Catania quinta per suolo consumato. Sarà sempre più calda e “allagata” - QdS

Catania quinta per suolo consumato. Sarà sempre più calda e “allagata”

Catania quinta per suolo consumato. Sarà sempre più calda e “allagata”

venerdì 19 Agosto 2022

Catania nella top 5 per maggior incremento di cementificazione. Il professore Cirelli spiega come le infrastrutture verdi potrebbero abbassare le temperature e attenuare l’impatto delle pioggie

CATANIA – Ci vuole coraggio a costruire la Cittadella giudiziaria su una delle aree costiere più cementificate d’Italia quando anche gli ultimi dati inchiodano Catania per la quantità di ettari di suolo consumati. Nell’ultimo anno preso in considerazione dall’Ispra, ossia tra il 2020 e il 2021, il cemento è avanzato di altri 34,62 ettari – principalmente per i cantieri del polo intermodale dell’interporto e del polo logistico adiacente – facendo entrare la Città dell’Elefante nella top 5 dei centri urbani con il maggior incremento di impermeabilizzazione. Peggio sono riusciti a fare soltanto Roma, con 95 ettari consumati, Ravenna con 69, Vicenza con 42 e Reggio Emilia con circa 35. In totale al 31 dicembre 2021 nel capoluogo etneo risultano consumati più di 5.200 ettari.

Un disastro di cui le istituzioni di questa città si ricordano soltanto all’indomani delle alluvioni che ormai, puntualmente, in autunno devastano il territorio. Sì perché la mancanza di vegetazione (secondo gli ultimi dati Istat solo il 3% delle superficie comunale di Catania è ricoperta da alberi) provoca la perdita di quelli che gli studiosi dell’Ispra chiamano “servizi ecosistemici”: dallo stoccaggio del carbonio all’attenuazione delle “isole di calore”, passando per la regolazione del ciclo idrologico.

I vantaggi di questi “servizi”, riconosciuti anche come infrastrutture verdi, ce li ha spiegati, nell’inchiesta pubblicata lo scorso 3 agosto, il professore Giuseppe Cirelli, ordinario di Idraulica agraria e sistemazioni idraulico-forestali all’Università di Catania. “Vi sono già numerosi studi autorevoli e acclarati che dimostrano come la vegetazione in ambito urbano, soprattutto di tipo arboreo, può attenuare anche di quattro gradi la temperatura a livello di solati e aree pedonali. Il verde ha un ruolo fondamentale per quanto concerne la schermatura dalle radiazioni dirette del sole e, dunque, offre un significativo contributo alla riduzione delle temperature in ambito urbano con risparmi di carattere energetico non indifferenti e, allo stesso tempo, rendendo le città più salubri e più vivibili”.

Non solo, però, la città sarebbe più fresca ma anche più sicura in caso di eventi estremi come le bombe d’acqua di cui si diceva poc’anzi. “Nel caso della gestione dei reflussi urbani si configura la possibilità di usare – continua Cirelli – le aree a verde per contenere le sempre più elevate portate di precipitazioni che si registrano in ambito urbano e che gli attuali sistemi di drenaggio non sono più in grado di gestire. Come è ben noto, l’incremento dell’intensità delle piogge è un fenomeno reale e, dunque, è necessario implementare le attuali strutture atte a raccogliere e assorbire le acque. Il concetto nuovo che si sta affermando e che è già attualmente attivo in contesti europei, come ad esempio Amsterdam, e che si sta facendo spazio anche in Italia, come a Bologna, è quello di creare delle zone di assorbimento delle acque urbane che siano aree verdi. Immaginiamo, ad esempio un’aiuola tradizionale: essa diventa un sistema per invasare l’acqua e per accumularla in corrispondenza della pianta stessa, così da ridurre il deflusso sulla strada e, allo stesso tempo, utilizzarla per annaffiare”.

In Francia, per esempio, alcune amministrazioni stanno rimuovendo l’asfalto dai marciapiedi per far “respirare” le radici degli alberi e consentire così una migliore infiltrazione dell’acqua piovana. “Attualmente abbiamo bisogno di rivedere i metodi classici finora utilizzati trovando metodi alternativi quali le infrastrutture verdi – chiarisce ancora il professore dell’Unict -. È impensabile, infatti, estendere o implementare gli attuali collettori perché ciò comporterebbe un dispendio di energie e di tempo insostenibile per i comuni. Le altre città, per ovviare ai problemi fin qui descritti, si stanno attrezzando con aree verdi che non solo abbelliscono il contesto, mitigano gli effetti del calore e contribuiscono all’assorbimento di CO2, ma diventano parte integrante del sistema di gestione delle acque. Si tratta di quelle che, a livello internazionale, vengono definite ‘sponge city’, ovvero ‘città porose, spugna’. Un esempio emblematico è rappresentato dall’Olanda ma anche dalla Cina come nel caso di Wuhan”.

A Catania serve un’inversione totale di rotta con politiche di rigenerazione urbana che puntino alla demolizione senza ricostruzione di edifici abbandonati o al recupero di zone degradate per fare spazio a nuovi parchi ed aree pubbliche. Una sfida che si spera possa entrare nel dibattito politico delle prossime elezioni amministrative.

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