Mancano meno di 100 giorni al voto del 5 novembre e la campagna elettorale statunitense ha già riservato molte sorprese. L’ex vice ministro degli Esteri: “Repubblicani sorpresi, l’arrivo di Kamala ha dato una scossa a chi andrà alle urne”
WASHINGTON – Dal dibattito televisivo Biden-Trump all’attentato al tycoon in Pennsylvania, passando per la rinuncia dell’attuale inquilino della Casa Bianca a un secondo mandato e la nomina di Harris in luogo del candidato Dem. A meno di cento giorni dalla sfida delle Presidenziali Usa del 5 novembre, la campagna elettorale americana ha già svelato non pochi colpi di scena e potrebbe riservarne altri. A oggi, la partita elettorale a stelle e strisce e più aperta che mai, con l’attuale vicepresidente che, in appena tre settimane, pare aver colmato il divario con il suo avversario repubblicano. Insomma, il cosiddetto “october surprise” sembra essere arrivato in largo anticipo, con gli ombrelloni ancora aperti sulle coste americane. Ma durerà fino al voto d’autunno? Ne abbiamo parlato con Mario Giro, professore di Relazioni internazionali all’Università per stranieri di Perugia ed ex vice ministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni.
Professor Giro, come siamo passati dalla sfida tra un ex presidente e un presidente in carica al confronto con la vice di quest’ultimo? Cos’ha convinto Joe Biden a compiere un passo di lato?
“Direi che il fattore decisivo è stato la pressione di tutti i vertici del Partito democratico americano, inclusi l’ex presidente Barack Obama e la speaker Nancy Pelosi, che hanno convinto il presidente Biden che non ce l’avrebbe potuta fare. Ormai, era diventata una voce popolare tra l’opinione pubblica che lui non sarebbe stato in grado. Chiaramente, la pressione sarebbe stata troppo forte. Quella di Harris è stata una scelta automatica, direi. Si trovava già nel ticket elettorale, in questa maniera avrebbe potuto ‘ereditare’ i denari raccolti dalla campagna Biden-Harris, anche perché c’è tutta una questione giuridica anche attorno ai fondi che si raccolgono. Siccome, si sa, i soldi sono molto importanti anche per vincere una campagna, questa è stata una scelta ovvia. Ciò che ha sorpreso soprattutto i Repubblicani è che questa scelta si è dimostrata in grado di ‘entusiasmare’ il pubblico. E qui le cose sono un po’ cambiate”.
Possiamo dire che l’avvento di Kamala Harris è arrivato nel momento di massima esposizione mediatica per Trump, quando avrebbe potuto capitalizzare il massimo dalla sua campagna elettorale?
“I Repubblicani, dalla loro reazione, si capisce che non si aspettavano che Biden si ritirasse. Quindi avevano impostato la loro campagna totalmente su di lui e sono rimasti sorpresi dal cambio e colpiti dall’entusiasmo che si è generato immediatamente attorno a Kamala Harris che, fino a quel momento, era considerata una vicepresidente un po’ opaca. Però noi sappiamo che i vicepresidenti in America servono solo in queste occasioni e, cioè, a sostituire i presidenti. E che, tra l’altro, si è ripetuto con la scelta del vice, al quale hanno voluto opporre un vice del Mid-West a Walz – cioè un altro del Mid-west – però con una lettura differente. Mi è sembrato interessante ciò che Walz ha detto alla candidata Kamala Harris nel suo primo intervento: ‘Ti ringrazio perché hai portato la gioia in questa campagna’. Questo è abbastanza interessante perché fino ad ora, tutte le campagne precedenti, inclusa quella Biden-Trump in cui ha vinto l’attuale presidente, sia quella in cui aveva vinto Trump nel 2016 contro Hillary Clinton, erano state tutte molto ‘cattive’, molto dure e arcigne. Invece Kamala Harris, tra l’altro rivoltando l’accusa di essere una che ride troppo, sta facendo una campagna totalmente diversa che non vediamo da 15 anni. Abbiamo un’America arrabbiata e lo stesso Biden, che non era così arrabbiato, si è trovato a confrontarsi con dei problemi. Ecco, il volto che Kamala propone è diverso. Ora, non è che con il sorriso abbia avuto sempre la meglio negli Stati Uniti. Anche Carter, che era ricordato come il presidente con il sorriso, ha vinto una volta e ha perso un’altra. Ora vediamo. Però, sicuramente è un cambiamento che ha dato una scossa all’elettorato”.
Possiamo dire che la dialettica sta cambiando e può ancora cambiare? Ricordiamo che Trump, solo poche settimane fa, aveva rivolto a Biden degli epiteti abbastanza pesanti. Un linguaggio a cui non eravamo abituati in passato a questi livelli.
“Certo, direi che abbiamo forse bisogno di un’America dal volto diverso. Anche davanti a queste guerre che si stanno dilungando e che stanno diventando ‘eterne’, come in Ucraina che si sta aggravando – e si vede adesso un attacco alla Russia che sta approfondendo lo scontro – e dall’altra parte la guerra a Gaza che non trova una fine. Abbiamo bisogno di un’America diversa che sappia interpretare il tempo presente, in cui il Global South – come si dice – non vuole farsi più imporre niente dall’Occidente dagli Usa. L’Occidente deve trovare, come dire, un modo per attrarre”.
In quest’ottica, il doppio conflitto in Ucraina e in Medio Oriente che peso può avere nella scelta degli elettori americani il 5 novembre?
“Si può andare verso due sensi. Trump ha anche promesso che vuole fare termine le due guerre, addirittura in un giorno quella in Ucraina. Per l’altra mi sembra un po’ più complesso. Difficile adesso dire come questo può giocare, normalmente sappiamo che per gli americani la cosa che conta di più è la politica interna. Il prestigio internazionale, in questo caso, entra molto in considerazione dall’elettorato. Vediamo come Harris affronterà questo argomento, sul quale ha detto ancora poco. Ha solo riferito a Netanyahu che non accetterà qualunque tipo di reazione da parte dell’esercito israeliano. Però, ancora non si è esposta. Quando lo farà, avremo delle idee più chiare”.
Bisogna ammettere che ha ancora il tempo dalla sua parte per poterlo fare.
“Ci sono ancora cento giorni di campagna. Forse non c’è mai stata una campagna così breve, ma vediamo cosa accadrà”.
La candidata Dem cresce nei sondaggi. Il tycoon si aggrappa ai social e a Musk
WASHINGTON – Per la prima volta dall’inizio della campagna elettorale, gli elettori mostrano di avere più fiducia nel ticket democratico che in Donald Trump per la gestione dell’economia. Questo quanto emerge da un sondaggio, realizzato da Financial Times e University of Michigan, che registra il sorpasso di Kamala Harris – che viene data in testa in molti Stati chiave – anche su un fronte che finora sembrava continuare a favorire l’ex presidente.
Anche se il vantaggio di Harris ora è minimo, il 42% contro il 41%, il sondaggio è importante perché segna “un netto cambiamento nel sentimento dell’elettorato a seguito del ritiro di Joe Biden dalla corsa per la Casa Bianca”, sottolinea Ft. Prima del ritiro del presidente, il 21 luglio scorso, solo il 35% degli elettori si fidava della sua gestione dell’economia, contro il 41% che si fidava di Trump.
Intanto, Trump ha provato a risalire la china concedendo nei giorni scorsi un’intervista all’imprenditore Elon Musk che è stata trasmessa sul social X. La discussione tra l’ex presidente e l’uomo più ricco del mondo, che sostiene Trump, ha segnato il ritorno del tycoon su X dopo che il suo account era rimasto inattivo per quasi un anno. La ‘benedizione’ di Musk “significa molto per me”, ha detto Trump.