Il Covid ha determinato, attraverso la sospensione del Patto di stabilità decisa dall’Unione europea, la possibilità per il Governo italiano di impegnare notevoli risorse economiche
La pandemia Covid-19 ha determinato, attraverso la sospensione del Patto di stabilità decisa dall’Unione europea, la possibilità per il Governo italiano di impegnare notevoli risorse economiche per fronteggiare la grave crisi scaturita dalla pandemia stessa e dai mesi di lockdown che hanno letteralmente messo in ginocchio il tessuto economico e sociale dell’intera Nazione. La sospensione del patto di stabilità è stata prorogata dalla UE dapprima per l’intero 2021 e poi fino al 31 dicembre 2022.
Anche e soprattutto in ambito sanitario sono state stanziate ingenti risorse economiche che, dal Governo centrale, sono defluite, secondo i criteri di ripartizione ordinariamente previsti dalla Conferenza Stato-Regioni, nelle casse regionali. Solo in minima parte queste risorse sono andate a ristorare il surplus di attività e l’impegno profuso dagli operatori sanitari durante l’emergenza pandemica, attraverso quello che è passato alla storia sotto l’etichetta di Bonus Covid e che è equivalso, in alcuni casi, a una cifra di circa 1000 € lordi una tantum, ma in tantissimi hanno ricevuto molto, ma molto meno. In alcuni casi niente.
Durante la pandemia, la riconversione di molti ospedali in strutture assistenziali dedicate unicamente al Covid, ha determinato una contrazione anche marcata dell’offerta sanitaria su tutto il territorio nazionale. Situazione che perdura a causa del mantenimento di diverse di tali strutture che continuano ad essere interdette ai pazienti ordinari, persistendo ad essere destinate alla cura del Covid. Ciò ha comportato la rinuncia o l’interdizione alle cure di molti pazienti, acuti e cronici, neurologici, cardiopatici e oncologici, che troppo spesso hanno trovato enormi difficoltà ad accedere all’assistenza ordinariamente fornita dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), venuta meno causa Covid. Migliaia di interventi chirurgici saltati o posticipati, diagnosi arrivate con deciso ritardo che hanno reso vani gli interventi terapeutici si sono andati accumulando nei mesi della pandemia e, in parte, continuano a farlo.
Già nel 2020, con il Decreto Legge 104 del 14 agosto, lo Stato italiano aveva stanziato una somma di circa 478 mln di euro con la finalità di consentire il recupero di quelle prestazioni ambulatoriali, di screening e di ricovero ospedaliero non erogate nel periodo dell’emergenza epidemiologica. Tale somma, come sempre ripartita tra le Regioni sulla base della percentuale di accesso al Fondo Sanitario Nazionale (FSN), era finalizzata al pagamento delle cosiddette prestazioni aggiuntive al personale sanitario dipendente delle varie Aziende Sanitarie e Ospedaliere. In realtà, nel 2020 un po’ dappertutto in Italia, il ricorso alle prestazioni aggiuntive è stato decisamente limitato, ma non è dato sapere che fine hanno fatto le risorse economiche non utilizzate a livello regionale.
Come sono stati utilizzati questi fondi? A chi sono finiti visto che il personale dipendente non è stato interessato da tale provvedimento se non in maniera residuale? Forse sarebbe stato opportuno il coinvolgimento dei Sindacati di Categoria e quel pizzico di necessaria trasparenza nella rendicontazione regionale che finora è mancato.
Il Decreto Legge 104 (poi convertito in Legge), rimasto in larga misura inapplicato. È stato quindi riproposto e aggiornato da un altro Decreto Legge, il 73 del 23 luglio 2021 che, richiamando le stesse finalità del precedente intervento legislativo, ha ribadito la necessità di ricorrere alle prestazioni aggiuntive con la medesima finalità di recuperare le prestazioni sanitarie, prevalentemente ambulatoriali e di screening, non erogate a causa dell’emergenza pandemica, aggiungendo però stavolta una parola magica: “fermo restando il prioritario ricorso alle prestazioni aggiuntive del personale dipendente, la possibilità per le Regioni di integrare acquisti di prestazioni ospedaliere e di specialistica ambulatoriale da Privato”. Il Decreto Legge 73 del 2021 ha previsto, a copertura finanziaria dell’intervento legislativo, l’utilizzo delle risorse rimaste inutilizzate nel 2020, di cui non si conosce esattamente l’entità, aggiungendo altri 470 mln di euro per l’anno 2021. Una pioggia di milioni di cui non si conosce l’utilizzo e la destinazione a livello regionale.
Nel corso del secondo semestre dell’anno in corso, si è mosso qualcosa anche in Sicilia, con alcuni ospedali che hanno fatto partire il modello organizzativo previsto dallo Stato per il recupero delle liste d’attesa, ma riteniamo che, com’era da attendersi la parte del leone l’abbia fatta il privato accreditato che si è visto riconoscere ancora una volta quell’extra-budget espressamente vietato per legge.
Adesso la bozza del DDL Bilancio che passerà all’esame del Parlamento italiano per la trasformazione in Legge entro il 31 dicembre prossimo, reitera le disposizioni contenute nei due precedenti Decreti Legge (104 del 2020 e 73 del 2021) con la medesima espressa finalità di garantire la piena attuazione della rimodulazione del Piano per le liste d’attesa. Anche in questo caso vengono stanziati ulteriori 500 mln di euro, ma stavolta, si destinano già in partenza 150 mln per coinvolgere le strutture private accreditate, lasciando tuttavia aperta la possibilità di superare questo tetto massimo sulla base di specifiche esigenze regionali.
In pratica non viene posto un limite preciso alla quota da destinare all’extra-budget per il privato accreditato che “teoricamente” potrebbe vedersi assegnare l’intera somma sulla base delle specifiche esigenze regionali, con danno sia agli operatori sanitari che al cittadino che, nel solo ambito del privato accreditato, non riuscirà a trovare tutte le risposte ai propri bisogni di salute. Vedremo come andrà a finire e se, alla lunga, le istituzioni regionali decidano di avviare quella agognata operazione trasparenza dando conto su come sono stati impiegati i fondi ricevuti dallo stato e a chi sono stati destinati.
Giuseppe Riccardo Spampinato
Segretario organizzativo nazionale Cimo