Depuratore di Priolo, nuovo stop riapre il caso

Depuratore di Priolo, nuovo stop riapre il caso tra interessi economici e preoccupazioni per salute e ambiente

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Depuratore di Priolo, nuovo stop riapre il caso tra interessi economici e preoccupazioni per salute e ambiente

Giuseppe Bonaccorsi  |
martedì 06 Agosto 2024

Nuovamente al centro dell'attenzione il nodo del depuratore situato in uno dei poli industriali principali della Sicilia. Ecco cosa succede.

“Il Gip dott. Salvatore Palmeri, letta l’stanza dell’amministratore giudiziario di Ias, Salvatore Maiolo (…) non autorizza la prosecuzione dell’attività produttiva come previsto dal decreto interministeriale del 12 settembre 2023”. È l’inizio del provvedimento con cui il gip del tribunale di Siracusa ha riaperto il nodo del depuratore di Priolo anche se, in effetti, non si era mani sciolto.

Lo stop al depuratore di Priolo, disposto qualche giorno fa, alla luce delle decisioni della Corte costituzionale, getta un’ombra sul futuro occupazionale dell’area industriale, ma va tenuta in seria considerazione la delicata questione del disastro ambientale dei reflui che si sversano in mare con enormi danni all’ambiente e alla salute dei cittadini.

Lo stop al depuratore di Priolo, cosa succede

In linea pratica, le aziende industriali presto non potranno confluire i fanghi reflui nell’Impianto che – secondo i periti nominati dai magistrati – ha un alto tasso di inquinamento. Mentre i sindacati hanno proclamato lo stato d’agitazione la Regione corre ai ripari e sembra che si stia studiando negli uffici legali la presentazione di un ricorso congiunto tra la Regione e il governo nazionale per stoppare il provvedimento giudiziario che potrebbe essere presentato già forse entro la giornata di oggi.

Va detto che il sequestro dell’impianto, sin dal primo provvedimento disposto dalla Procura due anni fa, nel giugno del 2022, nell’ambito di un’inchiesta per disastro ambientale, non si è mai concluso e i periti del tribunale stanno ancora oggi indagando sull’impianto e sulle raffinerie per trovare riscontri che possano certificare i reati di disastro ambientale della zona e di danno per la salute pubblica.

La storia

Quando alcuni anni fa i magistrati della Procura aretusea avevano sequestrato l’impianto il Governo nazionale era intervenuto col ministro Adolfo Urso, che aveva disposto e poi fatto approvare dal governo il decreto salva Isab, successivamente confermato e ampliato con un altro decreto che ha stabilito che per gli impianti accessori bisognava bilanciare gli interessi ambientali con l’interesse strategico dello Stato per l’area industriale.

Nel settembre 2023 il Governo aveva quindi emanato un decreto per salvaguardare il proseguimento dell’attività industriale, consentendo lo smaltimento dei reflui industriali. I magistrati, successivamente, però, su sollecitazione dell’amministratore giudiziario dell’impianto hanno sollevato la questione di costituzionalità davanti alla Suprema corte. I giudici costituzionali due mesi fa si sono pronunciati sul ricorso della Procura spiegando che le norme emesse dal governo non erano idonee a giustificare i decreti emessi sul depuratore di Priolo, perché consentono emissioni al di fuori dalle norme, non idonee a tutelare la salute delle persone.

Depuratore di Priolo, le cause del nuovo stop

Inoltre, i giudici hanno rilevato e rilevano che i decreti emessi sul depuratore non pongono un termine ragionevole per provvedere all’adeguamento dell’impianto. Per queste ragioni la Corte ha decretato che le norme contenute nel decreto del governo non sono accettabili. A questo punto pochi giorni fa la Procura aretusea ha disposto al curatore giudiziario dell’impianto il divieto a smaltire i reflui provenienti dal sito industriale perché, come rileva anche il gip nel suo provvedimento, non vi è nel concreto alcun obiettivo di risanamento non essendo previsti investimenti o soluzioni tecniche in grado di risolvere entro il periodo di 36 mesi fissato dalla Corte la situazione di compromissione ambientale. In questa grande confusione si viene a sapere che, nel frattempo, le grandi raffinerie stanno realizzando i loro grandi depuratori che saranno pronti entro il prossimo anno. Quindi a partire dal 2025 non sverseranno i loro reflui nel depuratore di Priolo, che diverrà una scatola vuota; a meno che, con una grande operazione, si utilizzi l’impianto per smaltire i reflui urbani di parte di Siracusa e di Augusta.

L’intervento di Legambiente sul caso

Sul nuovo provvedimento della Procura c’è da registrare un lungo documento di Legambiente nazionale e Sicilia in cui si ripercorrono le tappe dell’annosa vicenda che ha innescato un nuovo braccio di ferro tra governo e magistratura.

I vertici ambientalisti ritengono il provvedimento “Una decisione prevedibile: il decreto interministeriale è troppo sbilanciato in favore delle industrie” e quindi invitano il governo nazionale e regionale ad intervenire “per tutelare finalmente la salute dei cittadini e creare le condizioni per la conversione ecologica dell’area degli impianti industriali”.

“Con il decreto emesso il 31 luglio il Gip di Siracusa ha dichiarato di non autorizzare più la prosecuzione delle attività del depuratore consortile Ias, disponendo la “disapplicazione” del decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy del 12 settembre 2023. Si tratta – prosegue Legambiente – di una pronuncia che dà piena applicazione ai principi costituzionali richiamati nella sentenza della Consulta che poco tempo fa ha dichiarato illegittima una delle norme ‘salva Isab’ introdotte all’indomani del provvedimento di sequestro per disastro ambientale da parte della magistratura del depuratore consortile Ias di Priolo Gargallo per garantire la continuità produttiva delle raffinerie e degli altri impianti dell’area industriale di Siracusa”.

“All’indomani della sentenza il ministro delle imprese e del made in Italy si era premurato a rassicurare che la Corte Costituzionale aveva confermato ‘la legittimità delle misure previste dal Governo, limitandosi ad affermare la necessità di prevedere un limite di durata massima delle stesse, pari a 36 mesi’”.

Evidentemente si trattava di una lettura quantomeno superficiale della sentenza. In verità, come Legambiente aveva denunciato, sin dalla sua entrata in vigore, che il decreto interministeriale non bilancia per niente gli interessi delle aziende del polo petrolchimico con le esigenze di tutela della salute e dell’ambiente ma al contrario, prevedendo pesanti deroghe ai limiti di emissione di alcuni inquinanti (Idrocarburi Totali, Fenoli e Solventi Organici Aromatici) e alle loro modalità di campionamento, consente una compressione eccessiva e illegittima del diritto alla salute e all’ambiente in favore del diritto alla libera iniziativa economica privata.

“Il provvedimento del gip – puntualizzano i responsabili di Legambiente Sicilia e nazionale – ha il merito di riportare la vicenda nell’alveo della legalità costituzionale e del rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini. Dinanzi a un impianto di depurazione che secondo quanto emerso nell’ambito del procedimento penale in corso risulta inidoneo strutturalmente a trattare i reflui industriali, non è più possibile proseguire l’attività produttiva, in altre parole i Grandi Utenti industriali non potranno più immettere i propri reflui nel depuratore Ias”.

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“Adesso al Governo non rimane che adeguarsi alle precise indicazioni contenute nel decreto del Gip e nel parere avanzato dalla Procura di Siracusa, adottando misure che, all’esito di una seria, approfondita e trasparente attività istruttoria, riconducano davvero l’attività dell’impianto (e delle aziende che se ne servono) entro il termine massimo stabilito di 36 mesi, nell’ambito dei limiti di sostenibilità fissati dalla legge per la tutela della salute e dell’ambiente e che possano essere verificate attraverso un costante monitoraggio da parte degli organi pubblici di controllo, in primo luogo dell’Ispra. Alla Regione, proprietaria dell’impianto e socia di maggioranza attraverso il Consorzio Asi di Ias, il compito di realizzare le opere necessarie… A meno che non si scelga di impugnare il decreto del Gip e dunque di aprire un altro fronte di contrasto tra politica e magistratura sui temi ambientali la cui conclusione e le cui conseguenze, come dimostrano le vicende dell’acciaierie di Taranto, non è possibile neanche prevedere”.

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