Municipi dell’Isola stracolmi di dipendenti, ma le professionalità scarseggiano e l’efficienza diventa un miraggio
PALERMO – Ce ne sono in abbondanza, ma non sono sufficienti. Un rompicapo che sembra difficile da decodificare ma che dopo qualche istante di riflessione diventa facilissimo da sciogliere. Parliamo, ancora una volta, dei dipendenti degli Enti locali siciliani, affrontando un paradosso che, ormai da decenni, continua a essere irrisolto. Una “storia infinita”, insomma.
A confermare che gli uffici dei Municipi siciliani abbondino di personale sono gli ultimi dati disponibili – relativi al 2022 – pubblicati dall’Ifel (l’Istituto per la finanza e l’economia locale, fondazione istituita nel 2006 dall’Associazione nazionale dei Comuni italiani) nel recente report “Personale comunale e formazione: competenze e scenari-Quinta edizione 2024”. Come si legge nel documento, nei soli Comuni dell’Isola sono 37.703 le unità in servizio. L’11 per cento, cioè, dei 342.208 tra dirigenti e dipendenti comunali sparsi in tutta la Penisola. Un “esercito”, quello siciliano, secondo solo a quello della Lombardia (52.534 unità), regione che – è giusto ricordare – conta il doppio degli abitanti dell’Isola.
In Sicilia circa 8 dipendenti comunali ogni 1.000 abitanti
Proprio in rapporto alla popolazione si registra, nel report dell’Istituto per la finanza e l’economia locale, un altro risultato negativo: in Sicilia vi sono 7,78 unità impiegate nei Comuni ogni 1.000 abitanti, contro una media nazionale ferma a 5,76 dipendenti ogni 1.000 cittadini. Un valore che “regala” all’Isola il quarto gradino del podio, dopo il 9,84 della Valle d’Aosta, il 9,08 del Trentino Alto Adige e il 7,82 della Liguria.
C’è chi è messo peggio di noi, si dirà, ma a un’attenta analisi emerge un dato che ribalta la situazione. Una schiera così cospicua di personale dovrebbe infatti garantire livelli di efficienza, nella nostra Pubblica amministrazione, tra i più alti. Non è così però: lo dimostra l’ultimo European quality of government index (Eqi), il report finanziato dalla Commissione europea e sviluppato dal Quality of government institute dell’Università di Göteborg, che valuta il funzionamento dei servizi pubblici e i livelli di imparzialità e di corruzione delle istituzioni. In una sola parola: la qualità.
L’efficienza nella Pubblica amministrazione si conferma un “lusso” in Sicilia
Nei risultati dell’ultima edizione di tale studio, che risale a quest’anno, tra le oltre duecento regioni prese in esame, l’Isola raschia infatti il fondo, mentre le province autonome di Trento e Bolzano, la Valle d’Aosta e la Liguria registrano livelli di efficienza molto più vicini agli standard europei. Segno che l’efficienza nella Pubblica amministrazione si conferma un “lusso” che l’Isola non riesce ancora a permettersi.
Resta quindi il solito problema: la quantità non fa qualità. Una situazione cui si sta cercando di rimediare attraverso una più serrata formazione del personale. Sul fronte della formazione del personale, il rapporto dell’Ifel dello scorso anno piazzava la Sicilia, per l’anno 2022, tra le Regioni con la copertura territoriale più elevata in termini di Comuni raggiunti (58,7%) e tra quelle in cui si osservano dei forti incrementi in termini di copertura comunale rispetto al 2021 insieme a Toscana (88,3 per cento), Emilia-Romagna (85,5 per cento) e Umbria (79,3 per cento). La “peggiore” performance è invece registrata dalla Calabria (28,2 per cento).
“Se per anni – ha scritto Alessandro Canelli, presidente Ifel e sindaco di Novara, nella presentazione al report – si è considerata la formazione, incentrata prevalentemente su tematiche giuridico-amministrative per la corretta applicazione delle procedure, una spesa da ridurre, oggi sembra di assistere a un’embrionale inversione di tendenza che vede nella formazione un elemento imprescindibile per rendere le amministrazioni più efficaci ed efficienti, anche per fronteggiare le sfide poste dall’attuazione e gestione del Pnrr”.
Una consapevolezza per certi aspetti nuova negli Enti locali, che però deve andare di pari passo con la concretezza: “Per essere efficace – ha aggiunto Canelli – la formazione deve avere un impatto tangibile sulle performance delle amministrazioni, in termini di qualità dei servizi erogati a cittadini e imprese. Le amministrazioni pubbliche devono aprirsi a contesti di apprendimento sempre meno statici e formali, in cui le risorse umane possano sviluppare, accanto alle competenze tecnico-specialistiche, competenze trasversali indispensabili per contribuire attivamente ai processi di transizione in atto”.
L’età media dei dipendenti comunali è di circa 51 anni
Il punto è, come segnalato nel report, che “la presenza di blocchi occupazionali, soprattutto se protratti nel tempo, oltre a ridurre il numero di addetti nel comparto dei comuni, ha modificato profondamente la struttura della forza lavoro innalzando soprattutto l’età media del personale”. L’età media dei dipendenti comunali a tempo indeterminato nel 2022 è di circa 51 anni mentre quindici anni fa (nel 2007) era pari a 47 anni. “Tale condizione ha prodotto inevitabilmente conseguenze dirette sull’adeguatezza in termini di qualificazione degli addetti e sulla capacità di sostenere nuovi impegni lavorativi. Le reiterate norme sul blocco del turnover hanno mortificato infatti le politiche di ricambio generazionale, l’autonomia organizzativa e la ricerca di nuove professionalità in grado di far fronte alle crescenti richieste di competenze indispensabili per l’operatività dei comuni, veri ‘enti di prossimità’ nell’erogazione dei servizi ai cittadini”.
Cambio di rotta registrato alla spesa per la formazione
Qualcosa si muove, dunque, e lo si evince dal cambio di rotta registrato alla spesa per la formazione: “Dopo anni di imposizione, da parte del legislatore, di vincoli alle spese per la formazione del personale comunale, nel 2021 si segnala una ripresa di tali spese che raggiungono i 23 milioni di euro, pari a 68 euro per unità di personale, un dato ancora molto distante dal periodo pre 2012, ma che prosegue a crescere nel 2022 raggiungendo in valore assoluto gli oltre 26 milioni di euro, ossia 77 euro per unità di personale”.
Resta il fatto che “gli anni di tagli sulle spese di formazione hanno rischiato e rischiano di determinare un’oggettiva difficoltà da parte delle amministrazioni comunali di adeguare conoscenze e competenze del proprio organico alle esigenze determinate dalle nuove sfide che coinvolgono i comuni in quanto protagonisti dello sviluppo locale”. Serve dunque continuare a puntare su una sempre maggiore attività nel campo della formazione. Ma bisogna fare in fretta.