La Sicilia ostaggio dell’inadeguatezza politica. Una riforma monca e la mancata riorganizzazione burocratica di Enti fondamentali che pendono sulla testa dei cittadini. Ad aggravare il quadro, i tagli lineari alla spesa, che in sei anni – dal 2012 al 2018 – hanno sottratto circa 1 miliardo e 700 milioni di euro alle ex Province regionali.
Ecco perché oggi Città Metropolitane e Liberi Consorzi di Comuni siciliani sono sull’orlo del default (qualcuno ha già dichiarato il dissesto), a seguito “dell’interruzione del processo riformatore che – secondo quanto riportato dalla Corte dei Conti – ha cristallizzato uno stato di grave precarietà istituzionale e finanziaria”.
La legge Delrio avrebbe dovuto riorganizzare gli Enti di area vasta, ma la riforma è rimasta incompleta. L’impianto generale della legge (56/2014), pur resistendo alla “tempesta” del Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e ricevendo il placet da parte della Corte costituzionale, non è riuscita a raggiungere l’obiettivo di dare un nuovo e funzionale assetto alle Province.
In Sicilia, il processo di riordino istituzionale degli Enti di area vasta ha trovato una prima e compiuta disciplina con La legge regionale 15/2015, recante “Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane”. In luogo delle soppresse Province regionali, sono così stati istituiti sei Liberi Consorzi comunali (Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani), nonché tre Città metropolitane (Palermo, Catania e Messina). Cosa è rimasto da allora, dopo anni di commissariamento, e numerosi tentativi della Regione di organizzare tali Enti? Quello che l’Associazione nazionale dei Comuni siciliani ha più volte definito “Uno stato di calamità istituzionale”.
Si, perché oltre alle questioni istituzionali occorre tener conto anche di quelle economiche. Un taglio della spesa lineare e non mirato ha infatti dilaniato gli Enti di area vasta. In sei anni, dal 2012 al 2018, l’Isola ha subito tagli per circa un miliardo e settecento milioni attraverso l’emanazione di tre provvedimenti nazionali: il dl 95/2012 (convertito in legge 135/2012) e il dl 66/2014 (legge 89/2014); articolo 1 comma 418 della legge 190/2014, che ha previsto il concorso alla spesa pubblica del comparto “Enti di Area vasta” attraverso la riduzione della spesa corrente pari a un miliardo di euro per l’anno 2015, 2 miliardi per l’anno 2016 e 3 miliardi a decorrere dal 2017.
La legge ha anche previsto un sistema di recupero coattivo: in caso di mancato versamento, infatti, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero delle somme dovute attraverso la riscossione dei versamenti effettuati a titolo di imposta Rc Auto, ovvero, in caso di incapienza, a opera dell’Aci e a valere sui versamenti dell’Ipt (Imposta provinciale di trascrizione). Un “prelievo forzoso” che senza gli interventi compensativi di ristoro previsti si è di fatto trasformato in “omicidio forzoso”.
“Questo meccanismo – spiega il consigliere della Corte dei Conti Rinieri Ferone, interpellato dal QdS – non ha funzionato perché lo Stato ha tolto prima i soldi e poi ha operato con grave ritardo l’alleggerimento della spesa. Mentre per le Regioni a statuto ordinario sono stati attivati interventi compensativi, per la Regione siciliana i ristori non sono stati mai effettuati, determinando un grave deficit nei bilanci degli Enti di area vasta”.
Secondo il consigliere, estensore della relazione presentata dalla Corte dei Conti al Parlamento nell’ambito dell’esame al Ddl Germanà (“Disposizioni per il recupero di mancati trasferimenti erariali agli Enti locali della Regione siciliana”), i tagli hanno generato forti ripercussioni sugli equilibri finanziari, in particolare per gli Enti strutturalmente più deboli. “Se i ristori fossero stati effettuati – prosegue – la crisi finanziaria sarebbe stata attenuata. Il problema è che è stato tolto più di quanto poi è stato rimborsato, determinando uno squilibrio rispetto ai bilanci degli Enti di area vasta delle Regioni a statuto ordinario e un grave deficit tra entrate e spese degli Enti di area vasta siciliani”.
Nel 2018, il deficit di bilancio dell’intero comparto sfiora complessivamente i 118 milioni di euro. Tra gli Enti con più alti livelli di deficit ci sono la Città Metropolitana di Catania il cui disavanzo ammonta a più di 22 milioni, e il Libero consorzio di Siracusa (già in dissesto), dove le spese superano le entrate di 20 milioni di euro. Tutti, comunque, sono sull’orlo del baratro, come sottolinea lo stesso Ferone quando ricorda che “il deficit è l’anticamera del dissesto”.
Per cercare di mettere una pezza alla precarietà finanziaria degli Enti di area vasta, la Regione ha avviato un dialogo con lo Stato a seguito del quale si è giunti alla stipulazione di due accordi, siglati rispettivamente il 12 luglio 2017 e il 19 dicembre 2018: con il primo è stato previsto il concorso finanziario da parte della Regione in favore degli Enti di area vasta per un importo pari a 70 milioni di euro, aggiuntivi al rendiconto 2016; con il secondo accordo, siglato dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, e dal presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, si prevede un contributo a carico dello Stato e in favore della Regione pari complessivamente a 540 milioni di euro da destinare ai Liberi consorzi e alle Città metropolitane per le spese di manutenzione di strade e scuole, da erogare in quote di 20 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020 e di 100 milioni annui a decorrere dal 2021 fino al 2025.
Intervista al segretario generale dell’Associazione dei Comuni, Alvano
Un voto ritenuto inutile: “Che senso ha mettere in moto una macchina che non funziona?”
A giugno le elezioni di secondo livello ma l’AnciSicilia è pronta a ribellarsi
PALERMO – La mancata definizione di una riforma generale degli Enti di area vasta siciliani ha comportato uno slittamento dell’insediamento degli organi istituzionali e soprattutto, per i Liberi Consorzi comunali, una proroga delle gestioni dei commissari straordinari (al contrario, i sindaci metropolitani di Catania, Palermo e Messina, gli stessi delle città capoluogo, si sono insediati il 31 maggio 2016). Ora, le elezioni di secondo livello sono alle porte. Sempre che, prima di giugno, non si verifichi l’ennesimo stravolgimento.
Intanto, l’Associazione nazionale dei Comuni siciliani (AnciSicilia) ha chiesto che la questione venga fatta propria anche dall’Anci nazionale, per cercare una soluzione che, allo stato attuale, sembra peggiorare di mese in mese. Abbiamo chiesto al segretario generale dell’associazione siciliana, Mario Emanuele Alvano, maggiori chiarimenti.
Qual è la posizione di AnciSicilia in merito alla situazione di “calamità istituzionale” in cui versano i Liberi Consorzi e le Città metropolitane dell’Isola?
“Il quadro è molto chiaro: le elezioni non si tengono da cinque anni e gli Enti di area vasta versano in una situazione di difficoltà finanziaria. Serve una soluzione definitiva per poter approvare i bilanci biennali e predisporre una programmazione delle risorse triennali. Ma se non c’è la certezza di entrate, procedere a elezioni diventa poco agevole perché si tratta di andare ad amministrare Enti con criticità profonde. Inoltre, servirebbe indicare risorse significative per la spesa in investimenti: per strade, scuole e riqualificazione urbana”.
Le risorse, quindi, sono insufficienti. Perché?
“Le risorse ci sarebbero pure. Ma il problema è che non si possono spendere perché non c’è la possibilità di chiudere i bilanci. Non c’è certezza di entrate”.
Quanto hanno influito i tagli operati dal Governo nella crisi finanziaria degli Enti di area vasta?
“Su questo punto condividiamo pienamente la relazione della Corte dei Conti. In maniera precisa ribadisce una questione già emersa: c’è un rapporto diretto tra la crisi finanziaria e i tagli operati dal Governo nazionale”.
Lunedì scorso era in programma un incontro tra Stato e Regione per giungere a un ulteriore accordo per favorire la risoluzione della questione giuridica e finanziaria. È stato raggiunto?
“Non abbiamo notizie a riguardo. Da parte nostra, abbiamo partecipato a due incontri al ministero Affari regionali, ma riguardavano la condizione finanziaria e le modifiche normative che consentissero agli Enti di approvare i bilanci. Al momento nessuno ha approvato il Bilancio di previsione, forse solo due enti. Diciamo che c’è un problema operativo. Il tema è quante risorse deve mettere lo Stato e quante la Regione. Perché le Province non hanno risorse proprie o, se ne hanno, sono insufficienti e irrisorie”.
Il prossimo 30 giugno si terranno le elezioni di secondo livello. Se la situazione non cambia, quali sono le iniziative che AnciSicilia vuole mettere in campo?
“Inviteremo gli amministratori siciliani a disertare la competizione elettorale. Inoltre, abbiamo chiesto 300 milioni di euro e una decretazione d’urgenza entro il prossimo 30 aprile affinché già a partire dai prossimi mesi le Province possano godere di piena operatività. Non si può parametrare il fabbisogno delle Province alla spesa degli ultimi anni. Questa è legata alla mancanza di risorse. La nostra posizione sulle elezioni, molto critica, dipende proprio da questo. Bisogna capire se vogliamo Enti che tirino a campare o che possano svolgere un ruolo concreto. Non c’è un quadro di certezza. Che senso ha mettere in moto una macchina che non funziona?”.
Avete novità dalla Regione in merito alle vostre proposte?
“Al momento non abbiamo alcuna novità, ma speriamo in un ulteriore incontro con il Governo regionale con cui ci confronteremo anche su questo”.