Nell’Isola una casa su tre è stata costruita tra il 1919 e il 1970, prima della normativa antisismica e quanto a case non affidabili - perché abusive (6 su 10 nell’Isola) o addirittura costruite in aree vincolate e senza criteri antisismici - la nostra regione non è seconda a nessuna. Il geologo Marco Neri spiega: “non è lo scuotimento sismico che uccide, ma piuttosto è la casa che crolla su di noi”
PALERMO – Ci sono numeri che visti dall’Isola fanno una certa impressione come la scossa di magnitudo 7.1 che si è registrata in California la scorsa settimana, la più elevata dell’area negli ultimi due decenni, e che, pur essendo ancora prematura la conta dei danni, avrebbe limitato le conseguenze al ferimento non grave di alcuni cittadini e ad altri crolli circoscritti.
Numeri che in Sicilia avrebbero fatto verosimilmente tutt’altro effetto perché, come dice nell’intervista in pagina il geologo Marco Neri, “non è lo scuotimento sismico che uccide, ma piuttosto è la casa che crolla su di noi a ucciderci” e quanto a case non affidabili – perché abusive (6 su 10 nell’Isola) o addirittura costruite in aree vincolate e senza criteri antisismici – la nostra regione non è seconda a nessuna.
MEGLIO METTERE IN SICUREZZA CHE RICOSTRUIRE
Secondo un lavoro degli Uffici studi di Camera e Senato, negli ultimi cinquant’anni i terremoti sono costati allo Stato circa 150 miliardi di euro e non hanno ancora esaurito il conto con le casse statali, visto che per molti di loro la ricostruzione non risulta finita. È sufficiente ricordare che solo il terremoto del Belice ha avuto un impatto di circa 8,5 miliardi di euro. Secondo una stima dell’Ance, invece, agire sull’intero patrimonio edilizio siciliano, che tra l’altro potrebbe godere degli incentivi del sismabonus essendo collocato nella maggior parte dei casi nelle prime aree di rischio sismico (circa il 90% dei comuni isolani rientra nelle prime due fasce di rischio sismico: 27 nella prima, la zona dove “possono verificarsi fortissimi terremoti”, e 329 nella seconda, dove possono verificarsi forti terremoti) movimenterebbe risorse per circa 14 miliardi di euro.
CASE DISASTROSE
Valutando l’insieme dei comuni coinvolti, sul campo della mappa del rischio sismico ci sono circa 4,5 milioni di siciliani (355mila solo nella prima fascia di rischio) e circa 1,7 milioni di abitazioni occupate in edifici residenziali (144mila nella prima fascia). Bisogna inoltre considerare che una casa su tre, nell’Isola, è stata costruita tra il 1919 e il 1970, cioè prima dell’avvio della normativa antisismica.
ABUSIVISMO DILAGANTE
Gli ultimi dati Istat, aggiornati al 2017, hanno fatto registrare un indice di abusivismo edilizio (numero di costruzioni abusive per 100 costruzioni autorizzate dai Comuni) che risulta essere uno dei più elevati tra le Regioni italiane, si tratta di 60,9, cioè circa 6 case su 10.
È il dato più elevato che si è registrato dal 2005 in poi, di circa 16 punti percentuali in più rispetto al 2013, ma anche il triplo rispetto a quanto registrato in Italia (19,8). Tra le Regioni riescono a fare peggio soltanto la Campania (67,6), la Basilicata e la Calabria (65,4 a testa). In Piemonte e Lombardia il dato è inferiore al 6,5%.
Intervista a Marco Neri, primo ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia
“Non è lo scuotimento sismico a uccidere ma la casa che crolla sulle nostre teste”
CATANIA – Marco Neri è primo ricercatore presso l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Osservatorio etneo, Sezione di Catania, Unità funzionale gravimetria e magnetismo.
All’inizio di luglio, nei giorni successivi all’eruzione dello Stromboli, anche sull’Etna si è verificato un veloce aumento dell’ampiezza media del tremore vulcanico e forti boati sono stati percepiti dalla popolazione, con enorme preoccupazione data la recente memoria del Sisma di Santo Stefano. Sappiamo che gli eventi sismici non possono prevedersi in alcun modo, ma questi possono considerarsi segnali legati alla necessità di “stare sempre all’erta” anche in considerazione del “big one” che, stando agli esperti, potrebbe sempre verificarsi in questa parte dell’Isola?
“Nella zona etnea, i terremoti più frequenti sono legati alla dinamica eruttiva del vulcano, che a sua volta innesca deformazioni lungo i suoi fianchi (soprattutto quello orientale) che sfociano in sismi come quello di Santo Stefano, nel dicembre 2018. Si tratta quasi sempre di terremoti di magnitudo relativamente modesta (M<5) ma con ipocentro molto superficiale (poche centinaia di metri di profondità), e che quindi provocano notevoli devastazioni, anche se in aree limitate. Il cosiddetto ‘big one’, invece, è un terremoto prodotto non dal vulcano, bensì dal movimento di una delle faglie tettoniche che delimitano la Sicilia orientale. Qui le faglie che si muovono sono lunghe anche centinaia di chilometri e conseguentemente i sismi prodotti sono di magnitudo molto superiore (M>7). I terremoti del 1693 e del 1908 sono due tragici esempi del movimento di queste faglie, capaci di portare distruzione in aree molto estese, dalla Calabria meridionale all’intera Sicilia orientale, mietendo decine di migliaia di vittime. Fortunatamente queste lunghe e pericolose faglie si muovono raramente (cioè con frequenza plurisecolare). Le popolazioni della Sicilia orientale, quindi, devono proteggersi sia dagli umori dell’Etna che dalle faglie tettoniche che bordano l’Isola”.
Esiste una ricetta ideale per ridurre al minimo le conseguenze di un sisma?
“Il modo migliore per difendersi da un terremoto è quello di abitare in case antisismiche. Infatti, non è lo scuotimento sismico che uccide, ma piuttosto è la casa che crolla su di noi ad ucciderci. La prima regola, quindi, è verificare l’idoneità della nostra abitazione alla resistenza sismica, procedendo al suo rinforzo strutturale qualora si accertasse la sua inadeguatezza rispetto alle normativa vigente in aree sismiche come la nostra. Questo discorso deve valere soprattutto per i luoghi caratterizzati da grandi assembramenti di individui come scuole, ospedali, caserme, stadi, etc. Tutti edifici considerati ‘strategici’ e che devono essere, più di ogni altro, caratterizzati da elevati standard di sicurezza nei confronti dello scuotimento sismico”.
Come giudica lo stato di salute del patrimonio edilizio siciliano in rapporto alla minaccia di un rischio sismico?
“Il nostro patrimonio edilizio ha qualche problema. In molti casi, infatti, si tratta di case realizzate abusivamente e poi ‘sanate’ attraverso una delle numerose leggi che hanno consentito la loro regolarizzazione amministrativa. Tuttavia, una casa abusiva è realizzata senza un progetto preventivamente passato al vaglio degli organi preposti al controllo della regolarità strutturale, per cui una casa inizialmente abusiva è, in quanto tale, pericolosa per chi vi abita. Senza contare che, spesso, una casa abusiva è anche realizzata in zone dove non si potrebbe costruire a causa di vincoli ambientali, archeologici o idrogeologici. Una considerazione a parte merita, invece, il patrimonio edilizio monumentale. Il nostro è un patrimonio enorme, attraente dal punto di vista turistico, ricco di storia e di significati culturali. Eppure, è un patrimonio fragile, che andrebbe tutelato sia per il suo valore intrinseco, sia perché rappresenta comunque un elemento di vulnerabilità oggettiva del territorio, in quanto quasi sempre si tratta di edifici che si trovano dentro le città ed il loro eventuale crollo coinvolgerebbe direttamente la popolazione che risiede nelle aree immediatamente circostanti. È auspicabile, quindi, che oltre a mettere in sicurezza gli edifici provati, si procedesse con una estesa e capillare opera di rinforzo strutturale dell’intero patrimonio urbano pubblico e monumentale”.
L’altro pericolo che viene dalle faglie
“Radon oltre i limiti indicati dall’Oms”
Non solo terremoto. Lei ha firmato uno studio in rapporto all’emissione di radon dalle faglie, denunciando un rischio per la salute. È un nemico invisibile e potenzialmente molto pericoloso: come ci si può difendere?
“Da una decina di anni, oltre a monitorare l’attività eruttiva dell’Etna, analizziamo anche il gas radonNon solo terremoti: da faglie dell’Etna arriva anche il pericoloso gas radon. Un gas radioattivo naturale che proviene dal sottosuolo, usato come ‘tracciante’ dell’attività eruttiva ed in qualche caso anche di quella tettonica. Da oltre tre anni, però, conduciamo anche misure continue di radon indoor (cioè dentro alcune abitazioni), poiché è noto che questo gas è cancerogeno. Infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) colloca il radon nel Gruppo 1, ovvero tra i più pericolosi per l’Uomo. Studiando il radon nei suoli dell’Etna sin dal 2005, ci siamo resi conto che alcune zone di questo vulcano ne emanano quantità cospicue. L’obiettivo che ci siamo posti è stato quello di verificare se il radon si trasferisce dal terreno all’interno delle case. In questo studio abbiamo coinvolto alcuni cittadini, insegnanti e alunni di due scuole, al fine di fare conoscere loro l’esistenza di questo potenziale problema. Dopo tre anni di raccolta dati ed analisi, siamo stati in grado di tirare le prime somme e pubblicare i risultati: nelle sette abitazioni monitorate sulle pendici dell’Etna il radon supera, in molti casi, il livello medio annuale di ‘prima attenzione’ indicato dall’Oms. Ciò avviene soprattutto nelle case poste in prossimità delle faglie, le fratture della crosta che segmentano i fianchi dell’Etna producendo frequente sismicità. Il fatto che le faglie siano zone in cui il radon risale più facilmente verso la superficie non è certo una novità. Il nostro ultimo studio, quindi, evidenzia, che il radon filtra facilmente dal sottosuolo all’interno delle abitazioni, inquinandole. L’equazione ovvia che ne deriva è che, oltre al problema della sismicità e della fagliazione superficiale, le maggiori emissioni di radon dalle zone di faglia rappresentano un ulteriore pericolo di cui tenere conto, per difendersi in modo efficace. E difendersi si può, a patto che si conosca il problema, adottando comportamenti (come arieggiare frequentemente i locali) e tecniche costruttive semplici ed efficaci, che prevengono l’accumulo di quantità di radon pericolose negli ambienti in cui si vive”.