Abusi edilizi, demolizioni “a ostacoli” tra scarse risorse e procedure farraginose - QdS

Abusi edilizi, demolizioni “a ostacoli” tra scarse risorse e procedure farraginose

redazione

Abusi edilizi, demolizioni “a ostacoli” tra scarse risorse e procedure farraginose

Roberto Greco  |
martedì 22 Agosto 2023

Agrigento tra le province siciliane più colpite: solo un terzo degli edifici illegali è stato abbattuto

“Ogni abuso, dovunque e da chiunque venga commesso, inquina l’ambiente morale dell’uomo, produce un’erosione dei valori” ha scritto Raniero Cantalamessa teologo e predicatore italiano dell’Ordine dei frati minori cappuccini. “Ladri di futuro”, ha invece definito quanti sono rei di aver commesso un abuso edilizio il professor Agatino Cariola, docente ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Catania. La Sicilia, con 950 abbattimenti a fronte di 4.537 ordinanze, è nelle ultime posizioni. Sulla base dell’ultimo report di Legambiente, una delle “maglie nere” è indossata da Agrigento, provincia in cui, solo nel 2022, sono stati identificati 78 reati che hanno portato alla denuncia di 96 persone e al sequestro di 12 immobili. Ad Agrigento sono state 1.238 le ordinanze di demolizione emesse nel periodo 2004-2020 di cui solo 415 sono state eseguite mentre sono 184 gli immobili abusivi trascritti al patrimonio immobiliare dei comune e 181 le pratiche trasferite al Prefetto.

“Stiamo parlando, nel 2022 – ha dichiarato al QdS Giuseppe Alfieri, presidente regionale di Legambiente Sicilia – di oltre 3 reati al giorno nell’isola. Negli ultimi anni, inoltre, questo fenomeno ha refluenze dirette anche sull’assetto del territorio. Quando si parla di abusivismo edilizio si pensa subito ai c.d. ecomostri, agli abusi a ridosso del mare ma, in realtà, ci sono moltissimi abusi che sono stati commessi ai danni del territorio in luoghi fragili, sottoposti a vincolo e in luoghi che, dal punto di visto sismico e idrogeologico, sono molto complessi e delicati e che hanno determinato situazioni gravi in Sicilia e in tutta Italia”.

La mancanza delle risorse economiche necessarie per portare a compimento le pratiche di abbattimento e conseguente ripristino del territorio è indicata da molti sindaci come la causa primaria ma, come sempre, qualche amministrazione virtuosa c’è. “Ogni hanno abbiamo messo in bilancio un importo di circa 200.000 euro per le demolizioni – ha dichiarato al QdS Giovi Monteleone, sindaco di Carini, in provincia di Palermo – il che significa, in otto anni, aver destinato oltre 1 milione e mezzo di euro per la soluzione del problema”. Un piccolo contributo, in realtà, è arrivato quando, lo scorso maggio, il vicepremier o e ministro Salvini ha firmato un decreto per l’assegnazione di ulteriori risorse per il “Fondo Demolizioni” che ha previsto 40 interventi di smantellamento di cui 10 in Sicilia ma siamo ancora lontani da quanto è necessario, forse anche dal punto di vista legislativo.

Intervista al prefetto di Agrigento, esperto delle tematiche legate agli abusi

Filippo Romano: “Spesso manca la volontà di abbattere l’abuso”

A proposito degli abusi edilizi interviene sul QdS il prefetto di Agrigento Filippo Romano, insediatosi lo scorso 22 maggio. Nel tempo Romano è stato membro delle commissioni straordinarie dei Comuni di Racalmuto (Ag), Rosarno (Rc) e San Cataldo (Cl), Presidente della Commissione d’indagine ex art. 143 T.U.E.L. presso i Comuni di Squinzano (Le), Corigliano Calabro (Rc) e Pachino (Sr), presidente della Commissione straordinaria di liquidazione del Libero Consorzio di Siracusa. Profondo conoscitore del territorio, si è già occupato in passato delle tematiche relative agli abusi.

Eccellenza, come lei ben sa, nel recente rapporto di Legambiente sul “ciclo illegale del cemento”, la Sicilia è sul podio delle regioni più interessate dal fenomeno degli abusi edilizi e, sempre nel medesimo rapporto, la provincia di Agrigento, assieme a quella di Messina, è indicata ai primi posti. Se si pensa ad Agrigento e all’abuso edilizio non si possono non ricordare quei palazzoni che “nascosero” il centro storico. Qual è la situazione del territorio?
“Quei palazzoni furono costruiti tra gli anni ’60 e ’70 e, a seguito della frana del ’66 e dello scandalo che ne seguì, la Valle dei templi fu ampliata con l’acquisizione diretta da parte del demanio delle aree necessarie per salvaguardare i templi in maniera adeguata. Ai tempi, lo ricorderà, ci furono costruttori armati di trattori che circondarono la Prefettura per protestare. Fu propagandata l’idea che Agrigento potesse essere come Roma, in cui i resti archeologici, come il Pantheon o il teatro Marcello, sono nel centro della città dimenticando di mettere in evidenza che il centro di Roma era però composto da edifici storici antichi e medioevali e non da immobili moderni. Il Governo confermò le sue scelte e quei grattaceli sono ciò che rimane di quell’iniziale tendenza alla costruzione. In realtà, proprio quei grattaceli non sono da considerarsi tecnicamente ‘abusi’ perché la loro costruzione fu consentita da piani regolatori adottati con un criterio che potremmo definire allergico alla tutela delle antichità. Nella percezione del cittadino è abusivo ciò che è brutto, che è un ecomostro, ma in realtà non è così. Le faccio un esempio: le tre torri di Punta Perotti a Bari la cui costruzione fu regolarmente autorizzata. Furono, poi, abbattute in quanto la popolazione, con una diversa coscienza paesaggistica e percezione ambientale, ha ritenuto che non si sarebbero dovute costruire ma la Cedu ha infine condannato il Comune a risarcire il costruttore proprio perchè non abusivi ab origine. Il concetto di abuso si applica a costruzioni in difformità o in assenza totale di permesso. Il tema non è spesso il reato, ma l’esecuzione della demolizione che deve essere eseguita. La costruzione è un corpo del reato ma è ben diverso distruggere sostanze stupefacenti sequestrate dall’abbattere un palazzo. Ci sono spese notevoli e pratiche lunghe perché è necessario bandire una gara d’appalto e quant’altro. Dietro questo iter che porta all’abbattimento c’è, spesso, una mancanza di volontà di abbattere l’immobile abusivo. In presenza di determinate condizioni, peraltro, è possibile che l’amministrazione comunale lo possa acquisire e destinare a uso pubblico, qualora l’abuso non sia in violazione delle norme paesaggistiche o di staticità, utilizzandolo per ospitare uffici o trasformarlo in case popolari”.

Nel tempo, oltre ai condoni, il legislatore ha cercato di dare nuovi strumenti per poter realizzare gli abbattimenti, penso al Dl 120/20…
“Sì. Più volte il legislatore è intervenuto per aiutare i Comuni o metterli in mora ma, in questo caso, dobbiamo distinguere due ipotesi. La prima è che la demolizione consegua alla condanna penale, e in questo caso spetta all’autorità giudiziaria avviare l’iter necessario per darne atto anche sollecitando i Comuni ad adempiere. La seconda ipotesi, invece, è quella che riguarda le demolizioni chieste dalle autorità amministrative, ossia decisa dai Comuni o dalle Province. In questo caso la Prefettura può intervenire, proprio sulla base del Dl 120/2020 da lei citato, a loro sostegno qualora non vengano, ad esempio, trovate le ditte che eseguano i lavori per esempio nel caso di un immobile costruito da un esponente di spicco nell’ambito locale che le ditte non si vogliono ‘mettere contro’. Il Prefetto, anche utilizzando il Genio militare, può disporre e dare esecuzione all’abbattimento. In provincia di Agrigento, e in Sicilia, siamo in presenza di entrambi i casi. Devo dire che, in generale, le demolizioni ordinate dagli enti locali, anche se poche, sono state eseguite abbastanza serenamente. Pertanto, ove necessario, saremo pronti a far intervenire il Genio militare. L’ipotesi di attualità oggi è principalmente quella della demolizione d’ordine del Giudice, in quanto reato. L’immobile viene sequestrato e, passata in giudicato la condanna, va abbattuto. Si tratta di una procedura più complessa e articolata che, spesso, incontra difficoltà di comunicazione tra la Procura Generale, nel nostro caso per competenza quella di Palermo, e i comuni della provincia. Recentemente ho inviato a tutti i Comuni una circolare esplicativa e, soprattutto, ho convocato i comuni inadempienti che in questo momento nelle provincia di Agrigento sono sette. Riteniamo che gli incontri, alla presenza di un magistrato, potranno essere attuati nei primi giorni del mese di settembre”.

Lei ha accennato alla mancanza di volontà delle amministrazioni comunali…
“Si tratta di un tema delicato perché questo aspetto può riguardare ogni singolo anello della catena esecutivo-decisionale. Si tratta di una catena lunga e articolata, pensi solo alla necessità di trovare i siti per lo stoccaggio dei materiali, al conferimento dei materiali di risulta, all’aspetto tecnico della demolizione di un palazzo di dieci piani, operazione che solo poche ditte in Italia sono in grado di eseguire, e finanche alla difficoltà di fare la notifica alla proprietà. Ogni tassello può essere oggetto d’inerzia e, quindi rallentare l’esecuzione. Non sempre, quindi, le responsabilità della non esecuzione sono imputabili al Sindaco o all’Assessore, perché anche il singolo geometra o impiegato comunale può mettere in stallo la procedura. Quando nel 2021, con il ruolo di commissario straordinario, mi sono occupato di una demolizione nel Comune di San Cataldo la procedura è durata quasi due anni a causa delle difficoltà procedimentali e delle resistenze dei controinteressati e persino l’inviato de ‘Le iene’ venne a chiederci conto della demolizione. Tenga conto che eravamo l’amministrazione di un Comune sciolto per mafia con l’obiettivo di ripristinare la legalità…”.

Parla l’ex procuratore della Repubblica nella Città dei templi, oggi a Cagliari

Luigi Patronaggio: “Servono più risorse ma anche sanzioni”

Abusi edilizi, interviene al QdS Luigi Patronaggio, già Procuratore della Repubblica di Agrigento e oggi procuratore generale di Cagliari. Insediatosi nella città dei Templi nel settembre 2016, già negli anni novanta era stato capo dell’ufficio gip-gup ma anche di Presidente della sua Corte d’Assise portando a compimento lo storico processo “Akragas” alle cosche mafiose dell’agrigentino che si concluse con ventuno ergastoli e la condanna di Giovanni Brusca.

Dottore, lei ha retto la procura di Agrigento per quasi sette anni. La grossa dimensione del fenomeno dell’abusivismo edilizio in quel territorio, confermato anche dal recente rapporto di Legambiente, vi ha costretto a tenere sempre alto il livello d’allarme. Rischi ambientali e paesaggistici sono entrati nell’immaginario collettivo di chi oggi pensa ad Agrigento, città deturpata da una cementificazione selvaggia già dagli anni ’60. Ci può fare un quadro complessivo?
“Agrigento e la sua provincia soffrono di un abusivismo edilizio risalente nel tempo che ha provocato danni ormai irreparabili al paesaggio e al patrimonio archeologico. Devo tuttavia dire che, da qualche anno, c’è una maggiore attenzione al fenomeno e nuovi rilevanti casi di abusivismo sono stati bloccati sul nascere. Resta il problema della remissione in pristino, attraverso le demolizioni, di un territorio deturpato. E qui vengono le note dolenti perché l’immobilismo amministrativo e l’ostruzionismo giudiziario degli abusivisti impedisce una seria politica di recupero del territorio. Il numero delle demolizioni, a fronte delle sentenze di condanna per reati urbanistici e paesaggistici, è purtroppo estremamente basso”.

I tempi tra l’emissione del provvedimento di abbattimento e la sua esecuzione non sono certamente brevi. Quali sono i motivi principali?
“I Comuni sono sommersi spesso da una valanga d’istanze di sanatoria e condono che non vengono istruite e spesso la macchina amministrativa si blocca, talvolta con compiacenza, al primo ricorso amministrativo. Solo quando tutti i rimedi amministrativi sono stati esperiti, si inizia timidamente una procedura per la demolizione che spesso, ancora una volta, si blocca in modo desolante per mancanza di fondi”.

Le amministrazioni locali hanno risposto con efficienza alle vostre richieste, al di là dei limiti economici per dare atto all’abbattimento e al ripristino del territorio, o ha riscontrato una sorta di “lassismo”, di sottovalutazione del fenomeno o altro ad esempio inquadrabile indicativamente nel mantenimento del “quieto vivere” locale o necessità di consenso elettorale?
“I Comuni virtuosi in materia sono in vero pochi e quei sindaci che si sono impegnati nelle demolizioni sono stati vittime di minacce e ritorsioni. Senza dire del prezzo politico che questi sindaci hanno pagato in termini di mancato consenso elettorale”.

Il Dl 120/2020 ha mirato al superamento dell’inerzia delle amministrazioni comunali in fatto di demolizioni, facendo passare la prerogativa nelle mani dello Stato centrale, ossia alle prefetture ma, nel tempo, sono stati più i condoni che le norme che permettessero, anche con facilitazioni di tipo burocratico, di dare pronta esecuzione agli abbattimenti. A suo giudizio questa può essere una strada che ci permetterà di percorrere più velocemente il raggiungimento del risultato?
“Certamente un centro decisionale lontano dagli interessi locali ha maggiore possibilità di risultare efficace. Tuttavia una circolare del Ministero dell’Interno ha ridotto l’intervento dei Prefetti alle sole demolizioni di epoca recente lasciando inalterato il grave quadro abusivo precedente”.

L’utilizzo dell’Esercito, nello specifico del Genio militare, può essere uno strumento adeguato alla risoluzione del problema?
“Il problema non è tanto quello dell’individuazione della ditta esecutrice dei lavori di demolizione quanto pervenire in tempi rapidi alla demolizione. Questo presuppone l’esistenza negli organici dei comuni di tecnici amministrativi e di tecnici con competenze ingegneristiche capaci di elaborare e attuare provvedimenti amministrativi e progetti di demolizione validi e inoppugnabili. L’intervento del Genio Militare appare utile solo in quei casi dove la presenza d’interessi mafiosi scoraggia l’intervento di ditte private”.

A suo giudizio è necessario uno “scossone” legislativo e nuovi strumenti che supportino maggiormente il lavoro dell’A.G.?
“La vera misura risolutiva sarebbe quella di sanzionare, al limite anche penalmente, l’immobilismo amministrativo dei sindaci e degli amministratori locali, a cui occorrerebbe fornire maggiori risorse finanziarie per non rifuggire in facili alibi”.

Abusi edilizi e incendi hanno stuprato, nel tempo e ancora oggi, il territorio. Ma siamo veramente disarmati di fronte a questi fenomeni che “rubano il nostro futuro” oppure è necessaria una presa di coscienza collettiva che tarda ad arrivare? Sulla base della sua esperienza, manca ancora una cultura del “bello” e della legalità in quel territorio?
“In effetti manca ancora una diffusa cultura ambientale. Ci rendiamo conto di quanto sia importante costruire nella legalità, rispettando vincoli paesaggistici, idrogeologici e normativa antisismica, solo quando la natura si ribella. Quando inondazioni, frane, eventi tellurici, o più di recente incendi, ci travolgono, allora ci ritroviamo tutti a disperarci della mancata prevenzione. Occorre capire che investire nell’ambiente è investire nel futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti”.

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