Crisi, Istat: “In Sicilia rischio elevato per la metà delle imprese” - QdS

Crisi, Istat: “In Sicilia rischio elevato per la metà delle imprese”

Crisi, Istat: “In Sicilia rischio elevato per la metà delle imprese”

domenica 11 Aprile 2021

Rapporto Competitività 2021: forti criticità nel sistema produttivo di 11 Regioni italiane. Impatto pervasivo sul fronte fatturato, operatività e strategie di reazione alla crisi

ROMA – “L’impatto economico della pandemia sui territori è stato eterogeneo ma pervasivo” e in 11 regioni “almeno la metà delle imprese presenta almeno due di tre criticità che le denotano a rischio Alto o Medio-alto (riduzione di fatturato, seri rischi operativi e nessuna strategia di reazione alla crisi)”.

Lo segnala l’Istat nel Rapporto sulla Competitività 2021, spiegando che sette di queste regioni sono nel Mezzogiorno (Campania, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Puglia), una al Nord (Provincia autonoma di Bolzano) e tre nel Centro Italia (Lazio, Umbria e Toscana).
Considerando l’occupazione, circa un terzo degli addetti totali (32,6%) è impiegato in imprese a rischio Alto o Medio-alto. Delle nove regioni nelle quali tale quota supera il 40%, sette sono nel Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Abruzzo, Sardegna, Molise, Sicilia e Campania), una nel Centro (Umbria) e una nel Nord (Valle d’Aosta).

Secondo l’Istat il 45% delle imprese con almeno 3 addetti, rappresentative del 20,6% dell’occupazione e del 6,9% del valore aggiunto complessivi è a “rischio strutturale”: esposte a una violenta crisi esogena, subirebbero conseguenze tali da metterne a repentaglio l’operatività. Solo l’11% è solido, ma genera il 46,3% dell’occupazione e il 68,8% del valore aggiunto totali.
Peraltro, aggiunge l’Istat, “la crisi accentua il divario tra le aree geografiche” sebbene “anche nelle regioni settentrionali più solide si trovano realtà locali fragili”, in particolare nelle aree a forte vocazione turistica.

“Nonostante uno scenario in miglioramento, le prospettive di ripresa per il 2021 sono giudicate limitate: meno di una impresa su cinque prevede una normale prosecuzione dell’attività nella prima metà dell’anno” Lo ha detto il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, presentando il Rapporto

“Il perdurare della crisi sanitaria e le prospettive ancora incerte circa il suo superamento impediscono di formulare una valutazione complessiva delle conseguenze sul sistema produttivo italiano”, ha concluso.
L’insolvenza di molte imprese, che costituisce il principale rischio nei mesi a venire per il sistema produttivo italiano, “aumenta l’esposizione del sistema bancario a possibili trasmissioni dello shock dal segmento non finanziario, implicando possibili tensioni sia sui bilanci delle banche, sia sui rapporti banca-impresa”, si legge nel Rapporto.

La crisi pandemica ha inciso anche sulle strategie di finanziamento delle imprese che, per fronteggiare la crisi di liquidità, hanno utilizzato un insieme ampio di strumenti nell’ambito dei quali il credito bancario ha rivestito un ruolo centrale. In generale, sulla base delle indicazioni fornite dalle imprese per il 2021, le modifiche ai canali di finanziamento indotte dalla pandemia “appaiono transitorie e legate per lo più alle conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria”.

A fine 2020 quasi un terzo delle imprese considerava a rischio la propria sopravvivenza, oltre il 60% prevedeva ricavi in diminuzione e solo una su cinque riteneva di non avere subito conseguenze o di aver tratto beneficio dalla crisi. Nonostante uno scenario in miglioramento, le prospettive di ripresa per il 2021 sono giudicate limitate: meno di una impresa su cinque prevede una normale prosecuzione dell’attività nella prima metà dell’anno.

La crisi ha colpito soprattutto le imprese di piccola e piccolissima dimensione (risulta a rischio oltre un terzo di quelle con 3-9 addetti) e si è manifestata prevalentemente attraverso un crollo della domanda interna e della liquidità.

A fine 2020 il 32,4% delle imprese con almeno 3 addetti riteneva ancora compromesse le proprie possibilità di sopravvivenza nei primi sei mesi del 2021; il 62% prevedeva ricavi in diminuzione e meno del 20% riteneva di non avere subito conseguenze o di aver tratto beneficio dalla crisi. La crisi ha colpito soprattutto le unità di piccola e piccolissima dimensione: a fine 2020 si dichiaravano a rischio oltre il 33% delle microimprese (3-9 addetti), il 26,6% delle piccole (10-49 addetti), il 15,1% delle medie (50-249 addetti) e il 10,7% delle grandi (250+ addetti).
Per il 58,1% delle imprese con almeno 3 addetti il principale vincolo alla ripresa nel primo semestre del 2021 è la diminuzione della domanda nazionale; per il 19,2% quella della domanda estera, per il 34,1% il rischio di illiquidità, cui provvedere anche attraverso nuove fonti di finanziamento (in particolare l’accensione di nuovo credito bancario).

La quota di chi segnala seri rischi di chiusura è elevata nelle attività delle agenzie di viaggio (oltre 73%), in quelle artistiche e di intrattenimento (oltre 60%), nell’assistenza sociale non residenziale (circa 60%), nel traporto aereo (59%), nella ristorazione (55%).
Nel comparto industriale risaltano le difficoltà della filiera della moda: abbigliamento (oltre 50%), pelli (44%), tessile (35%).
Chi opera sui mercati esteri resiste meglio alla crisi. Forme di internazionalizzazione avanzate (esportazione su scala globale, appartenenza a gruppi multinazionali) si associano a minori rischi di chiusura, problemi di liquidità, di domanda o di approvvigionamento. In tale contesto emerge la tenuta decisamente maggiore delle imprese appartenenti a gruppi multinazionali.

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