia differenziata può portarci oltre il fondo perequativo che in questi anni si è dimostrato insufficiente”. Lei cosa ne pensa?
“Quello che io vedo è che i soldi non ci sono e il fondo perequativo è stato più che dimezzato ai danni del Sud molto recentemente, che il Sud continua a essere finanziato sulla base della spesa storica che è penalizzante perché ha sempre ricevuto di meno rispetto al Nord. Schifani da dove pensa che possano venire questi soldi per finanziare il fondo perequativo? Indebitarci non possiamo perché l’Unione europea ce lo vieta, nuove tasse non le vuole mettere nessuno, la lotta all’evasione fiscale mi pare che non si faccia anzi si fanno condoni… Da dove si prendono questi soldi?”.

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