Continuiamo a sentire alcuni responsabili sindacali chiedere diritti, diritti e diritti. Il leitmotiv viene quindi ripetuto a pappagallo da tutti quanti, cittadini e cittadine, giovani e meno giovani. Tanti pappagalli che non hanno cultura né sapienza e non possiedono competenze.
Se avessero una cultura generale e se avessero letto testi importanti, come la nostra beneamata Costituzione, si renderebbero conto che prima di tutto viene il proprio dovere, che è la forma essenziale di rispetto nei confronti degli altri e delle altre.
Per diventare persone libere occorre acquisire la libertà economica, che può essere conquistata attraverso il conseguimento di moltissime competenze. Per acquisire le stesse bisogna fare formazione, formazione e formazione, non solo all’inizio, ma in modo continuativo per tutta la propria vita, lavorativa e non.
Ecco quale dovrebbe essere il compito di ciascuno/a: diventare esperto/a non solo sulle materie proprie, ma soprattutto sulla capacità di risolvere i problemi. Questo metodo però non è previsto né dalle Università né dalle scuole.
Quando si parla di livelli degli stipendi, si omette quasi sempre di citare il livello di riferimento del costo della vita. Non vi è dubbio che uno stipendio netto di 1.500 euro potrebbe fare raggiungere la minima soglia di sufficienza laddove il costo della vita è pari; sarebbe totalmente insufficiente laddove il costo della vita, per esempio, è doppio.
Qualcuno subito obietterà che questo rapporto equo fra livello stipendiale e costo della vita ricorda tanto le gabbie salariali. Non è così, non si tratta di gabbie di alcun genere, ma di un rapporto equo fra quanto si guadagna e quanto serve per vivere.
Dunque, differenziare i compensi in relazione al costo della vita, regione per regione d’Italia.
Comprendiamo che il discorso sia ostico e poco popolare, però è equo e non vediamo chi possa muovere obiezioni contrarie, anche se c’è il solito “primo della classe” che pur di farsi notare è disposto a blaterare qualunque sciocchezza.
Nel tema – la declaratoria diuturna dei diritti – vi è quella dei contratti a tempo determinato rispetto agli altri a tempo indeterminato. La questione è priva di fondamento e vi spieghiamo perché.
Nel rapporto fra datore/trice di lavoro e prestatore/trice d’opera non è vero che sia il/la primo/a ad avere la prevalenza o a dettare le regole, ma è piuttosto il/la secondo/a, sol che possieda la professionalità tale che serva al/la datore/trice di lavoro.
Nei miei sessantasei anni di lavoro ho avuto centinaia di dipendenti, ma quelli/e bravi/e e competenti hanno sempre avuto posti di rilievo e compensi adeguati e anche oltre, perché non vi è dubbio che chi conduce un’impresa di qualunque genere ha bisogno di collaboratori/trici, ripetiamo, bravi/e e competenti e che quindi sono sempre ottimamente retribuiti.
Per riassumere, la libertà si conquista con quella economica e la libertà economica si conquista con le proprie competenze. Ma questo principio elementare, che comprendono tutti/e non è compreso dai soloni della comunicazione, che continuano a strillare: “Diritti, diritti, diritti”.
La volontà di acquisire competenze dovrebbe essere una delle prime qualità da premiare, la quale deve poi concretizzarsi nel lavoro quotidiano.
La questione che prospettiamo, non per la prima volta, non è diffusa nei mezzi di massa né è portata avanti dai giornalisti che hanno il dovere dell’informazione equa, completa e obiettiva.
Di questo argomento, che è fondamentalmente etico, si parla raramente. Non si sa se perché chi ne dovrebbe scrivere non ha competenze per farlo o non ha voglia di farlo o, ancora, preferisce seguire un andazzo populista.
Aveva ragione Leonardo Sciascia quando scriveva ne Il Giorno della Civetta: “Gli uomini si dividono in cinque categorie: uomini, mezzi uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraqua”.
Purtroppo, fra i/le comunicatori/trici di quest’ultima categoria ve n’è una cospicua maggioranza, mentre la gente comune avrebbe bisogno di guide che dei principi etici facessero il proprio mantra, per spiegare come equità e probità dovrebbero essere elementi diffusi fra tutti/e.