Miniera di Pasquasia, la Regione siciliana vince il primo round contro Italkali - QdS

Miniera di Pasquasia, la Regione siciliana vince il primo round contro Italkali

Miniera di Pasquasia, la Regione siciliana vince il primo round contro Italkali

Simone Olivelli  |
venerdì 05 Luglio 2024

Il Tribunale di Palermo ha rigettato la richiesta di riaprire la disputa sul risarcimento

PALERMO – Il primo atto della partita multimilionaria – l’ennesima, ma comunque la più importante fin qui disputata nelle aule di giustizia – tra Regione Siciliana e Italkali Spa si chiude a favore dell’amministrazione pubblica. È questo il verdetto della causa civile apertasi nel 2017 e chiusasi, in primo grado, davanti alla quinta sezione del tribunale di Palermo. Al centro della contesa c’è la querelle riguardante la miniera di Pasquasia, in provincia di Enna. Una storia in cui si intreccia un capitolo di storia industriale siciliana e trent’anni di rapporti tra la famiglia Morgante, storicamente legata a Italkali, e la Regione.

Formalmente soci fino alla fine del 2014, Italkali e Regione si sono diventati rivali per una serie di questioni diverse, ma che si sono intrecciate nel giudizio pronunciato dalla giudice Daniela Galazzi, al termine dell’ultima udienza tenutasi l’11 giugno: da una parte la pretesa della Regione di vedere riconosciuta la liquidazione delle quote – 56 per cento – detenute fino a un decennio fa nella società specializzata nell’estrazione di sali minerari e poi cedute in forza di una legge che ha disposto l’impossibilità di partecipazioni pubbliche in società che operano nel libero mercato; dall’altra, le richieste di risarcimento danni formulate a più riprese da Italkali per avere patito le conseguenze dei mancati infrastrutturali della Regione a Pasquasia, a partire dalla mancata realizzazione degli impianti di gestione dei reflui, ma anche per avere subito ingiustamente la revoca della concessione a metà anni Novanta.

Un ruolo di vittima che Italkali ha rivendicato e quantificato all’interno della causa in circa mezzo miliardo di euro. A fronte di queste recriminazioni, la società ha chiesto al tribunale di “compensare – si legge nella sentenza – il debito della società verso la Regione col credito della società nei confronti dell’assessorato”. Una proposta a cui la Regione si è opposta. Per i giudici, sciogliere i molteplici nodi della vicenda è stata impresa non facile e sono state necessarie una serie di consulenze tecniche per ricostruire ciò che è stato e ciò che sarebbe potuto essere di Pasquasia.

Nello specifico, Italkali si è presentata in giudizio forte dei pronunciamenti della giustizia amministrativa – nel 2008 il Tar, nel 2010 il Cga – che le avevano dato ragione per quanto riguardava l’illegittimità della dichiarazione di decadenza della concessione mineraria decisa dalla Regione nel ’95, ma anche di una sentenza della Corte d’appello di Palermo che, chiamata a pronunciarsi nuovamente, dopo la revocazione di un precedente giudizio in Cassazione, aveva stabilito che i mancati investimenti infrastrutturali della Regione a Pasquasia avevano potuto determinare un danno all’impresa.

Quelli che, però, sembravano essere tutti assi nella manica di Italkali sono stati stoppati nel momento in cui, nel corso del procedimento, è emerso l’esito di un precedente processo svoltosi a Roma e passato in giudicato: di fatto si è scoperto che la Corte d’appello capitolina aveva già rigettato una richiesta di quantificazione del danno patito da Italkali. “Il danno che Italkali sostiene di aver subito a causa della mancata realizzazione delle infrastrutture è rimasto, peraltro, a livello di mera enunciazione”, venne scritto nella sentenza romana. Nel mirino dei giudici era finita la genericità delle pretese dell’impresa della famiglia Morgante.

“(Italkali, ndr) fondava l’accertamento tecnico richiesto sulle prove orali e anche sui documenti non prodotti in atti ‘trattandosi di un enorme mole di documenti’; e comunque neppure analiticamente individuati, attribuendo così al mezzo istruttorio una funzione inammissibilmente suppletiva. La mancanza di qualsivoglia elemento di obiettiva valutazione – sottolineò la Corte d’appello – osta pertanto la liquidazione equitativa, anche tenuto conto della natura dei danni dei quali si chiede il ristoro che, del resto, non ha consentito neppure alla stessa Italkali di determinare le proprie richieste risarcitorie, la cui quantificazione è stata demandata in maniera del tutto generica”.

Tale sentenza, che divenne definitiva nel momento in cui la Cassazione rigettò il ricorso, è stata utilizzata dal tribunale di Palermo per affermare l’impossibilità di riaprire la disputa sulla quantificazione del risarcimento. E a nulla è valso a Italkali l’avere ricordato che invece a Palermo la Corte d’appello aveva ritenuto plausibile l’esistenza di un danno causato alla società dalla Regione. “Tra le due vicende processuali – si legge nell’ultima sentenza – non ricorre alcuna ontologica e strutturale concordanza delle rispettive statuizioni definitorie che sia tale da far predicare la conclusione che si tratti di pronunciamenti antitetici, dal momento che la statuizione della Corte d’appello di Palermo si limitò a ravvisare nel contegno dell’amministrazione gli estremi di ‘un fatto ritenuto, alla stregua di un giudizio di probabilità, potenzialmente produttivo di conseguenze dannose’, lasciando impregiudicato ‘il riscontro, rinviato alla fase di liquidazione, non soltanto dell’esistenza in concreto dell’entità del danno, ma anche del rapporto di causalità tra lo stesso e il fatto illecito’”.

In merito all’illegittima revoca della concessione e la conseguente richiesta di risarcimento per i mancati ricavi, il tribunale ha invece osservato che Italkali non avrebbe comunque potuto più operare a Pasquasia a causa della mancanza degli impianti di gestione dei reflui. “L’impossibilità di risarcire il danno da perdita del potenziale produttivo conseguente alla illegittima sottrazione della miniera di Pasquasia deriva – hanno scritto i giudici – dall’evidenza che, anche se la miniera fosse stata immediatamente restituita ad Italkali o non le fosse mai stata sottratta, la produzione sarebbe stata ugualmente impedita dalla mancata realizzazione delle infrastrutture occorrenti al suo funzionamento”.

Alla quinta sezione civile del tribunale panormita non è rimasto così altro da fare che quantificare la somma che Italkali dovrà versare alla Regione per l’acquisizione delle quote. Tenendo conto dei calcoli effettuati dai consulenti, il 56 per cento della compagine societaria è stato valutato poco meno di 21 milioni 610mila euro, a cui andranno aggiunti gli interessi legali a partire dall’1 gennaio 2016. Dire che però si tratti della parola fine di una storia tanto lunga quanto complessa sarebbe un azzardo. Italkali, infatti, adesso potrà impugnare la sentenza davanti alla Corte d’appello di Palermo.

Tuccio D’Urso al QdS: “Tutelati interessi dell’amministrazione”

“Sono felice di essere riuscito a tutelare gli interessi dell’amministrazione, specialmente se consideriamo che in caso di perdita difficilmente la Regione sarebbe riuscita a risarcire un presunto danno di portata così colossale”. A parlare al Quotidiano di Sicilia è Tuccio D’Urso, ex dirigente generale del dipartimento regionale all’Energia. Fu proprio D’Urso il promotore della necessità di costituirsi in giudizio nella causa fatta da Italkali. “Quello di costituirci in giudizio è stato uno dei primi atti che ho firmato nel momento in cui mi sono insediato nel dipartimento all’Energia. Italkali ci chiedeva mezzo miliardo da compensarsi nella vicenda legata al mancato pagamento delle quote societarie cessate dalla Regione in forza di legge – continua D’Urso –. Un mancato pagamento che era stato anche frutto dell’ignavia del governo in carica a quel tempo”.

Anche se non fa nomi, il riferimento di D’Urso va all’era in cui a guidare la Regione c’era Rosario Crocetta. La cessione delle quote detenute dalla Regione in Italkali sulla carta sarebbe dovuta passare dall’indizione di una gara pubblica, ma alla fine non se ne fece nulla e i soci privati dell’impresa si trovarono a detenere l’intera compagine. “Ho seguito le vicende processuali sin dal principio e posso dire che siamo riusciti a difenderci al meglio da pretese che punto per punto siamo riusciti a smontare. Anche se va detto – conclude D’Urso – che un ruolo fondamentale lo ha avuto la scoperta della sentenza definitiva pronunciata a Roma e di cui sembrava avere notizia finché l’Avvocatura dello Stato non ha trasmesso gli atti al tribunale di Palermo”.

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