Al centro della lunga e complessa vicenda giudiziaria ci sono i rapporti tra l'ex parlamentare il gruppo mafioso dei Santapaola-Ercolano attivo ad Aci Catena.
Sei anni dopo l’arresto in un blitz antimafia, la vicenda processuale per l’ex deputato regionale Pippo Nicotra potrebbe chiudersi con la prescrizione. È questo l’epilogo verso cui si sta andando nel secondo processo d’appello scaturito dall’inchiesta Aquilia della Dda di Catania, dopo che nell’ultima udienza la procura generale – rappresentata da Iole Boscarino e Rosa Miriam Cantone – ha chiesto alla Corte di derubricare l’accusa di concorso esterno in scambio di voto politico-mafioso. Reato che, riferendosi a fatti accaduti nel 2008, non sarebbe più perseguibile.
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Al centro della lunga e complessa vicenda giudiziaria ci sono i rapporti tra l’ex parlamentare che nel corso della propria carriera politica ha vestito le casacche di Nuovo Psi, Movimento per l’Autonomia, Udc, Popolo della Libertà, Articolo 4 e Partito democratico e il gruppo mafioso dei Santapaola-Ercolano attivo ad Aci Catena, centro di cui oltre a essere originario è stato anche sindaco in due occasioni.
Pippo Nicotra: il ritorno delle ombre del passato
A ottobre del 2018, i carabinieri del comando provinciale arrestarono Pippo Nicotra insieme ad altre 17 persone, molte delle quali accusate di essere legate a Cosa nostra. Per Nicotra, oggi 68enne, l’accusa era di concorso esterno in associazione mafiosa per via delle relazioni avute con la cosca sia nei panni di politico – in occasione di diverse competizioni elettorali che sarebbero state condizionate dalla forza intimidatoria del clan – che di imprenditore della grande distribuzione. Secondo gli inquirenti, infatti, Nicotra nel corso degli anni aveva foraggiato la mafia con elargizioni di denaro, posti di lavoro e favori vari ottenendo in cambio voti e protezione.
Le ombre su Nicotra si erano allungate già 25 anni prima, quando da sindaco di Aci Catena prese la decisione di porgere le condoglianze al capomafia Sebastiano Sciuto, dopo la morte del cognato ucciso nel corso di una rapina. Un gesto che Nicotra compì dopo avere protestato contro il divieto di celebrazione di esequie pubbliche imposto dalla questura ed essersi rifiutato di far rimuovere i necrologi dal paese, e che portò allo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose.
Le accuse dei pentiti
Molto più di recente, a parlare di Pippo Nicotra erano stati i collaboratori di giustizia Mario Vinciguerra e Santo La Causa. Il secondo ai magistrati raccontò di avere incontrato Nicotra da latitante senza temere alcunché in quanto aveva avuto rassicurazioni sulla affidabilità del politico-imprenditore.
Entrambi hanno raccontato vicende e ricostruito dinamiche che hanno portato i magistrati a sostenere che nei confronti dei Santapaola-Ercolano la posizione di Nicotra non sarebbe stata quella della vittima, stretta nella morsa del pizzo, ma quella di un soggetto che aveva accettato un rapporto di dare e avere. Tale tesi ha retto in primo grado portando alla condanna dell’ex deputato a sette anni e quattro mesi. Questa ha trovato conferma anche in appello, quando la pena è stata ridotta a quattro anni e otto mesi per la decisione della corte di assolvere Nicotra dal reato di tentata estorsione in una storia che ha al centro dissidi all’interno dell‘impresa edile di cui era socia la moglie ma in cui comunque ebbero un ruolo anche esponenti dei Santapaola.
Il nuovo processo d’appello
Il colpo di scena lo si è avuto in Cassazione. I giudici della Suprema Corte, a giugno dell’anno scorso, hanno annullato la condanna disponendo la celebrazione di un nuovo processo di secondo grado davanti alla Corte d’appello.
All’origine dell’annullamento c’è stata l’esigenza ravvisata dai giudici ermellini di stabilire il reale motivo per cui Pippo Nicotra per anni ha versato soldi all’associazione mafiosa. Se gli avvocati difensori hanno sostenuto che l’imprenditore è stato nel mirino delle estorsioni già da metà anni Settanta, l’accusa nei primi due gradi di giudizio ha ritenuto che il passaggio di denaro fosse la contropartita per godere di specifici vantaggi. Come detto protezione ma anche appoggi elettorali. Per la Cassazione, tuttavia, ciò non è stato sufficiente a delimitare il campo dei rapporti tra Nicotra e i Santapaola-Ercolano. Nello specifico, capire se i pagamenti fossero legati all’obiettivo di acquisire il consenso elettorale utile ad arrivare all’Assemblea regionale siciliana oppure se il sostentamento della cosca fosse più generalizzato.
Nel corso dell’indagini, era emerso come nei supermercati di proprietà di Pippo Nicotra fossero stati assunti diversi parenti di esponenti mafiosi. A riguardo, però, già la prima Corte d’appello non aveva ritenuto il dato sufficiente a definire il reato di concorso esterno. Per quanto riguarda invece la compravendita dei voti, le elezioni finite sotto la lente dei magistrati sono quelle del 2008 e del 2012. Mentre per la più recente era stata chiesta l’assoluzione già in primo grado, per l’impossibilità di controverificare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Mario Vinciguerra, per quelle del 2008 la procura aveva sottolineato come fossero già trascorsi i termini relativi alla prescrizione.
L’ipotesi di voto di scambio
A distanza però di tre anni dalla prima sentenza, proprio l’ipotesi di voto di scambio è tornata protagonista nella sentenza della Cassazione. “La elargizione di denaro in cambio del sostegno elettorale rientra nello schema legale tipico del delitto di cui all’art. 416-ter (voto di scambio politico-mafioso, ndr)”, hanno affermato i giudici ermellini. Hanno disposto, dunque, un nuovo processo d’appello per capire se i confini del rapporto illecito tra Nicotra e i Santapaola-Ercolano possano essere individuati soltanto nell’acquisto dei voti.
Un’ipotesi che, stando a quanto emerso nell’ultima udienza, è stata fatta propria dalla procura generale di Catania che ha chiesto di modificare l’imputazione di Pippo Nicotra, passando da concorso esterno a voto di scambio. Se la richiesta verrà accolta, l’ex deputato regionale potrà tirare un sospiro di sollievo: il reato, seppur commesso, non potrebbe più portare a una condanna.