E' maschio, dorato, catanese, è stato creato da tre cuochi superando il precedente record di venti e donato al Banco Alimentare. Polemiche per un'agenzia di stampa che l'ha chiamato "arancina", come la (diversa) pietanza palermitana
Sul comunicato ufficiale della manifestazione, svoltasi a Catania, gli organizzatori lo definivano, correttamente, arancino, e con questo nome è stato chiamato da tutti gli organi d’informazione tranne che da un’unica, importante, agenzia di stampa, che ha parlato di “arancina da record” scatenando le polemiche sul web.
La notizia è che tre cuochi – Carlo Cannavò, Francesco Spampinato e Orazio Gravagna – hanno fatto registrare sul Guinnes dei primati un nuovo record di peso per gli arancini: 32,7 chilogrammi contro i 20,2 del precedente, fritto da Amalia Bucurei, Francesco Giuseppe Trovato e Gastronomia Aurora nel settembre del 2011 a Linguaglossa, sull’Etna.
Il nuovo arancino dei record è stato preparato durante un evento organizzato da Metro Italia a Catania nella piazza Università e poi donato al Banco alimentare.
Tutti, come detto, hanno, correttamente, definito la pietanza arancino, tranne quell’agenzia di stampa, che ha pensato bene di “tradurre” in “arancina”, con meticolosa pignoleria, in tutti i passaggi della notizia, la dizione originaria del comunicato ufficiale.
Rinfocolando così le eterne polemiche tra gli abitanti di Palermo e provincia – gli unici in Sicilia a chiamarli arancine – e il resto dell’Isola. L’agrigentino Andrea Camilleri ha scritto infatti “Gli arancini di Montalbano”, non le arancine.
La “palermitanizzazione” dei termine è apparsa dunque una sorta di attentato all’identità di quella larghissima parte della Sicilia che palermitana non è.
Peraltro, l’arancino siciliano e l’arancina palermitana sono due pietanze differenti.
Il primo nacque probabilmente intorno alla metà del Quattrocento a Catania, nel periodo della dominazione aragonese che scelse la città etnea come capitale della Sicilia. Era una palla di riso, a volte tinto di zafferano, con sugo bianco (allora i pomodori non esistevano) di carne, un pezzetto di formaggio e a volte un quarto d’uovo sodo e piselli.
La palla, modellata in varie forme, veniva panata e fritta. E gli aragonesi usavano utilizzare il fritto per conservare più a lungo i cibi.
Da Catania l’arancino si diffuse in tutta l’Isola. Era una pietanza popolare anche per i palermitani. Di arancinu, al maschile, si parla nel Dizionario siciliano-italiano edito a Palermo nel 1876 e scritto dal barone Vincenzo Mortillaro, erudito palermitano che lo definisce “sorta di vivanda fatta di riso a forma di arancio ripieno di manicaretto”.
La seconda pietanza, l’arancina, viene definita da alcuni studiosi della gastronomia palermitana come una palla di riso allo zafferano ripiena “di ragù alla bolognese”.
Questo stufato di carne tritata ha origini leggendarie e antiche, ma comunque nordiche. E difatti venne importato a Palermo dai Monsù – corruzione del francese monsieur, signore, che si attribuiva agli chef -, i cuochi che lavoravano per le famiglie nobili.
Quel ragù alla bolognese venne utilizzato – certamente in anni vicini al Novecento, visto che nel 1876 Mortillaro parlava ancora di arancinu -, per reinventare la pietanza popolare con caratteristiche che oggi definiremmo fusion.
Metro, comunque, intendeva parlare certamente di arancini catanesi, visto che nel comunicato originale si legge che Tanya Kopps, ceo di Metro Italia, ha affermato: “l’arancino dei record vuole rappresentare concretamente e in modo ludico la nostra passione per il mondo della ristorazione”.
E ha concluso con un ringraziamento “al sindaco Pogliese e all’intera città di Catania per averci ospitato in questa giornata speciale”.
Ma la “palermitanizzazione” era in agguato…