Tra business e salute. Un giro d’affari da 6 miliardi di euro l’anno che resta in mano alla criminalità organizzata. Ma la possibile strada della legalizzazione appare lontana.
ROMA – In Italia la posizione sulla legalizzazione e commercializzazione della cannabis è tutt’altro che rilassata. Eppure si tratta di una storia millenaria se si considera che risale al lontano 11.500 a.C. ad Albano, in provincia di Roma, il primo ritrovamento di tracce della pianta in natura. Nei secoli a venire, la storia si è fatta un po’ più complessa e ciò che era prima del tutto naturale è entrato al centro di un dibattito infuocato nel nostro Paese.
Cannabis leggera, legge pesante
Attualmente in Italia la normativa di riferimento è la legge n. 242 del 2016, entrata in vigore nel 2017, che ha adottato una serie di misure finalizzate al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera della canapa, limitatamente alla varietà Cannabis sativa, racchiusa nella categoria “Piante agricole”.
Da questa possono essere creati prodotti atti alla vendita, purché presentino una concentrazione di Thc (il tetraidrocannabinolo, responsabile degli effetti psicoattivi) inferiore allo 0,2%, anche noti come “cannabis light”. Il Thc è stato inserito nell’elenco delle sostanze psicotrope vietate dalla legge (Dpr 309/90), a differenza del cannabidiolo (Cbd), l’altro principio attivo della cannabis che però non presenta effetti psicoattivi.
Stando alla legge, però, il limite dello 0,2% vale solo per i venditori mentre vi è una tolleranza fino allo 0,6% per gli agricoltori, pena il sequestro e la distruzione del raccolto. Più nel dettaglio, i prodotti ammessi alla vendita rientrano nella categoria alimenti e cosmetici, semilavorati (fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali), materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o bioedilizia, materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati e, infine, coltivazioni dedicate alle attività didattiche o al florovivaismo.
Discorso diverso per l’ambito farmaceutico, invece, dove il limite di tolleranza viene innalzato all’8% per produrre medicinali destinati alla cura di malattie degenerative. Per l’uso terapeutico della cannabis, infatti, il nostro Paese si è espresso positivamente già 17 anni fa. Dal 2006, infatti, come riportato dal ministero della Salute, “in Italia i medici possono prescrivere preparazioni magistrali, da allestire da parte del farmacista in farmacia, […] dietro autorizzazione di un Organismo nazionale per la cannabis”.
Il vero punto cieco, in realtà, riguarda l’uso personale. Nella legge 242 precedentemente citata, infatti, non si fa alcun riferimento all’uso ricreativo della sostanza. Quindi, verrebbe da pensare, si può comprare cannabis light e fumarla? La legge non si esprime, creando un buco nero normativo. La questione è stata posta alla ribalta con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4920/2019, con la quale si è dichiarato che “La legge (n. 242, ndr) è diretta ai produttori e alle aziende di trasformazione” e, punto saliente, “il riferimento alla tipologia di uso non comporta che siano di per sé vietati per altri usi non menzionati”.
Discorso diverso, invece, per la cannabis illegale per cui dobbiamo necessariamente rifarci all’articolo 75 del Dpr 309/90, ovvero il Testo unico sulla droga. Nel dettaglio, la detenzione di stupefacenti per uso personale non è considerato un reato penale ma viene punito con sanzioni amministrative che, nel caso della marijuana, vanno da uno a tre mesi di reclusione. L’articolo 73, invece, si esprime sullo spaccio: “Colui il quale pone in essere condotte adibite a realizzare lo spaccio di sostanze stupefacenti o risulta detentore di una quantità di sostanze stupefacenti per finalità di spaccio, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con una multa la cui cifra può andare da un minimo di € 26.000 a un massimo di € 260.000”.
Quindi, a voler tirare le fila per scavalcare ogni perplessità, detenere marijuana illegale per uso personale non è reato penale ma amministrativo, mentre spacciarla sì. Per quella legale, invece, nessun veto particolare che, nei fatti, sembrerebbe un silenzio assenso.
Il referendum e “il pelo nell’uovo”
Negli anni si sono succedute diverse proposte provenienti da partiti, gruppi politici, associazioni e cittadini per fare finalmente un po’ di chiarezza. Per non andare troppo lontano, uno degli episodi più recenti risale al febbraio dell’anno scorso. Dopo aver raccolto oltre seicentomila firme dei cittadini, infatti, è stato presentato un quesito referendario sulla depenalizzazione della coltivazione “casalinga” della cannabis e alcuni reati legati all’uso delle droghe leggere, sostenuto da un variegato gruppo di associazioni e partiti come Meglio Legale, Luca Coscioni, Forum Droghe, +Europa e tantissimi altri.
Lo scorso 15 febbraio, però, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito in quanto “il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”, ha dichiarato il presidente Giuliano Amato.
Manco a dirlo, non sono mancante le reazioni politiche: “È incredibile questa decisione della Corte costituzionale dopo che il referendum è stato sottoscritto da seicentomila cittadini. La Corte costituzionale ha fatto quello che il presidente Amato ha detto che non andava fatto, cioè cercare il pelo nell’uovo”, ha dichiarato Riccardo Magi, deputato e presidente di +Europa.
L’argomento è più volte tornato alla ribalta negli ultimi mesi, specie in tempo di elezioni. Attualmente la linea del Governo Meloni è chiara: “Fratelli d’Italia è totalmente contraria alla proposta di legge sulla cannabis e riteniamo che queste modifiche siano solo uno strumento per facilitare la sua legalizzazione, incentivando la diffusione e l’utilizzo di sostanze psicotrope”. ha dichiarato in Aula il deputato di FdI, Ciro Maschio.
A qualcuno piace legale
Nonostante la sconfitta nella singola battaglia, però, la “guerra” non è ancora chiusa. Lo scorso maggio il M5S ha presentato il disegno di legge Magi-Licatini che, dopo il via libera della Commissione Giustizia è approdato alla Camera dei deputati per la discussione generale. La proposta vuole anzitutto sopperire alle carenze della normativa vigente e prevede la depenalizzazione della coltivazione della cannabis per autoconsumo.
Più nel dettaglio, si prevede la possibilità per i maggiorenni di coltivare fino a quattro piante di marijuana per uso personale, la riduzione delle pene detentive per il possesso e lo spaccio di piccole quantità di cannabis e l’istituzione di una giornata nazionale per sensibilizzare sui rischi legati all’uso di droghe, tabacco e alcol e incontri di prevenzione negli istituti scolastici. La strada per l’approvazione, però, è ancora tutta in salita, vista la strenua opposizione dell’attuale maggioranza.
La fame chimica della malavita
Nel frattempo, mentre la patata bollente del referendum sulla legalizzazione continua a fare avanti e indietro tra Governo e cittadini, la malavita con lo spaccio di stupefacenti si mangia ogni anno 16,2 miliardi di euro, come emerso dall’ultima relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze della Presidenza del Consiglio e riferita al 2021. Di questi, il 39%, ovvero circa 6 miliardi solo per consumo dei derivati della cannabis e il 32% per la cocaina.
Non solo. Nel 2021 si è registrato un palese incremento dei volumi intercettati sia per l’hashish (+113%) che per la marijuana (+135%). Lo stupefacente, infatti, resta quello più sequestrato nel nostro Paese. Da solo ha rappresentato oltre due terzi (67,7 tonnellate) di tutta la droga individuata (91 tonnellate) dalle Forze di Polizia. Numeri che dimostrano un livello costantemente elevato della domanda che, però, attualmente resta in gestita in toto dalla criminalità.
L’analisi delle conseguenze economiche di una possibile legalizzazione
Visti gli introiti provenienti dal nero, appare evidente che legalizzare conviene. Abbiamo discusso tutti i dettagli con Marco Rossi, ricercatore di Economia politica all’Università La Sapienza di Roma.
Professore, quanto potrebbe guadagnare lo Stato italiano dalla legalizzazione della marijuana?
“Volendo fare una stima, possiamo considerare un introito che si muove su una forbice tra i due e i quattro miliardi, depurata da componenti di autoconsumo (coltivazione domestica) e dal residuo contrabbando. Si tratta di cifre importanti per un Paese che versa in gravi difficoltà economiche come il nostro. Bisogna partire dal presupposto fondamente che l’Italia è il primo stato europeo per consumo di cannabis, con circa dieci milioni di consumatori sporadici e mezzo milione di consumatori abituali. Legalizzarne la produzione, la vendita e il consumo apporterebbe benefici non indifferenti, anzitutto sul piano economico. Se tale mercato fosse legalizzato, così come per i tabacchi, in cui la distribuzione è riservata a concessionari autorizzati, si potrebbe eludere l’attuale mercato illegale e i suoi proventi potrebbero così finalmente venire a galla, assicurando alle casse dello Stato circa tre miliardi di euro dalle tasse sulle vendite adesso riscossi degli spacciatori, riducendo il benessere economico della malavita a vantaggio del benessere economico della collettività. Numeri alla mano, se moltiplichiamo il numero dei consumatori per il loro consumo medio annuo, otteniamo una stima della quantità di cannabis consumata in Italia di circa seicento tonnellate all’anno. Se consideriamo che per produrre un grammo di marijuana sono necessari in media tre euro, si potrebbe ipotizzare di venderla a dieci euro al grammo. Questo prezzo è pressochè identico a quello presente sull’attuale mercato illegale. Tale aspetto è molto importante, perchè mantenendo un prezzo simile a quello in nero, il consumatore sarebbe sicuramente più incentivato a fare una scelta legale che garantisce il controllo qualità del prodotto e lo allontana da eventuali sanzioni legali. Da non dimenticare che, attualmente, le attività di contrasto al traffico di sostanze stupefacenti ci costano circa seicento milioni di euro l’anno. Pensiamo a quanto potrebbe risparmiare l’Italia”.
Quale la funzione dell’eventuale tassazione statale?
“Parlando di tassazione, in questo caso, ci riferiamo a un modello ‘correttivo’. In buona sostanza, imponendo una tassa sul vizio, così come avviene attualmente per il tabacco, si crea un meccanismo disincentivante del consumo del prodotto. Nel momento in cui viene applicata un’imposta, si allinea il costo privato (prezzo) al costo sociale. In tal modo l’aumento del prezzo comporta la riduzione della domanda. Inoltre, il gettito da tale sistema può essere usato per svariati scopi, come campagne di sensibilizzazione per disincentivare il consumo o, ancora, per compensare le ricadute negative di quest’ultimo sulla collettività. Una parte delle tasse attualmente imposte al tabacco, per esempio, vengono usate per curare i tabagisti”.
un volano anche per il lavoro…
“In caso di legalizzazione, se ci riferiamo semplicemente alla coltivazione e alla manifattura della cannabis, che è l’ambito in cui sarebbero impiegate il maggior numero di persone, si dovrebbero assumere circa 55 mila addetti, di cui quelli preposti alla coltivazione sarebbero però lavoratori stagionali. Nel caso, poi, in cui si seguisse il modello della completa liberalizzazione, come in Olanda, si potrebbe creare una vastissima rete che potrebbe giungere a impiegare quasi centomila addetti. In media possiamo dire che, a conti fatti, sarebbe possibile generare fino a centomila nuovi posti di lavoro, di cui beneficierebbe inevitabilmente anche lo Stato grazie al gettito Irpef”.
E la linea proibizionista?
“Dal punto di vista economico esiste un fenomeno definito ‘effetto palla’ che ci dimostra come il proibizionismo, in realtà, finisce per essere costoso. Si tratta di quello che è un successo un po’ in Usa con gli alcolici. Con il divieto di consumo, la domanda si è spostata dal mercato legale a quello illegale, proprio come una palla che, se urtata, modifica la sua posizione nello spazio ma non le sue dimensioni. Stesso discorso può essere fatto per la cannabis e per il rapporto tra lecito e illecito. La domanda c’è, sposta semplicemente la sua collocazione. Senza dimenticare che in Italia esiste anche un mercato sociale della canapa, che rappresenta il 40% dei consumi. Si tratta degli scambi di hashish e marjuana fra amici consumatori.Tutte persone che hanno paura ad avvicinarsi al mondo della criminalità e preferiscono l’autoproduzione. Legalizzare potrebbe essere l’occasione anche per loro di riacquisire benessere sociale”.